Il giudice Michele Romano della quinta sezione penale del tribunale di Roma ha condannato in primo grado a quattro mesi di reclusione Paolo Riccardo Papagni per l'accusa di tentata violenza privata ai danni della giornalista di Repubblica Federica Angeli, per le frasi pronunciate nel 2013 nel tentativo di bloccare una intervista.
«Federica Angeli ha vinto un'altra battaglia 'A mano disarmata'», è il commento della Federazione nazionale della Stampa italiana e dell'Ordine nazionale dei giornalisti, costituitisi parte civile al processo. «Nel ringraziare Federica Angeli per il suo coraggio e la sua passione civile – proseguono Fnsi e Ordine – vogliamo sottolineare l'importanza di una sentenza che condanna chi pensa di poter impunemente colpire il diritto di cronaca e il diritto dei cittadini ad essere informati. Ringraziamo gli avvocati Giulio Vasaturo, Luca Rampioni e Maurizio Calò, che ci hanno assistito. Un grazie, infine, a Federica Angeli, che ha annunciato la sua intenzione di contribuire al fondo per la tutela dei giornalisti minacciati».
'Federica, sei giovane, hai una famiglia. Non è con questa intervista che farai carriera', le frasi utilizzate dall'uomo per 'dissuadere' la cronista a pubblicare l'articolo. «Ho aspettato per 5 anni questo giorno», commenta su Twitter la cronista. «Chi minaccia i giornalisti che fanno domane e inchieste viene condannato. La giustizia esiste».
L'INTERVENTO
Condannato chi minacciava Federica Angeli e con lei l'intera opinione pubblica
di Maurizio Calò
È da qualche tempo che si sente parlare di Federica Angeli sotto scorta, una giornalista che deve essere protetta perché minacciata dai clan che infestano Ostia, il Lido di Roma, 'er mare de Roma'. Si fa presto a dire 'minacciata'.
Di questi tempi la gravità delle parole è quasi entrata nell’ordine delle cose e tutto si fa di giorno in giorno più confuso. Ci sono quelli che fanno gli europeisti con il porto degli altri; c’è un Erdogan che, quasi fosse un paladino della libertà di espressione, strilla contro l’Arabia Saudita accusandola di aver fatto a pezzi, a Istanbul, il giornalista d’opposizione Jamal Khashoggi, mentre a sua volta tiene in carcere i migliori giornalisti turchi e li minaccia di morte come terroristi a ogni discorso pubblico; c'è un apprendista dell'esercizio del potere, viceministro italiano, che nega il diritto di contraddire ad un ente di rango costituzionale come la Banca d'Italia; c'è un Def che, senza che nessuno insorga rumorosamente dall'opposizione, vuole comprare il voto del prossimo maggio degli italiani torcendolo verso un’Europa a maggioranza populista e putiniana… insomma in questa girandola nebulosa, dove nulla sembra essere quel che appare, una donna che dice «sono stata minacciata» può essere una visionaria, una che ha capito male, una che voleva la scorta per vanità e carrierismo, insomma un'altra fake news come tante e ormai troppe ce ne sono a circondarci, confonderci, disorientarci. Nel dubbio, ci vuole qualcuno che separi il grano dal loglio, che faccia chiarezza, che distingua, che dica finalmente una parola di verità. Ce n'è una, tra le istituzioni di una democrazia liberale, che è proprio deputata a svolgere questo compito chiarificatore, che è incaricata dall'ordinamento di investigare obbligatoriamente su qualunque fatto che possa assomigliare a un reato, com'è certamente una vera e propria minaccia e che, quindi, è la più indicata a stabilire se c'è stato un malinteso, lo sfruttamento partigiano di una situazione ambigua, l'esaltazione di null'altro che un equivoco. Questa istituzione si chiama magistratura. Si tratta di un'istituzione su cui aleggiano molti se e molti ma, con forti correnti politiche interne e tante critiche che trovano terreno fertile nel fatto che i due tronconi che la compongono, la magistratura decidente e quella inquirente, non sono ancora nettamente separate, sicché la credibilità di ogni sua pronuncia è minata in radice dal sospetto di scarsa imparzialità. Tuttavia, l'esistenza di un controllo ancora forte sulle decisioni dei giudici da parte dell'avvocatura e della stampa, ne tiene a bada gli eccessi che la descritta commistione potrebbe comportare. D'altra parte, in giro per il mondo, come si è visto proprio in questi giorni negli USA, i magistrati si trovano spesso sotto il controllo politico sicché, tra le due soluzioni, quella italiana - comunque rispettosa della divisione dei poteri statuali individuata da Montesquieu come architettura dello Stato moderno - appare la meno pericolosa per la democrazia, seppur facilmente migliorabile, se solo si volesse.
Federica Angeli, quando si è sentita minacciata dalle organizzazioni criminali di Ostia - che hanno carattere mafioso in base ad una sentenza della Corte di Cassazione del febbraio scorso - ha chiesto l'intervento della magistratura. Il Tribunale di Roma proprio oggi ha stabilito che, effettivamente, una vera e propria minaccia - di quelle che integrano il reato previsto e punito dal codice penale - vi fu ai danni di Federica Angeli. La sentenza ha condannato Paolo Papagni, uno degli imprenditori più in vista di Ostia, alla pena (quattro mesi) prevista dal codice per chi minaccia ed ha stabilito, con la condanna estesa al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite Ordine dei giornalisti e Federazione Nazionale della Stampa Italiana, che la minaccia a Federica Angeli era rivolta a condizionarne l'attività di giornalista, cioè quella di informare il pubblico sulla presa del territorio che stavano e stanno ancora esercitando alcune organizzazioni criminali nel quartiere romano.
La condanna, in questi termini, sta ad indicare che la minaccia non è rimasta circoscritta alla persona di Federica Angeli e dei suoi familiari, ma si è estesa all'intera opinione pubblica che si voleva restasse all'oscuro della mano forte che si era impadronita di un intero Municipio sino a piegarne e asservirne le istituzioni locali. Noi tutti – lascia intendere con la condanna la sentenza, le cui motivazioni saranno pubblicate nei prossimi trenta giorni - siamo stati minacciati affinché ci facessimo i fatti nostri, affinché andassimo a Ostia pagando senza sapere cosa e chi stessimo pagando per avere i conforti che tipicamente allietano qualche ora di vacanza al mare 'nostro'. Federica Angeli, nonostante le intimidazioni, ha proseguito nella sua attività di giornalismo investigativo ed oggi noi sappiamo molto meglio di ieri cosa succede a Ostia e sappiamo anche come orientare le nostre spese quando ci andiamo. Grazie Federica e grazie al Tribunale di Roma perché d'ora in poi sarà chiaro a tutti che saranno guai per chi ti minaccia. Ma come! Un'altra minaccia? No. Questa è una sentenza in nome del popolo italiano.