«Se Julian Assange verrà estradato negli Stati Uniti e condannato nessun giornalista sarà più libero». Questo il messaggio che si è alzato con un'unica voce dalla Casa degli autori del Lido di Venezia, lunedì 5 settembre, per chiedere la liberazione del fondatore di Wikileaks. Accolta sul palcoscenico internazionale della Mostra del Cinema, l'iniziativa – seguita da centinaia di persone anche sui social – ha inteso riportare l'attenzione su una vicenda che è dirimente sul fronte della libertà di stampa e dei diritti umani.
«Assange viene accusato di spionaggio quando invece ha svolto il proprio lavoro di cronista e ha diffuso notizie di interesse pubblico. Il giornalista ha il dovere di farlo, lo hanno sancito diverse sente delle Corte Europea. Il segreto con Assange viene invocato non per tutelare la sicurezza dei cittadini, ma al contrario per tutelare la criminalità di Stato. Rispetto alle carte di cui è venuto in possesso prima di renderle pubbliche, con la redazione, ha proceduto con un controllo serrato al fine di cancellare i nomi di tutte le persone che potevano essere messe in pericolo. Il fatto è che non gli è stato perdonato di aver mostrato le foto delle torture a Guantanamo. Siamo qui per rivendicare la liberazione di Assange e anche di tutti gli altri giornalisti incarcerati per avere correttamente informato i cittadini, in Messico, in Siria, in Turchia, in Egitto, in Russia», ha detto Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana, da sempre in prima linea nella battaglia #FreeAssange.
«La decisione dell'Ordine dei giornalisti – ha continuato – di conferire la tessera ad honorem di iscritto ad Assange è una decisione coraggiosa perché siamo consapevoli che Assange è divisivo, ma noi dobbiamo guardare l'oppressione in quanto tale e non il suo eventuale colore».
A consegnare virtualmente la tessera alla collega Stefania Maurizi, che dal 2008 segue il caso Assange, è stato il presidente nazionale dell'Ordine, Carlo Bartoli, con la segretaria Paola Spadari. Un momento di forte impatto emotivo scandito da uno scroscio di applausi. «Siamo qui per difendere Assange e tutti quei giornalisti che ogni giorno si battono per svolgere il proprio lavoro con la schiena dritta. Sotto accusa non c'è solo una persona bensì il diritto/dovere di cronaca», ha rimarcato.
«Mai come oggi il giornalismo d'inchiesta è sotto attacco non solo in Italia ma anche negli altri paesi e questo conferma quanto sia importante il ruolo di chi fa informazione tra tanti bavagli compresi anche quelli legati al precariato», ha aggiunto Monica Andolfatto, segretaria regionale del Sindacato giornalisti Veneto, riprendendo quanto affermato da Andrea Purgatori che ha portato la sua testimonianza di cronista "scomodo", sotto pressione da più fronti per le inchieste che ha svolto e sta svolgendo.
«Il giornalismo non è un reato e non bisogna mai dimenticare il prezzo che Assange sta pagando in termini di affetti che mette a dura prova anche i suoi familiari», ha sottolineato Tina Marinari, coordinatrice delle campagne di Amnesty International. Accanto a lei Donatella Mardolla coordinatrice del neonato Comitato veneto proAssange.
Mentre Manuela Piovano vicepresidente nazionale dell'Associazione degli Autori ha ribadito l'impegno mai venuto meno della sua categoria. Non sono volute mancare all'incontro l'attrice Ottavia Piccolo e Laura Delli Colli, presidente del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani (Sngci), a ribadire che quando sono in ballo libertà e diritti ognuno deve fare la propria parte.
A condurre i lavori, Vincenzo Vita, presidente di Aamod, l'Archivio audiovisivo del movimento operaio, senza la sua passione militante e senza la sua tenacia questa occasione di mobilitazione unitaria, cui ha aderito anche l'associazione Articolo21, non ci sarebbe stata.