L’annuncio del prossimo congresso non sembra avere particolarmente agitato le acque del giornalismo. Colpa delle ferie agostane? Oppure un segno dello stato di prostrazione di una categoria, provata da scioperi, manifestazioni para-politiche tra i saltelli radicalscic e le turbe alla Marinetti anni ’20?
La speranza - lo diciamo subito - è che non si ripeta quanto è accaduto per le elezioni dell’Ordine (particolarmente in Lombardia): assalti tipo “ombre rosse” da parte di nugoli di aderenti a correnti e sotto correnti, gruppazzi sorti per l’occasione, ecc. Diciamo anche subito che è importante eliminare quelle nicchie di disimpegno malmostoso che contribuiscono a “lasciare le cose come stanno” ed a rafforzare l’opinione che la nostra sia una casta professionale arrogante, quando non cinica. E si deve invece partire da un’analisi profonda della situazione del giornalismo, ma soprattutto dello stato del movimento dei giornalisti per comprendere dove andiamo, che cosa ci riserva il futuro, che sarà del sindacato: perché non possiamo ignorare che il momento più alto del nostro sindacato si ebbe quando il “movimento” trasformò l’organismo sindacale. C’è una crisi. Non è tanto questione di testate, di copie vendute e di pubblicità, di disoccupazione e lavoro nero, ma di verificare la valenza che ha mantenuto una categoria (e con quale prospettiva) nel panorama di un paese che bene o male si muove anche al di là dei contrasti e degli errori politici, della demagogia o di sogni zoliani. Quale ruolo e quale collocazione avranno i giornalisti per non diventare la “nona fetente categoria” (gli intellettuali) vituperata e bollata dalla famosa Rivoluzione culturale o addirittura le “scimmie urlanti” di togliattiana memoria? Sono tesi e risposte - con molte altre - da congresso con una preparazione di dibattiti che scarta il contingente, che trascura persino la mancanza di una pur sarcastica autocritica. Dobbiamo riprendere un discorso che vedeva anni fa il movimento dei giornalisti pronto a partecipare, piuttosto che a “compartecipare”. Eviteremo così di essere “individui” di essere considerati alleati o nemici, secondo i venti che soffiano; una categoria ricattabile o minacciabile di interventi censori. Di conseguenza categoria condizionabile da editori di pochi scrupoli o direttori espressione di salotto ed egoisti. Il ricatto non nasce tanto e soltanto dal mancato rinnovo contrattuale. Deve cambiare il modo di diventare e fare il giornalista. Neppure la libertà di stampa, oggi, è affidabile ai giudizi, agli indirizzi, alla riorganizzazione di una realtà, così come presentata dal solo giornalista. E’ altra la pretesa da parte dei cittadini: respingono la mediazione del giornalista considerandola deformazione, oppure frutto di un “sovinformbjuro” di non antica memoria. Tutto questo non significa trascurare le questioni sul campo. 1) C’è molta insofferenza e delusione sul “rendimento” del Sindacato. 2) C’è molta amarezza per il mancato rinnovo contrattuale. C’è un ostacolo grosso come una montagna, alle soluzioni. Non è possibile trovare soluzioni se non si abbandona la strada burocratica e tecnica o, per lo meno, non la si affronta con più elasticità e fantasia, partecipazione e chiarezza, senza turlopinature per procacciarsi qualche voto. Certamente è da valutare una riorganizzazione e riqualificazione della retribuzione. Riconoscere perciò la validità del merito, dell’efficienza e di ciò che consegue (anche il concetto di produttività) in rapporto alla equità. Si affaccia quindi il problema di un sindacato diverso. Correnti o componenti sono destinate a partorire nient’altro che correntine o componentine. Alla fin fine alimentano la demagogia. Riconosciamolo: deleteri sono stati gli slogan giovani/anziani, attivi/pensionati o, peggio, freelance = precari, collaboratori ecc.. Soltanto terreno per cacciatori di voti. Riportare allora il dibattito su prospettive diverse. Nell’attuale maggioranza ogni tanto si affacciano accenti più moderni. Stupisce tuttavia che in occasione di una prossima riunione di corrente, si voglia rafforzare l’Inpgi, ma solo “….. rispetto all’assalto degli editori”. Un modo fasullo di affrontare la questione. Il nostro Ente corre rischi non solo per l’arroganza degli editori, ma anche per le manovre improprie e predatorie della burocrazia, del governo; delle troppe barriere che si oppongono a opportune proposte dell’Inpgi. Per esempio avere voce in capitolo quando si tratta della richiesta e delle concessioni di stati di crisi. “Rafforzare” non è solo questione di sedie in un Cda qualsiasi, ma, per una categoria come la nostra, significa coordinare gli sforzi dei suoi Enti. Non lasciare che ci travolga il magma sociale dal quale emerge finora una teoria dei bisogni che sperpera qualsiasi quadro unitario.