Il 9 maggio 1978 la mafia uccideva Peppino Impastato, il giovane giornalista che con la sua 'Radio Aut' infranse il tabù dell'omertà nella piccola Cinisi sfidando la criminalità organizzata, svelando alleanze e connivenze, e che per questo saltò in aria sui binari della ferrovia, ridotto a brandelli da sei chili di tritolo. Solo venti anni dopo la Procura di Palermo rinvierà a giudizio Tano Badalamenti come mandante dell'assassinio.
L'11 aprile 2002, dopo 24 anni, arriva la condanna all'ergastolo del capomafia che spazza definitivamente via i tentativi di depistaggio cominciati già la mattina di quel 9 maggio. I giudici della terza sezione della Corte d'assise spiegano nelle motivazioni della sentenza che «il pericolo costituito da tanta irriverente ed irritante rottura del muro dell'omertà era vieppiù palpabile da far ritenere che la soluzione del problema fosse necessaria ed anche impellente, stante peraltro che il giovane di lì a poco, secondo attendibili previsioni, sarebbe stato eletto consigliere comunale».
Il boss è raccontato e sbeffeggiato da Impastato attraverso le frequenze della sua radio. La connessione tra il suo assassinio e il boss è per la prima volta rilanciata con forza nel maggio del 1984, quando l'Ufficio istruzione di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata da Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però a ignoti.
Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume 'La mafia in casa mia', e il dossier 'Notissimi ignoti', indicando come mandante del delitto Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni per traffico di droga a New York, nel processo alla 'Pizza Connection'.
Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 decide l'archiviazione del 'caso Impastato', ribadendo la matrice mafiosa del delitto. Nel giugno del 1996 l'inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante.
Nel 1998 in Commissione parlamentare antimafia si costituisce un comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio. Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise riconosce Vito Palazzolo colpevole e lo condanna a 30 anni di reclusione. L'anno dopo arriva l'ergastolo per Badalamenti. Nel 2010 le chiavi della sua casa sono consegnate all'Associazione culturale Impastato.