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Massimo Giannini, direttore della Stampa (Foto: lastampa.it)
Appelli 19 Ott 2020

Covid-19, Massimo Giannini: «Un giorno questo dolore ci sarà  utile»

Il direttore della Stampa scrive dal reparto di terapia intensiva dov'è ricoverato dopo che, domenica 4 ottobre, è risultato positivo al coronavirus. «Sono circondato di persone che soffrono e lottano per la vita. Questo è il virus: ricordiamocelo. Bisogna vedere, per capire cosa significa tutto questo», ammonisce.

«Scusate se riparlo di me. Oggi festeggio quattordici giorni consecutivi a letto, insieme all'ospite ingrato che mi abita dentro. Gli ultimi cinque giorni li ho passati in terapia intensiva, collegato ai tubicini dell'ossigeno, ai sensori dei parametri vitali, al saturimetro, con un accesso arterioso al braccio sinistro e un accesso venoso a quello destro. Il Covid è infido, è silente, ma fa il suo lavoro: non si ferma mai, si insinua negli interstizi polmonari, e ha un solo scopo, riprodursi, riprodursi, riprodursi. Meglio se in organismi giovani, freschi, dinamici». A scrivere è il direttore della Stampa, Massimo Giannini, risultato positivo al coronavirus domenica 4 ottobre. «Quanto sono entrato in terapia intensiva – si legge nell'editoriale pubblicato domenica 18 ottobre – eravamo 16, per lo più ultrasessantenni. Oggi siamo 54, in prevalenza 50/55enni. A parte me, e un'altra decina di più fortunati, sono tutti in condizioni assai gravi: sedati, intubati, pronati. Bisogna vedere, per capire cosa significa tutto questo».

Giannini racconta quello che vede in ospedale: il lavoro dei medici, anestesisti, rianimatori, infermieri, «che già ricominciano a fare i doppi turni perché sono in superlavoro, bardati come sappiamo dentro tute, guanti, maschere e occhiali», scrive. E quello che accade fuori da lì, fra la gente («La gente non vuole vedere e spesso si rifiuta di capire»; «Ci siamo dimenticati tutto»), nelle 'stanze dei bottoni': «Rieccoci qui a litigare sulle colpe, a contestarci i ritardi»; «Le cose non stanno andando come avrebbero dovuto»; «Ripetiamo gli errori già fatti», osserva. E poi snocciola i numeri, che non quadrano: posti letto, ventilatori, medici e infermieri.

«Non recrimino, non piango. Vorrei solo un po' di serietà – dice ancora –. Vorrei solo ricordare a tutti che anche la retorica del 'non possiamo chiudere tutto' cozza contro il principio di realtà, se la realtà dice che i contagi esplodono. Se vogliamo contenere il virus, dobbiamo cedere quote di libertà. Non c'è altra soluzione». Servono sacrifici da parte di tutti, «scambiando la rinuncia di oggi con il riscatto di domani. Ma per poterci riuscire – incalza – abbiamo bisogno che governo, regioni, autorità sanitarie e scientifiche si muovano come un 'corpo' unico e visibile, un dispositivo coerente e credibile di atti, norme, parole».

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