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Appelli 13 Mag 2015

In Italia si va ancora in carcere per diffamazione, il caso di Antonio Ciprianie di troppi altri giornalisti

«Nell'indifferenza generale e mentre le modifiche alla legge sulla diffamazione a mezzo stampa rimbalzano da più di un anno e mezzo tra Camera e Senato nel tentativo, finora vano, di togliere il carcere per i giornalisti, un collega, Antonio Cipriani, ex direttore di una testata dissolta e fallita, apre una mail al mattino e scopre di avere un ordine di esecuzione per la carcerazione: 5 mesi e qualche giorno». Inizia così la riflessione del presidente della Fnsi, Santo Della Volpe, sulla condizione dei giornalisti il cui editore è fallito e che si trovano quindi a dover fare da soli i conti con i contenziosi legali in corso.

"Nell’indifferenza generale e mentre le modifiche alla legge sulla diffamazione a mezzo stampa rimbalzano da più di un anno e mezzo tra Camera e Senato nel tentativo, finora vano, di togliere il carcere per i giornalisti, un collega, Antonio Cipriani, ex direttore di una testata dissolta e fallita, apre una mail al mattino e scopre di avere un ordine di esecuzione per la carcerazione: 5 mesi e qualche giorno. La sua colpa è quella di 'omesso controllo', in quanto direttore responsabile, su un articolo scritto da un giornalista professionista. Questo ha deciso il tribunale di Oristano. Cinque mesi in carcere, oppure, se verranno accolte le richieste della difesa, da scontare in affidamento, in prova al servizio sociale o ai domiciliari". Inizia così l'articolata riflessione del presidente della Fnsi, Santo Della Volpe, sulla condizione dei giornalisti il cui editore è fallito e che si trovano quindi a dover fare da soli i conti con i contenziosi legali in corso.

"Un reato di diffamazione, legato all’espressione delle idee e quindi alla libertà di stampa, di nuovo punito con il carcere, come successo anche in passato, ma senza il clamore che aveva suscitato anni fa, solo perché la testata diretta da Antonio Cipriani (E Polis) era piccola e, soprattutto, perché è fallita nel 2011, sollevando un altro grande problema, un vuoto legislativo, del quale fanno oggi le spese anche altri colleghi, come i giornalisti dell’Unità in liquidazione. Senza alcuna proprietà alle spalle, le cause per diffamazione si scaricano automaticamente sulle spalle dei giornalisti e dei direttori di testata, aumentando il carico di risarcimenti e le, eventuali, pendenze penali. Capita così - prosegue il presidente della Fnsi - che su Antonio Cipriani si sommano ben 34 processi, sparsi per tutta Italia, con poche possibilità di difesa adeguata, se non si possono pagare cifre astronomiche per la difesa. Oltre al danno, quindi una vita spezzata, passata a rincorrere le varie cause e, alla fine, pagare, soldi (tanti, perché manca anche l’editore e quindi si scarica tutto sul giornalista); e se non si paga, il rischio è quello di un processo dove non sei difeso e quindi dove sei condannato. Anche al carcere".

"Un girone infernale - sottolinea Della Volpe - dove le ignominiose incongruità sono tante, troppe. A cominciare dal reato d’opinione che in Italia non dovrebbe esistere e che invece vige ancora: e si paga con il carcere. Perché un giornalista non può andare in carcere solo per aver scritto fatti ed espresso idee; possono anche essere state opinioni sbagliate, può anche aver commesso errori, ma sempre di idee e racconti parliamo. Il cittadino che si è sentito colpito, ha tutto il diritto di chiedere giustizia: ma la giustizia non può mai diventare limitazione totale o parziale di quella libertà , in nome del quale si fa informazione. E’ un controsenso, diretto a colpire personalmente l’autore di un articolo che comunque ha scritto in buona fede".

"Se ha sbagliato, il giornalista deve pagare, ma non con il carcere, che diventa - evidenzia ancora Della Volpe - automaticamente una limitazione alla propria libertà di espressione. Il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati deve sempre bilanciare il diritto dei giornalisti ad informare. Questo bilanciamento è essenziale e non si può affrontare con la spada di Brenno, ma con una riforma seria della legge sulla diffamazione che deve essere approvata presto, senza diventare una legge bavaglio, ma ,al contrario, diventando una norma che liberi i lacci e lacciuoli di una informazione libera e di qualità.

Ma nella vicenda di Antonio Cipriani, come in quella dei colleghi dell’Unità, si dimostra che c’è un altro vuoto normativo che va colmato: in caso di fallimento o liquidazione di una società editoriale non si può scaricare sui giornalisti l’intero peso della difesa e degli eventuali risarcimenti. Anche a costo di modificare il codice civile in caso di fallimento, le società in liquidazione o fallite devono continuare a mantenere il peso economico della difesa dei giornalisti che hanno diretto, lavorato e scritto nei giornali, tv, radio, siti web di quella società. Il Parlamento, come auspicato da più parti, anche dai Presidenti di Camera e Senato, deve porre rimedio a questo vuoto normativo, al più presto".

"E per i casi come quello di Antonio Cipriani, occorre - conclude Della Volpe - anticipare qualunque nuova legge, chiedendo che gli venga evitato il carcere o quello che lo potrà sostituire. Perché una condanna che tolga o limiti la libertà di un giornalista per un delitto d’opinione, in Italia nel 2015, non è tollerabile, come ci ha ricordato anche l’Europa. E se necessario, a questo fine, può essere richiesto al Presidente della Repubblica anche un intervento autorevole, il più autorevole che il nostro ordinamento costituzionale prevede".

@fnsisocial

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