Un sito online denuncia come una ‘’pratica diffusa’’ il ricorso da parte di vari editori francesi al pagamento dei giornalisti collaboratori come autori – Anche se, per le leggi di Oltralpe, si tratta di un sistema illegale – Ma la convenienza economica è forte, visto che, ad esempio, su un compenso di 1.000 euro lordi, il risparmio per l' editore può arrivare a 500-600 euro - E in piùà consente di ''licenziare i collaboratori senza particolari problemi''
Quanti giornalisti freelance, alle prime armi o di lungo corso, titolari o meno del tesserino stampa, vengono pagati con il sistema del diritto d’ autore? Stando a quanto afferma il SNJ (Sindacato nazionale dei giornalisti, una delle quattro organizzazioni sindacali del giornalismo francese, oltre a Sni-Cgt, Usj-Cfdt, Sgj-Fo, ndr ) e il sito Solidarité Pigistes, la pratica sarebbe molto diffusa.
Anche se questo tipo di remunerazione è completamente illegale – spiega Actuchomage.org/, che denuncia con forza ‘’questo imbroglio, diventato ormai quasi istituzionale’’.
In Francia, il regime del diritto d’ autore viene gestito da una associazione, l’ Agessa (Association pour la gestion de la sécurité sociale des auteurs; analoga all’ italiana Siae, ndr). La struttura si riferisce soprattutto alle persone che esercitano delle attività letterarie ed atistiche: scrittori, illustratori, cineasti, compositori di musica, ecc.
Si tratta di un regime sociale particolarmente vantaggioso per il datore di lavoro. Pensate: sul compenso lordo dell’ autore, l’ Agessa preleva grosso modo il 10% come contributi sociali.
Un autore pagato 1.000 euro riceve quindi 900 euro netti. E l’ Associazione incassa 100 euro di contribuzione (assicurazione sanitaria, imposte, ecc.).
Il lavoratore è soggetto a una contribuzione dell’ 1%, quindi 10 euro in questo caso.
E’ chiaro che è grande la tentazione per i committenti, in particolare gli editori di stampa scritta e online, di pagare i giornalisti collaboratori sulla base di diritti d’ autore.
Perché, in fondo, che c’ è di diverso fra un giornalista e uno scrittore?
A prima vista entrambi vivono dei loro scritti e delle parole che depositano sulla carta o sullo schermo del loro pc.
E allora perché privarsi di una tale fortuna?
E’ molto più vantaggioso versare 100 euro all’ Agessa che 600-700 euro di contributi e imposte obbligatiori per il lavoro giornalistico.
Su un compenso di 1.000 euro lordi, il risparmio è di 500-600 euro. Su 10.000 euro sarebbe di 5.000-6.000 e così via…
Ma soprattutto l’ Agessa non è ‘responsabile’ del comportamento del datore di lavoro. Che si può iscrivere all’ agenzia per ottenere un codice con cui presenterà le dichiarazioni a nome dei sedicenti autori che lui ha remunerato.
Al contrario le formalità sono parecchio più complicate per l’ autore che deve iscriversi all’ Associazione compilando un dossier molto complesso in cui dovrà specificare redditi, attività, dichiarazioni fiscali, ecc.
E qui le cose si complicano perché un giornalista non può in nessun modo iscriversi all’ associazione nell’ esercizio della sua professione, visto che per legge fa capo al settore del lavoro salariato . La situazione diventa kafkiana perché l’ azienda versa i contributi all’ Associazione, ma il giornalista non può aderire a questo regime e finisce quindi per ritrovarsi senza protezione sociale.
E’ la stessa associazione a segnalare che ‘’la remunerazione di un giornalista col regime del diritto d’ autore è illegale’’, ma i giornalisti che ci sono cascati (a causa della loro una situazione di grande precarietà professionale ed economica) se ne accorgono, generalmente ci rinunciano.
Nonostante questo , l’ Agessa – continua l' articolo - continua ad incassare i contributi sociali indebitamente versati da alcuni editori. Anche se si potrebbe configurare per questi ultimi l’ evasione contributiva ai danni dell’ istituto di previdenza sociale dei lavoratori dipendenti (Urssaf).
Tra l’ altro, segnala Actuchomage, pagare un giornalista col sistema del diritto d’ autore può configurare anche il reato di utilizzo di ‘’lavoro nero’’ (travail dissimulé, ndr), che prevede una pena di tre anni di reclusione e di 45.000 euro di ammenda, oltre alle sanzioni civili e fiscali previste dalla legge.
Quanti sono in Francia i giornalisti pagati in questi termini? Impossibile saperlo, anche se, le indagini compiute nel settore confermano che si tratta di una pratica corrente. Intorno a cui – denuncia il sindacato francese – c’ è una forte omertà.
François P., un giornalista con 30 anni di mestiere sulle spalle, ha scritto al sito actuchomage…., sostenendo che questo tipo di trattamento è piuttosto diffuso nelle aziende giornalistiche francesi ‘’sia per ragioni economiche, ovviamente, che per avere la possibilità di licenziare i collaboratori senza problemi’’. Una pratica, continua il giornalista, che ‘’pur essendo ufficialmente illegale, non smuove né la Commissione che assegna la Carte de presse (certifcando chi svolge effettivamente la professione, ndr), né la Sicurezza sociale, per non parlare dell’ evanescente Ispettorato del lavoro’’.
Insomma, secondo il sito francese, l’ imbroglio del diritto d’ autore dovrebbe andare ancora avanti. ‘’Anche se centinaia di migliaia di euro vengono dirottati ogni anno da editori disonesti, allargando un altro po’ il deficit dei conti sociali (pensioni, disoccupazione, malattie, ecc.).