Dequalificazione e mobbing: per tre volte Telecom condannata ma continua a far finta di nulla

Suscita molta perplessità ed impone una seria riflessione nei rapporti tra datori di lavoro e dipendenti che pur ottenendo, nelle aule giudiziarie, ragione e riconoscimento dei loro diritti violati non vedono applicate le disposizioni dei magistrati. In tal senso il caso della giornalista professionista Bianca D'Amato e' singolare se non paradossale.

La collega D'Amato, difesa dall'avvocato Pino Marziale, nonostante  abbia avuto riconosciuta  per ben tre volte dai giudici del lavoro la dequalificazione e il mobbing subiti, l'azienda risponde sostenendo che "non intende dare acquiescenza alla sentenza". Perché Telecom Italia si accanisce tanto nei confronti della D'Amato? Perché si continua a non dare il giusto riconoscimento professionale e non le si consente di poter esprimere al meglio le sue capacità e l'esperienza professionale di giornalista professionista maturata non solo per titolo ma anche sul campo in tanti anni? Interrogativi ai quali si auspica ci sia una risposta senza continuare col silenzio e con discutibili scelte aziendali a danneggiare moralmente  e professionalmente la giornalista Bianca D'Amato. Eppure con sentenza di primo grado emessa il 10 maggio 2011, il Giudice del lavoro di Napoli Roberta Manzon accoglie il ricorso della D'Amato obbligando Telecom Italia, oltre che a cessare le condotte reiterate, a ricollocare la collega in mansioni lavorative equivalenti ai ruoli professionali e competenze. Perché Telecom, invece, non solo decide di non dare acquiescenza alla sentenza ma addirittura la trasferisce in un settore identico a quello da cui il giudice ha deciso che venisse trasferita?