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Fnsi 07 Nov 2003

Omicidio Cutuli, la Procura di Roma: "Fu uccisa perchè era una giornalista occidentale"

Omicidio Cutuli, la Procura di Roma: "Fu uccisa perchè era una giornalista occidentale"

Omicidio Cutuli, la Procura di Roma: "Fu uccisa perchè era una giornalista occidentale"

L'omicidio della giornalista del Corriere della Sera, Maria Grazia Cutuli, avvenne in un periodo in cui in Afghanistan "gruppi di talebani, asseragliati su quelle montagne aggredivano e violentemente rapinavano tutti (e soltanto) i giornalisti occidentali che transitavano per quella strada che era la sola che portasse in Pakistan attraversando il distretto amministrativo di Sarobi". Ritorna alla carica il procuratore aggiunto della Capitale Italo Ormanni che, dopo un ulteriore no del gip alla richiesta di custodia cautelare a carico di Mohmmad Fedai Taber, Miva Jan e Mar Jan, indagati peromicidio e rapina, si è rivolto al tribunale del riesame sollecitando giovedì mattina il carcere con la convinzione che il posto dove fu uccisa la Cutuli, lungo la strada tra Jalalabad e Kabul, "è la regione montagnosa a cavallo tra Afghanistan e Pakistan dove, oggi, si sono definitivamente arroccate le formazioni talebane che fanno capo ad Al Qaeda e ad Osama Bin Laden, il quale viene ripreso dalle telecamere mentre da quei monti minaccia la fine della civiltà occidentale". Insomma, per la procura quanto avvenuto il 19 novembre del 2001 fu un delitto politico conseguenza di "azioni di guerriglia, volutamente dirette ed indirizzate sono a giornalisti stranieri", azioni che "miravano a strumentalizzare i mezzi di informazione per convincere l'opinione pubblica occidentale che l'Afghanistan era assolutamente ingovernabile da parte di quelle forze di occupazione i cui Governi, invece, dichiaravano il contrario". L'obiettivo era quello di gettare il panico fra gli inviati dei più grandi organi d'informazione del mondo, per far sì che essi potessero documentare nei loro Paesi circa l'assoluta infondatezza di quanto le forze militari occidentali avevano comunicato, e cioè che il regime dei mujihaddin era stato completamente sconfitto". Per dimostrare che bersaglio dei talebani erano i giornalisti occidentali, Ormanni ricorda nel suo atto di nove pagine che in quei giorni «la troupe televisiva greca fu fatta passare perchè le fattezze dei giornalisti somigliavano a quelle arabe, e sfruttando questa circostanza il loro interprete afghano assicurò che si trattava, appunto, di musulmani!». Inoltre, «secondo informazioni (queste però non processualmente documentate, ma comunque allegate agli atti), poichè la Cutuli stava fumando, e questo comportamento da parte di una donna, per di più in pantaloni, è massimamente disdicevole per un musulmano integralista, venne schiaffeggiata violentemente da uno dei talebani cagionando così la reazione del collega Julio Fuentes»; da qui «la morte di tutti i giornalisti». Secondo l'avvocato Massimo Biggio, difensore degli afghani, i fatti «non possono essere qualificati come delitti politici perchè occorre che ci sia un'offesa all'interesse politico dello Stato, nella sua essenza unitaria, o del cittadino. Si tratta, in questo caso, di un reato contro il patrimonio ispirato da una finalità di lucro priva di considerazioni politico-ideologiche. Contrariamente a quanto sostenuto dalla procura, oggetto delle azioni criminose non erano soltanto giornalisti occidentali. Anche dei cronisti filippini, che non sono certo occidentali e che fanno parte di un popolo in buona parte di religione musulmana, furono rapinati il giorno prima dell'uccisione della Cutuli sulla stessa unica strada». Per il penalista, «dalle ulteriori indagini richiamate dalla procura, si evince l'intento dei malviventi che era quello di rapinare i giornalisti. Purtroppo la rapina è degenerata in un omicidio a causa della reazione di uno dei componenti della troupe della Cutuli, come è stato confermato dai due autisti presenti ai fatti». L'avvocato Biggio ha prodotto anche la sentenza della Cassazione che l'11 luglio scorso aveva annullato senza rinvio l'ordinanza con la quale il tribunale aveva emesso la custodia cautelare in carcere per i tre indagati. La Suprema Corte aveva stabilito che «nell'ipotesi di omicidio di un cittadino italiano commesso da uno straniero all'estero, non può essere disposta la misura della custodia cautelare in carcere, se l'indagato non si trova nel territorio dello Stato italiano». Condizione che - fa notare il legale - non occorre in caso di delitto politico, quello su cui adesso insiste la procura di Roma. (AGI)

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