«Chi vuole cogliere il pretesto della riforma della giustizia per mettere un bavaglio alla stampa, dovrebbe mettere il naso fuori dai confini nazionali e vedere come molti media europei stanno raccontando il Qatargate, basandosi sui materiali delle indagini portate avanti dall'autorità giudiziaria belga: non c'è nulla di diverso rispetto a quello che fanno i giornalisti italiani. È pretestuoso dire che c'è un'anomalia italiana, non c'è alcuna anomalia», dice Raffaele Lorusso, segretario della Federazione nazionale della Stampa italiana, intervenendo sul tema intercettazioni.
«Se la notizia è di rilevanza pubblica – riflette Lorusso – e può essere utile all'opinione pubblica anche per esercitare consapevolmente i diritti di cittadinanza, e se il giornalista ne entra in possesso lecitamente, ha il dovere di pubblicarla, indipendentemente dal fatto se sia un atto di indagine coperto o meno dal segreto, checché ne pensi qualche esponente della classe politica italiana. C'è una giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell'uomo su questo: il diritto dei cittadini a essere informati prevale anche sul segreto di indagine».
Le intercettazioni restano «uno strumento di indagine importante, ed è chiaro che i giornalisti, qualora ne entrino in possesso, debbano farne un uso responsabile. Quello che rileva è la notizia, non bisogna certo fare il copia e incolla e dare in pasto ai lettori. Le notizie – sottolinea – vanno estrapolate e spiegate tenendo conto del contesto generale in cui maturati i fatti».
L'auspicio del segretario Fnsi è che «tutto questo venga tenuto in debita considerazione da chi pensa a introdurre nuove forme di bavaglio, visto che ce ne sono già tante: penso alle querele temerarie, tema che dal 2002 è all'attenzione Parlamento, ma chissà perché non si fanno passi avanti e intanto i media vengono minacciati da chi vuole impedire loro di occuparsi di determinati temi con richieste enormi di risarcimento danni pretestuosi. Così come non si fanno passi avanti sul tema del segreto professionale e delle fonti, anzi vengono compiute azioni spettacolari nei confronti dei giornalisti, come perquisizioni, sequestri di strumenti di lavoro, pedinamenti. Questo indebolisce il diritto di cronaca e la libertà di stampa nel nostro paese. È sufficiente consultare il rapporto sullo Stato dell'Unione dell'Ue del luglio scorso per trovare tutte queste criticità, insieme con una condizione lavorativa sempre più precaria. Ecco, mi aspetterei che la classe politica discuta di questo piuttosto che di dover combattere contro l'introduzione di ulteriori bavagli. Prevedere eventuali sanzioni per chi pubblica notizie vere, contenute in atti giudiziari come intercettazioni, farebbe fare all'Italia un ulteriore passo indietro nelle classifiche internazionali, allontanando il nostro Paese dalle democrazia liberali occidentali per avvicinarlo a Paesi come l'Ungheria». (Ansa)