di Marina Castellaneta*
Se sul piano nazionale i giornalisti e gli editori si trovano sempre più spesso a fronteggiare cause per diffamazione e connesse condanne, anche per il mancato rispetto dei parametri stabiliti a livello internazionale a tutela della libertà di stampa, la Corte europea dei diritti dell'uomo prosegue nell'opera di rafforzamento dell'attività dei giornalisti, considerata non solo come esercizio della libertà di espressione dei reporter, ma soprattutto come strumento essenziale per assicurare la democrazia.
Ultime in ordine di tempo le sentenze depositate da Strasburgo il 2 ottobre relative a tre cause contro la Russia. Le vicende avevano al centro il giornalista di un settimanale che aveva pubblicato un articolo nel quale contestava a un politico l'uso dell'automobile di servizio per fini privati, un altro testo relativo a una sospetta frode del vicegovernatore regionale e un altro articolo su un altro governatore regionale accusato di aver favorito il proprietario di uno shopping center.
In tutti e tre i casi l'editore/giornalista era stato citato in giudizio in sede civile ed era stato costretto a versare un risarcimento e a pubblicare una rettifica. Di qui il ricorso a Strasburgo che ha dato ragione all'editore/giornalista e condannato la Russia per violazione dell'articolo 10 della Convenzione europea che assicura la libertà di stampa.
La Corte, chiarito che la norma convenzionale tutela anche la scelta stilistica dei giornalisti che hanno diritto a utilizzare un certo livello di provocazione, ha tenuto a sottolineare che i procedimenti per diffamazione a danno dei giornalisti, anche in sede civile, procurano uno stress nel professionista che ha diritto a un indennizzo per il danno non patrimoniale subito.
La Corte ha precisato che la Convenzione tutela anche il diritto alla reputazione dei soggetti al centro degli articoli, ma questo solo nei casi in cui la lesione del diritto alla reputazione raggiunga un determinato livello di gravità, superando una certa soglia e provocando un pregiudizio al diritto alla vita privata. Situazione che non si era verificata nei casi in esame. Inoltre, gli articoli devono essere esaminati nel loro complesso, non estrapolando singole espressioni.
In un'altra sentenza, la Corte sottolinea che un requisito essenziale per le azioni di diffamazione è che l'articolo si riferisca a una specifica persona. In caso contrario, i giornalisti sarebbero sommersi da azioni per diffamazione avviate da tutti coloro che appartengono a una determinata categoria al centro di un articolo, come politici o funzionari dello Stato.
Questo sottoporrebbe i giornalisti a un onere sproporzionato ed eccessivo perché sarebbero costretti a destinare risorse in controversie senza fine, con un inevitabile chilling effect sulla stampa che adempie ai propri doveri di organo di informazione e cane da guardia della società.
La Corte, infine, pone un freno alle difese dei governi chiamati in causa che minimizzano le azioni contro i giornalisti trincerandosi dietro la circostanza che l'azione giudiziaria era di natura civile e non penale. Se l'ingerenza non rispetta gli standard internazionali anche l'imposizione di una multa decisa in un procedimento civile è contraria alla Convenzione europea.
*Marina Castellaneta è professoressa ordinaria di diritto internazionale
PER APPROFONDIRE
L'articolo integrale è disponibile sul blog della professoressa Castellaneta (cliccando qui).