Ai primi di ottobre è scomparso Flavio Dolcetti, a lungo componente degli organismi direttivi dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti, della Casagit e dell’Inpgi. «Un’uscita di scena come quella che lui per primo si augurava: dopo alcuni anni trascorsi in carrozzella avendo perduto la mobilità, una crisi cardiaca nel sonno l’ha portato via risparmiandogli l’accorgersene», scrive Vieri Poggiali sul sito web dell’Alg.
Ecco di seguito il ricordo del collega pubblicato dall’Assostampa.
Flavio Dolcetti ci ha lasciati
Si va purtroppo esaurendo un’intera generazione di colleghi che in tempi men feroci e più leggiadri a dirla con Felice Cavallotti, molto hanno dato alle istituzioni giornalistiche. Ai primi di ottobre è scomparso Flavio Dolcetti, a lungo componente di parecchie loro sedi direttive: nell’Associazione, nella Casagit, nell’Inpgi. Un’uscita di scena, quella di Dolcetti, come quella che per primo si augurava: dopo alcuni anni trascorsi in carrozzella avendo perduto la mobilità, una crisi cardiaca nel sonno l’ha portato via risparmiandogli l’accorgersene. Aveva 89 anni, compiuti ai primi di luglio. Sposato da oltre 60 anni, due figlie, una delle quali insegnante di italiano a New York, l’altra consorte e manager d’un affermato direttore italiano d’orchestra, Daniele Callegari.
Professionalmente aveva iniziato la carriera a Ferrara, sua città d’origine e dove ora le sue ceneri riposeranno. Giovanissimo portaordini per la Resistenza nel Ferrarese, poi presto approdato come cronista a l’Unità, il giornale che dopo qualche anno lo aveva spostato a Milano e dove ha poi svolto per intero la propria vita professionale. Nelle organizzazioni di categoria - per scelta della sua redazione ma sempre col convinto concorso nelle fasi elettorali di molti voti anche di diversa parte politica - assunse i ruoli che per molti anni erano stati prima egregiamente svolti da Marco Marchetti, giornalista e violinista.
Ottimo cronista, spesso elzevirista acuto, in assoluta spontanea cordialità nei confronti di tutti e quasi specialmente di più verso coloro dei quali non condivideva neppure un briciolo delle idee e dei propositi, Flavio Dolcetti possedeva una dote particolarmente significativa che sta divenendo sempre più rara persino tra le persone colte (e Dolcetti colto lo era), mentre tra gli incolti è pressoché sparita: la dote dell’ironia. Dell’ironia mitigante.
Un minisaggio di citazioni? Eccolo: Sono sempre stato un iscritto leale del Partito comunista italiano, diceva, senza esserne granché simpatizzante. E un’altra volta - nel corso d’un direttivo della Lombarda - ridimensionò un esagitato contrappositore che vociferava di veleni circolanti per l’aria osservandogli con la consueta sua garbata finezza: Guarda che a paragone dei tuoi, quelli dei Borgia potrebbero apparire frutto del lavoro di onesti ortolani o fioricoltori…
Mai acrimonioso, mai fazioso, equilibratissimo sempre e disposto ad ascoltare senza pregiudizi le opinioni altrui pur senza condividerle, Flavio Dolcetti non circoscriveva la propria vita alla sola professione giornalistica e alle pur amate organizzazioni di categoria. Fu un eccellente tennista sino a quando la comparsa di primi disturbi non lo privò del visus di un occhio, eliminandolo da tornei nei quali talora primeggiava. A Bresso dove risiedeva si mosse a lungo nella politica locale, fu per molti periodi consigliere comunale e finanche sindaco, da vicepresidente della Fondazione del Parco si batté a lungo per la sua valorizzazione. Amava la musica che Quirino Principe definirebbe come forte, la musica seria insomma, con una particolare passione in essa per la lirica. Con Flavio si poteva conversare disinvoltamente d’arte di letteratura di storia di politica di geografia di musica. Possedeva cultura e conoscenze a tutto tondo, attitudine a esprimere sempre opinioni non banali.
Nella scia d’un Giorgio Bassani (come anche di Boccaccio) avrebbe potuto agevolmente comporre le altre storie ferraresi, sapide e irresistibili storie di amici di gioventù e di vicende popolari della città e del contado di Ferrara delle quali era impareggiabile narratore che però toccava pungolare, perché ne elargisse uscendo dal suo schivo atteggiamento in merito. Per eccesso di modestia non volle mai cimentarvisi, pur deliziando gli ascoltatori quando si lasciava convincere, ma raramente, a ripercorrere quei suoi ricordi di gioventù.
Un grande, indimenticabile collega, di quelli dei quali è arduo ritrovare oggi lo stampo. Soprattutto è stato un Uomo, con la U maiuscola. Gli sia lieve ora la terra.