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Sindacale 13 Mar 2007

La Conferenza Nazionale dei Cdr agli Editori e al Governo: “Un mese di tempo per aprire i tavoli poi, in assenza di risultati, scatteranno gli scioperi” La relazione del Segretario generale della Fnsi Paolo Serventi Longhi

La Conferenza Nazionale dei comitati e Fiduciari di redazione, riunita a Roma, ha approvato con 2 voti contrari e 21 astenuti il seguente Ordine del Giorno: “La Conferenza Nazionale dei Cdr, organismi di base dei giornalisti italiani, rivendica il diritto costituzionale alla contrattazione nazionale. Un diritto negato da una controparte, la Federazione Italiana degli Editori Giornali, che da 744 giorni rifiuta di aprire il negoziato per rinnovare il contratto nazionale di lavoro

La Conferenza Nazionale dei comitati e Fiduciari di redazione, riunita a Roma, ha approvato con 2 voti contrari e 21 astenuti il seguente Ordine del Giorno: “La Conferenza Nazionale dei Cdr, organismi di base dei giornalisti italiani, rivendica il diritto costituzionale alla contrattazione nazionale. Un diritto negato da una controparte, la Federazione Italiana degli Editori Giornali, che da 744 giorni rifiuta di aprire il negoziato per rinnovare il contratto nazionale di lavoro

In questo quadro la Conferenza dei Comitati di Redazione indica la necessità che il Ministro del Lavoro, Cesare Damiano, già diffidato dall’Inpgi intervenga con un atto immediato del Governo che permetta il varo della riforma della Previdenza dei Giornalisti Italiani, già approvata dagli organismi decisori dell’Inpgi, ma strumentalmente bloccata dalla Fieg come ulteriore arma di pressione sulla vertenza contrattuale. Ogni mese di rinvio della riforma delle pensioni costa alla categoria un milione e 600 mila euro. L’assemblea dei Cdr ritiene improcrastinabile l’apertura del confronto con la Fieg. I giornalisti italiani, consapevoli della posta in gioco, assumono sulle proprie spalle la responsabilità di chiedere agli editori e al Governo di aprire subito un negoziato che stabilisca le regole del lavoro del giornalista multimediale, definisca il quadro normativo, fissi gli strumenti di sostegno pubblici. L’assemblea dei Cdr dà mandato agli organismi dirigenti della Fnsi di verificare, entro i prossimi trenta giorni, i margini per varare la riforma dell’Inpgi, definire un nuovo assetto del mercato giornalistico anche in relazione al precariato. Contemporaneamente, i Cdr danno mandato alla Segreteria della Fnsi di verificare le condizioni per un accordo-ponte che - con il necessario contenuto economico – determini gli elementi per avviare a soluzione le questioni del Precariato e del lavoro autonomo per un giusto riequilibrio contrattuale e sia propedeutico all’apertura immediata e contestuale di un confronto a tutto campo sulla parte normativa. Di questo ampio contesto contrattuale è parte integrante anche il negoziato sulla multimedialità. Qualora tale termine scadesse senza produrre risultati, la Conferenza dei Cdr affida agli organismi della Fnsi la gestione, d’intesa con i Cdr, di iniziative di lotta già sperimentate e di un pacchetto congruo ed eccezionale di giorni di sciopero da attuare soltanto nelle forme più efficaci e che creino reali ripercussioni economiche e politiche. L’assemblea dei Cdr sollecita il Governo a fare la propria parte senza indugi e tentennamenti su questi temi”. La relazione del Segretario generale, Paolo Serventi Longhi, alla Conferenza nazionale dei Comitati e Fiduciari di redazione Ergife Palace Hotel - Roma, 14 marzo 2007 Voglio esprimere a nome di tutto il sindacato, di tutte le colleghe e i colleghi italiani, solidarietà e affetto ai giornalisti di repubblica. Siamo molto preoccupati per il rapimento di Daniele Mastrogiacomo, inviato e giornalista serio e impegnato, consigliere dell’Ordine del Lazio e caro amico. Il giornalismo italiano vive una situazione di emergenza, di grave crisi non solo sindacale, ma anche professionale. Quadro internazionale contrassegnato da profondi cambiamenti: nell’era della convergenza si mette in discussione il futuro della carta stampata ma anche quello delle stesse televisioni generaliste ed analogiche. La moltiplicazione degli strumenti della comunicazione sta cambiando il volto del giornalismo. Difficile prevedere gli scenari dei prossimi anni, i punti di arrivo, ma certamente siamo destinati a vivere un’era nella quale convivranno molti veicoli di informazione e, quindi, più giornalismi. Non ci siamo mai rifiutati di confrontarci con la realtà che cambia, anzi. C’è però il rischio che ciò avvenga in un quadro che privilegia la quantità degli investimenti multimediali delle imprese, che tendano a coprire più spazi di mercato a costo zero che a privilegiare la qualità dell’informazione. Abbiamo più volte proposto alla Fieg di ragionare della natura del cambiamento, dei costi dell’innovazione, della necessità di aggiornare gli strumenti contrattuali. Fino ad oggi abbiamo avuto soltanto risposte negative e ne abbiamo dovuto prendere atto. In tutto il mondo, il giornalismo rivendica giustamente la libertà dei media, l’autonomia e il riconoscimento del ruolo e della dignità della professione. Valori posti sotto attacco nei paesi industrializzati, così come nel terzo e quarto mondo. Governi e Poteri forti pretendono di controllare una informazione in espansione riducendo gli spazi al diritto di cronaca e alla libertà di stampa, rifiutando il principio della segretezza delle fonti, rafforzando forme palesi e occulte di censura e di propaganda. I giornalisti vengono spesso perseguiti, minacciati, aggrediti e uccisi. Decine sono già i morti dall’inizio dell’anno. Sembra paradossalmente che proprio l’espansione degli strumenti della comunicazione e della conoscenza induca i poteri a ridurre gli spazi di una informazione libera, condizione essenziale per lo sviluppo della democrazia. Anche da noi si mettono in campo leggi pericolose per l’esercizio del diritto di cronaca e si disconoscono i passi importanti che il giornalismo italiano ha fatto in tema di etica, deontologia e responsabilità. Noi continuiamo a chiedere una seria riforma dell’accesso e della formazione professionale dei giornalisti ma la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti del 1963 è ancora valida e non si vede alcuna ipotesi credibile di cambiamento. In questo quadro di incertezza si pone il gravissimo problema dell’assenza dei negoziati per i contratti Fieg e uffici stampa. E su questo gravissimo problema dobbiamo continuare ad essere chiari con tutti. Lo scontro con la Fieg assume ormai la dimensione di un braccio di ferro epocale, di lotta tra poteri nei quali il più forte, oggettivamente gli editori, cerca di stracciare il più debole, noi, debole ma coeso nella difesa delle prerogative e delle tutele contrattuali. I grandi editori, soprattutto, ma non solo i grandi, vogliono affermare una cultura imprenditoriale secondo la quale l’informazione è una merce, le risorse pubblicitarie sono il totem a cui va sottomessa la qualità del prodotto giornalistico. Il giornalismo professionale, la sua indipendenza, l’impegno quotidiano a realizzare notiziari, giornali, tg e gr fatti bene, sono optional. L’obiettivo delle imprese è: produrre contenitori di pubblicità a costo zero (o quasi), smantellando il sistema dell’organizzazione del lavoro basato sulle redazioni, i diritti di informazione e controllo del sindacato, devastando le relazioni sindacali a livello nazionale, regionale e aziendale. Si vuole colpire il sindacato, la federazione. Si vuole colpire l’Inpgi, i suoi conti in ordine, la capacità ispettiva dell’Istituto. Si vogliono eliminare i diritti dei giornalisti dipendenti rifiutando una minima dignità professionale agli autonomi. Si vogliono cancellare le regole che vi sono, nelle leggi e nei contratti, a difesa dell’occupazione dei giornalisti, delle loro retribuzioni, delle loro pensioni presenti e future. Si vuole colpire il diritto alla contrattazione nazionale della nostra categoria. Si vuole trasformare l’informazione in una giungla fatta di minacce e intimidazioni, di ricatti e di violazioni delle regole, nella quale al giornalista non resta che adeguarsi agli interessi ed alla volontà dell’editore. Le colleghe e i colleghi sono spesso soli, impegnati a farsi la guerra l’uno contro l’altro, raramente la solidarietà riesce a pesare sulle scelte individuali e collettive ed i cdr rischiano di indebolirsi ulteriormente. È questo il senso della posizione oltranzista assunta dalla Fieg contro l’apertura delle trattative contrattuali, contro la piattaforma sindacale, contro l’autonomia e la solidità finanziaria dell’Inpgi, addirittura contro l’esistenza stessa dell’Ordine dei giornalisti, della Casagit e del Fondo di previdenza complementare. Una posizione alla quale si lega la resistenza incomprensibile di molte amministrazioni pubbliche, centrali e periferiche, alla definizione di un contratto per i giornalisti degli uffici stampa, previsto peraltro dalla legge 150 del 2000, quasi sette anni fa. È così o sono favole? Sto parlando di una crisi drammatica, di uno scontro epocale che non abbiamo mai voluto, che nessuno di noi ha voluto. Preferiremmo trattare, negoziare, fare il nostro mestiere di sindacalisti, definire gli accordi migliori per i nostri rappresentati, nelle attuali difficili condizioni, nell’attuale fase di ulteriore massiccia espansione dell’informazione e dei nuovi media. La situazione contrattuale del giornalismo italiano, il diritto dei giornalisti ad un contratto, una vicenda che all’inizio interessava pochi, anche tra i colleghi, è diventata paradigmatica del confronto sociale nel nostro paese. Sta condizionando le stesse proposte di riforma della legislazione sul lavoro e sull’intero sistema della comunicazione, dall’editoria alle televisioni che il governo prodi ha avanzato in parlamento o si accinge a presentare. Alcuni punti: Contratto Fieg – cronistoria. Mediazioni governative e proposte di tavoli tecnici. Ruolo del ministro del lavoro – fallimento dell’ipotesi di accordo biennale a causa del rifiuto delle aziende a fornire alla Fnsi un minimo di garanzie sul futuro dei freelance e dei precari e a definire un percorso di attuazione delle flessibilità previste dalla legge 30. Contratto Aran – ruolo dei sindacati confederali. Il punto della situazione – avv. Massella – stabilizzazione del precariato. Proposte di legge e tavoli governativi. 1) mercato del lavoro giornalistico, lavoro autonomo e ammortizzatori sociali, riforma della legge 30; 2) editoria – questionario Levi e documenti alternativi; 3) riforma Gentiloni e linee guida sui criteri di nomina del Cda Rai; 4) riforma prestazioni Inpgi, delibera sui disoccupati e richiesta Fieg sul riequilibrio della presenza degli editori nel Cda. Percorsi ritenuti dal governo utili a creare un clima favorevole al contratto. Percorsi da noi accettati con grande disponibilità ma anche ribadendo i principi dell’azione della Fnsi negli ultimi dieci anni. Posizione Fnsi chiara: disponibili a discutere di tutto, non ad accordarci su tutto. Disponibili a trattare, non a sottoscrivere intese devastanti per il nostro futuro. Non siamo ancora riusciti a capire quale è per gli editori il vero nodo: se diciamo che siamo disposti a ragionare (ripeto ragionare non svendere o solo tagliare) sugli scatti ci dicono che il problema non è quello, ma le rigidità dell’attuale contratto sulla organizzazione del lavoro. Se diciamo ok, ragioniamo dell’attuazione delle norme introdotte con il contratto del 2001 sulla multimedialità, ci rispondono che l’aspetto drammatico è relativo ad altre rigidità, quelle del mercato del lavoro giornalistico e della legge sull’Ordine. Ministri e presidenti di commissioni parlamentari ci raccontano di delegazioni della Fieg che vanno dalle istituzioni a spiegare che non aprono il negoziato perché le parole di Serventi e di Siddi non sono credibili, perché vi sono le dichiarazioni delle associazioni regionali e dei cdr che chiudono la porta a soluzioni più avanzate. In questo modo c’è sempre qualcosa o qualcuno che impedisce loro di accettare il tavolo. Ed è ovviamente sempre colpa nostra, del sindacato, dei giornalisti. La verità è che la Fieg è debole, non ha una linea condivisa, una strategia chiara, e gli editori vanno ognuno per proprio conto con l’unico obiettivo comune di farci fuori. Democrazia e unità: tutti i nodi, dalla predisposizione delle piattaforme alla scelta di rifiutare il ricatto sull’Inpgi sono stati sciolti dopo un’ampia discussione ed un voto negli organismi della Fnsi (giunta, consulta associazioni regionali, consiglio nazionale, commissioni contratto, conferenza dei comitati e fiduciari di redazione). Tutti, proprio tutti. La maggior parte dei nodi sciolti con voto unanime, altri a maggioranza. La conferenza nazionale dei cdr e dei fiduciari ha elaborato e votato all’unanimità, il 6 aprile 2005, la piattaforma rivendicativa per il rinnovo del contratto di lavoro giornalistico. Mi sono riletto il documento contenente le linee guida della piattaforma , una sintesi delle nostre 77 richieste. A due anni dalla stesura del testo, ritengo che la piattaforma mantenga per intero la sua validità concettuale e la sua coerenza sindacale, a partire dalle richieste strategiche di tutele per il lavoro autonomo e il precariato e di governo contrattato delle flessibilità nella gestione, anche multimediale, del mercato del lavoro giornalistico Dobbiamo tenere conto che la piattaforma è stata presentata mentre la legge 30 cominciava a produrre i suoi effetti e l’allora governo era ben lungi da ipotizzare strumenti di tutela sindacale, retributiva e contributiva per i lavoratori autonomi e non si sognava nemmeno di prevedere norme specifiche per i giornalisti. La risposta della Fieg fu durissima: gli editori presentarono il 27 luglio la loro piattaforma rivendicativa in 54 articoli. La loro posizione di allora è la stessa approvata nuovamente dall’assemblea della Fieg di fine gennaio 2007. Nell’ordine di importanza ribadito da esponenti Fieg in questi giorni: abrogazione di ogni forma di controllo o paletto all’utilizzazione multimediale dei giornalisti dentro o fuori dal rispettivo gruppo editoriale; qualifica dirigenziale e quindi abolizione dell’applicazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori per le qualifiche a partire dal vice redattore capo; equiparazione del livello retributivo del redattore con più di trenta mesi di anzianità al livello -30 ed eliminazione di questo livello stipendiale; modifica del sistema di adeguamento automatico delle retribuzione con scatti biennali in cifra fissa e riduzione del loro numero nell’arco della vita lavorativa. Queste sono solo alcune delle richieste Fieg, soltanto quelle che mi risulta sono state giudicate nuovamente irrinunciabili poche settimane fa. Dopo la presentazione della piattaforma e lo scontro con la Fieg sulle loro richieste, il secondo passaggio cruciale della vertenza è stata la proposta degli editori di un accordo ponte di due anni soltanto economico. In quella occasione, dopo una accesa discussione al nostro interno, accettammo di discutere ponendo due condizioni, entrambe importanti: un percorso di analisi e un successivo negoziato sul lavoro autonomo, una intesa sulle nuove flessibilità introdotte dalla legge 30. Queste richieste di garanzie furono informalmente accolte ma poi ufficialmente respinte dalla Fieg che propose una intesa esclusivamente economica. Una posizione che il sindacato non poteva accettare, tanto che, sulla base della proposta ultimativa della Fieg, la commissione contratto, la giunta e la consulta delle associazioni regionali di stampa decisero all’unanimità di respingere la posizione degli editori. Facemmo bene? Facemmo male? Io credo che sia stato giusto, direi fondamentale, porsi il problema delle prospettive del nostro contratto principale in una situazione così complessa. Tra l’altro, le garanzie chieste e rifiutate dalla Fieg furono accolte dall’associazione delle emittenti locali, Aeranti-Corallo, e nell’accordo economico biennale firmato nel dicembre 2005, fu possibile registrare la relativa intesa. Da allora la Fieg ha sempre, ostinatamente, rifiutato il tavolo contrattuale, lo stesso avvio del negoziato sulle piattaforme per il quadriennale, generando un conflitto senza precedenti nella storia della contrattazione in Italia. In questo ambito si registra il terzo grave momento di scontro, tuttora drammaticamente aperto. La Fieg, con un atto di ritorsione nei confronti della vicenda contrattuale e degli scioperi proclamati dal sindacato, ha rifiutato di sottoscrivere qualunque intesa con la Fnsi sulla riforma delle prestazioni previdenziali dell’Inpgi, contenuta in una delibera del consiglio di amministrazione approvata all’unanimità dalla nostra giunta. Una riforma indispensabile varata da oltre un anno e mezzo alla quale si è aggiunta una delibera sugli sgravi contributivi per i contratti a termine dei giornalisti disoccupati. Successivamente, e solo nell’autunno del 2006, la Fieg ha aggiunto la richiesta alla Fnsi di stipulare una intesa per rendere paritaria la presenza di giornalisti ed editori nel Cda dell’Inpgi, condizione questa che è stata posta al tavolo ministeriale in cambio ad una disponibilità a liberare le delibere. Un altro inaccettabile ricatto che sia la giunta della Fnsi, con la consulta delle associazioni regionali, sia il Cda e il consiglio generale dell’Inpgi hanno respinto all’unanimità (sempre all’unanimità). Nello stesso tempo si bloccava anche il tentativo di aprire il contratto dei giornalisti degli uffici stampa con l’Aran, anche per la manifesta diffidenza dei sindacati confederali ad accettare un piccolo sindacato di settore ai tavoli per la contrattazione nel pubblico impiego. Occorre dire che su questo fronte, però, dopo mesi di silenzio, il dialogo tra noi e gli altri soggetti sindacali è ripreso e contiamo di ottenere prima dell’estate il sospirato accordo quadro sui profili professionali che darebbe il via alla contrattazione di comparto. Ecco, quindi, una situazione oggettivamente durissima: due anni senza contratto Fieg, l’Inpgi che perde milioni di euro al mese per l’assenza della riforma, le difficoltà per gli uffici stampa. Disagio nella categoria che ha complessivamente fatto grandi sacrifici per sostenere il sindacato e le piattaforme: 16 giorni di sciopero nazionale della carta stampata e nelle agenzie (in alcune aziende si sono anche fatti scioperi aziendali), 14 giorni nelle televisioni e nelle radio nazionali; una decina nei periodici; dieci negli uffici stampa. La categoria ha perso denaro e si è scontrata come forse mai anche nelle singole imprese. Gli scioperi, però, hanno tenuto, a parte qualche eccezione, ed hanno presentato al paese ed alle istituzioni un giornalismo coeso attorno alla difesa della dignità e dell’indipendenza della professione. Così come sono state fondamentali tutte le altre forme di mobilitazione, dagli scioperi delle firme alle manifestazioni pubbliche in numerose città, dalle iniziative regionali e territoriali all’attuazione dello stato di agitazione in molte aziende. Nonostante un black out, scientificamente organizzato, dei giornali nei confronti della vertenza contrattuale, la gravità della situazione ha determinato una manifestazione nazionale di solidarietà senza precedenti. Dal capo dello stato al presidente del consiglio, dai presidenti delle camere a partiti, movimenti e associazioni, alle confederazioni sindacati, a parlamentari ed esponenti politici di tutti gli schieramenti, ad amministratori locali, centinaia di testimonianze di compressione per la nostra battaglia sono giunte alla Fnsi. Per la prima volta nella storia del parlamento repubblicano, una intera sessione di dibattito alla camera è stata dedicata al contratto dei giornalisti. Più volte siamo stati sentiti dalle commissioni parlamentari di Camera e Senato. E, come era logico, il governo ha dovuto occuparsi finalmente della crisi contrattuale. I contatti con il ministro Damiano risalgono ai primissimi giorni successivi al suo insediamento, così quelli con il sottosegretario Ricardo Franco Levi e con altri ministri e sottosegretari. Il tentativo di Damiano di aprire un tavolo tecnico al ministero sono stati respinti ben tre volte dalla Fieg, così come finora gli editori hanno rifiutato di chiudere la partita Inpgi. Di qui il tentativo del governo di aprire tavoli di confronto su alcuni aspetti delle piattaforme contrattuali, a cominciare dal mercato del lavoro giornalistico e del precariato e dalla riforma dell’editoria. La Fnsi da gennaio è impegnata in un duro sforzo su ipotesi di riforma che il governo si è reso disponibile a portare in parlamento. Molte delle questioni al centro del confronto ai tavoli sono le stesse che noi affrontiamo nella nostra piattaforma. Per questo è possibile dire che il ministro Damiano e il sottosegretario Levi devono andare avanti e porre le basi per tentare di risolvere alcune delle ragioni dello scontro. È ovvio che si tratta di un percorso difficile, con una Fieg arroccata e diffidente al limite dell’ostruzionismo. Un percorso però assolutamente importante se si vuole ottenere una possibilità di negoziato vero. Non possiamo che dircelo ancora una volta: dobbiamo essere disponibili a trattare perché questo è il nostro mestiere di sindacalisti. Trattare non significa, lo ripeto, svendere o cedere su principi più volte ribaditi e rispetto ai quali i mandati della categoria sono sacri. Penso alla lotta al precariato, alla struttura del salario. Sfidiamo gli editori e lo stesso governo: voltiamo pagina, a due anni dalla scadenza del contratto Fieg, riprendiamo a dialogare. Discutiamo liberamente e cerchiamo di aggiornare il nostro sistema di regole definito dai contratti, ad esempio sul tema delicatissimo del giornalismo che si esercita in aziende che sempre più acquisiscono una dimensione multimediale. Verifichiamo se le norme introdotte nel 2001 possano essere aggiornate alla luce dell’esperienze, delle vertenze aperte. Valutiamo se una professione che cambia, che utilizza nuovi strumenti di comunicazione visiva, parlata, in rete e scritta, possa rivendicare a testa alta il riconoscimento concreto dell’aumento delle responsabilità. Verifichiamo anche se e quanto i confini della professione si siano spostati e se non sia conveniente a noi giornalisti essere parte attiva di un negoziato avanzato che ponga l’obiettivo di liberare ma allo stesso tempo di contrattare e governare i processi di cambiamento e nuove forme di organizzazione del lavoro. È possibile per il nostro sindacato ragionare di tutto ciò senza pregiudiziali? È possibile per noi verificare se vi sono le condizioni di regolare in modo nuovo, magari maggiormente gratificante, i diversi giornalismi, quelli che si muovono a caccia di notizie ed utilizzano già oggi le più sofisticate tecnologie di comunicazione, e quelli che traducono notizie e servizi nei diversi linguaggi mediatici, figli della convergenza? Credo che, mentre continuiamo a gridare la nostra protesta per l’assenza del contratto sia utile discutere del nostro presente collettivo e del nostro futuro. Se il sindacato giudicasse queste ipotesi discutibili, fortemente innovative ma compatibili con la nostra stessa storia e con i valori che rappresentiamo, occorrerebbe affrontare difficilissime scelte di merito. Ovviamente in un vasto confronto democratico nel quale i cdr avranno una parola decisiva. Ma questo è un capitolo tutto da scrivere e che necessiterebbe della disponibilità delle nostre controparti. Disponibilità che oggi non c’è.. Ed è ora che il Ministro del lavoro, la Presidenza del Consiglio di un Governo che ha recentemente ottenuto una difficile fiducia. Occorre che il governo faccia di più, acceleri il confronto ai tavoli, predisponga le leggi di riforma del sistema della comunicazione, delle televisioni, della rai, dell’editoria e del lavoro giornalistico. Occorre che il ministro Damiano si assuma per intero le sue responsabilità e rapidamente, ripeto rapidamente, vari i provvedimenti che consentano all’Inpgi di attuare una riforma delle prestazioni che rappresenta un sacrificio per i giornalisti ma anche l’unica vera opportunità di difendere un sistema pensionistico autonomo ed efficiente. Se gli editori non vogliono il negoziato, continuano a ricattarci chiedendo la pariteticità nel Cda dell’Inpgi, il ministro dichiari chiuso questo tavolo di negoziato ed approvi una riforma da lui esplicitamente condivisa e votata anche dai rappresentanti della Fieg. Se vuole chiedere un parere al consiglio di stato per sapere se può decidere senza il consenso delle parti sociali lo faccia subito. La Fnsi il parere positivo l’ha gia dato. L’Inpgi non può continuare a perdere 20 milioni di euro l’anno. Quando i problemi finanziari si materializzeranno dovrà poi essere lo stesso ministro del lavoro a chiederne conto. A chi? A noi? Damiano ha in mano le diffide dell’Inpgi a Fieg e a Fnsi e la risposta del sindacato, pronto a firmare la delibera sulla riforma da un anno e mezzo. Ancora, è ovvio che ai tavoli su editoria, televisione, rai e mercato del lavoro noi continuiamo ad esserci. Ma non possiamo condivide i continui rinvii delle riunioni governative, i ritardi, le dilazioni. La presunta crisi di governo è superata, non si può attendere oltre. Spero davvero che l’incontro sull’editoria, con la commissione governativa presieduta dal prof. Cheli del 20 marzo acquisti un significato conclusivo e si proceda verso il varo di un ddl in tempi rapidissimi. Se la Fieg protesta, non ci sta, il governo faccia le sue riflessioni e decida senza sottostare ai ricatti degli editori. Sul mercato del lavoro le misure per favorire la stabilizzazione del precariato hanno carattere di estrema urgenza e possono, debbono essere tradotte in un decreto legge oppure in provvedimenti amministrativi immediatamente operativi. Penso agli sgravi contributivi per l’assorbimento dei disoccupati, all’estensione ai giornalisti degli uffici stampa delle norme di stabilizzazione per i pubblici dipendenti, al tetto per la contribuzione degli autonomi, all’aumento della percentuale contributiva per i giornalisti, alle tutele sanitarie e per la maternità già annunciate da Damiano. La Fieg ha anche chiesto l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti accusato di riconoscere d’ufficio e in maniera immotivata l’avvenuto praticantato. Il governo e il parlamento non possono assistere silenti alla devastazione della qualità dell’informazione, all’espansione di una professione le cui regole vengono aggirate ogni giorno, ad un sistema formativo sbeffeggiato dalle imprese, ad un accesso regolato dai soli editori. I giornalisti devono fare la loro parte, facendo proposte serie di riforma della legge professionale, ma le istituzioni ci devono dire se l’indipendenza e l’accesso sono soltanto problemi nostri e non dell’intero paese. Io penso che queste nostre rivendicazioni, ma anche nuove scelte di fondo, non possano prescindere dalla riaffermazione della proposta strategica di un patto generazionale tra i giornalisti, di una volontà di rappresentarli tutti da parte del sindacato. Credo che non vi possano essere in questa sala dissensi irriducibili su questo tema. Ciononostante, le critiche, il disagio e le preoccupazioni per il futuro sono non solo legittimi ma anche assolutamente giustificati. La Fnsi, il suo gruppo dirigente, io stesso ci assumiamo pienamente la responsabilità di quello che è stato fatto, degli atti del sindacato. Se la categoria ritenesse che la linea affermata dal gruppo dirigente del sindacato sia sbagliata, avrebbe il dovere, il diritto di dirlo chiaramente. Sapendo che le scelte fatte in tre congressi federali e in decine di assemblee come questa non possono essere cancellate. I possibili eventuali errori tattici non possono annullare le grandi opzioni strategiche. Anche se queste vanno rilette con intelligenza. Ritengo anche che sia sbagliato accettare la logica degli editori: di che avete da protestare, un contratto comunque lo avete. La Fieg non ci propone più una tregua, un accordo ponte. Vogliono dividerci e metterci in difficoltà con le istituzioni. Ma parlano del contratto vigente con il retropensiero che sarebbero pronti a disdettarlo ove necessario. Ve lo propongo per la quinta volta così come l’ho proposto al consiglio nazionale un mese fa. Il consiglio ha accettato la mia proposta all’unanimità: andare avanti, con le rivendicazioni sacrosante dei rinnovi dei contratti, con la disponibilità a discutere senza pregiudiziali i problemi della professione, con le sollecitazioni forti alle istituzioni perché facciano la loro parte, con la mobilitazione dei lavoratori giornalisti nelle forme articolate possibili, usando l’intelligenza e la fantasia per ottenere il massimo risultato con sforzi ragionevoli. Con la ripresa delle agitazioni sindacali e dello sciopero contro le nostre controparti e contro il governo prodi se non scioglierà rapidamente i nodi che gli competono. Chiedo che sia dato mandato alla giunta di proclamare nei prossimi mesi un pacchetto di giorni di sciopero nelle forme e nei modi che saranno ritenuti più utili a sostenere le nostre vertenze. Lo faremo certamente con prudenza e moderazione, ma lo sciopero non può essere cancellato dal novero degli strumenti sindacali a disposizione della federazione. Non può essere cancellato perché è il più efficace . Abbiamo gestito la lotta con senso di responsabilità, senza forzare sugli scioperi. È giunto il momento di dirci che non ci sono solo i contratti in ballo. E credo veramente che se il nodo della riforma dell’Inpgi non sarà rapidamente sciolto dal ministro del lavoro bisognerà pur dire che i ritardi del governo pesano sull’autonomia dell’Istituto e sul futuro previdenziale dei giornalisti. Faccio queste proposte sapendo perfettamente che non sarebbe comunque facile chiamare le colleghe e i colleghi nuovamente alla lotta. Occorrerà che tutti facciano il possibile e l’impossibile per far riuscire la mobilitazione. Ma vorrei che fosse chiaro il mio pensiero: o ci spendiamo, rischiamo e andiamo avanti, disposti a ragionare e discutere con tutti, oppure il sindacato dei giornalisti, come lo conosciamo, non esisterà più, la rappresentanza sarà frantumata e saremo più deboli nelle redazioni, anche i giornalisti delle realtà produttive più forti. Guardate le enormi difficoltà che state avendo in tante aziende nel mantenere decenti relazioni sindacali. Le nostre controparti hanno assunto una posizione inaccettabile. Dimostrano di voler spazzare via non soltanto la Federazione, l’Inpgi, l’Ordine, la Casagit, il Fondo. Vogliono spazzare via ogni forma di tutela e di rappresentanza nelle aziende. Far fuori la Federazione sarebbe solo il primo passo. Ed oggi la Fnsi siamo tutti noi ma la responsabilità delle proposte e delle scelte spetta, volenti o nolenti, all’attuale gruppo dirigente.. Non è una affermazione arrogante, è cronaca. A novembre i giornalisti decideranno quale sarà la nuova linea strategica del sindacato, sceglieranno il nuovo gruppo dirigente in un libero e democratico confronto congressuale. Vi chiedo di sostenere la possibilità che la Fnsi che uscirà dal congresso sia realmente unitaria, metta da parte le divisioni per componenti o correnti, si ritrovi attorno ad un programma lineare, chiaro di riaffermazione dei valori fondanti della professione e del suo sindacato. Vi assicuro che nei prossimi mesi lavorerò anche per costruire una vera unità del nostro sindacato.

@fnsisocial

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