Addio al giornalista e critico letterario Paolo Mauri, per vent'anni capo della Cultura di Repubblica. Ne dà notizia il quotidiano diretto da Maurizio Molinari, che ne affida il ricordo al collega Antonio Gnoli, suo successore una volta che Mauri andò in pensione.
Nato nel 1945, giornalista professionista iscritto all'Ordine dal 1979, «uomo spiritoso e colto – scrive, fra l'altro, Gnoli sul sito web di Repubblica –, non l'ho mai visto trascendere o arrabbiarsi. Né alzare la voce. Credo fossero sentimenti totalmente alieni alla sua personalità. Ma in quella postura mentale non c'era niente di arrendevole, niente che potesse compiacere l'altro, solo perché magari l'altro era la pregevole firma che arricchiva Repubblica».
E di firme pregevoli le pagine che fu chiamato a guidare, «con discrezione e tolleranza», dopo Rosellina Balbi, ne collezionarono tante: da Alberto Arbasino ad Attilio Bertolucci, da Antonio Tabucchi a Giuliano Briganti.
«La sua guida fu un insieme di competenza e di resistenza. Sì, la capacità di incassare e di resistere all'usura di un lavoro che dietro le apparenze del navigare in acque tranquille celava lo sforzo prolungato dell'impegno speso giorno dopo giorno», prosegue Gnoli, per il quale Mauri era «l'uomo giusto al posto giusto», perché «Paolo – ricorda – ha davvero rappresentato ciò che di più intimo quelle pagine espressero fin dall'inizio: cioè essere l'habitat nel quale sostare prendendosi tutto il tempo necessario alla lettura».