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Sindacale 26 Gen 2009

Contratto, la voce dei freelance: l'intervento di Andrea Rustichelli, vice presidente Consulta Freelance dell’Associazione Stamparomana

Pubblichiamo l'intervento di Andrea Rustichelli, vice presidente Consulta Freelance dell’Associazione Stamparomana

Pubblichiamo l'intervento di Andrea Rustichelli, vice presidente Consulta Freelance dell’Associazione Stamparomana

L’intervento del segretario dell’Associazione Stampa Veneta, che ha trattato in modo mirato la questione del lavoro autonomo (in realtà è lavoro “parasubordinato”), è per molti aspetti esemplare. Esso centra una realtà palese, dandole una prima risposta sindacale. I positivi risultati ottenuti dal sindacato veneto poggiano interamente su una consapevolezza che diventa azione: i collaboratori sono parte integrante delle redazioni e come tali è necessario trattarli. Tradotto in termini sindacali: i cdr non possono ignorare la presenza capillare dei collaboratori all’interno del prodotto giornale, se ne devono anzi occupare a pieno perché solo col loro intervento è possibile dare al lavoro redazionale nel suo complesso veste dignitosa e razionale. Nell’interesse di tutti i colleghi, anche degli articolo 1: se non dovesse bastare (e probabilmente non basta) la grande “questione etica” che per i giornalisti assunti dovrebbe rappresentare il cosiddetto lavoro autonomo, vulnus della categoria. Le grandi difficoltà per il rinnovo del contratto non devono essere un alibi. La presa di posizione fattiva in favore dei collaboratori non può aspettare il contratto nazionale: deve già adesso agire in profondità e orientare l’attività sindacale di base delle associazioni regionali e dei cdr, in parallelo e in autonomia rispetto alle trattative Fieg-Fnsi (le quali non è detto portino evidenti benefici ai parasubordinati). La crisi economica, che senza dubbio sarà usata per ridurre il costo del lavoro, deve trovare risposte ferme nel sindacato: ed è evidente che i primi ad essere colpiti dai tagli saranno proprio i colleghi collaboratori, come già sta accadendo (essi da anni pagano per tutta la categoria: sono stati inventati per questo). Deve essere centrale un principio: non è più ammissibile l’idea discriminatoria di un mercato del lavoro (e delle tutele) di serie A (gli “interni”) ed uno di serie B (gli “esterni”). Lo devono capire gli editori, certamente. Ma anche tutti i colleghi delle redazioni, che possono essere determinanti, nel lavoro quotidiano, per la vicenda dei collaboratori. Quella discrepanza esiziale, serie A e serie B, ha fatto il suo tempo. Quello che oggi deve animare la prassi sindacale è, invece, il principio di un unico mercato del lavoro e di una redazione espansa, che i giornalisti abitano secondo diverse funzioni (schematicamente, le due fondamentali: la “redazione” o assemblaggio delle notizie e il “reporting” o proposta/scrittura delle stesse). Una categoria unitaria, dunque, con compiti e funzioni differenziate, che spesso certamente si intrecciano. Questo stato di cose opera già nella maggior parte delle redazioni, dove però i fatti non hanno ancora trovato una nuova e adeguata configurazione etica e giuridica: i collaboratori, nonostante il loro ruolo prezioso, restano lavoratori del tutto discriminati (lavoro allo stato gassoso). Dagli editori, ma non solo. Soltanto sostituendo il vecchio e dicotomico ordine (serie A e serie B) si potrà sventare l’incipiente scissione generazionale, che incombe anche sul nostro sindacato. Ma è evidente che questo passaggio richiede una svolta culturale e una ridistribuzione di risorse. Occorre che la vecchia serie A, che oggi domina numericamente il sindacato (anche per motivi generazionali), accetti di mettersi in discussione promovendo nella vita quotidiana delle redazioni una piattaforma del lavoro autonomo, che guidi e salvaguardi il suo strutturale utilizzo. Prima ancora di sedersi al tavolo della Fieg, il sindacato dei giornalisti dovrebbe veicolare al suo interno tale prospettiva: facendo leva sulle Associazioni regionali e sui cdr, luoghi di incontro naturali tra “interni” e collaboratori. E occorre cominciare da una consapevole deontologia da parte dei giornalisti graduati che impiegano i giornalisti collaboratori: perché, in molti casi, si fanno complici (magari in buona fede) del loro sfruttamento, violando anche l’art.2 della Legge 69 del 1963 (che impone lo “spirito di collaborazione tra colleghi”). È evidente che anche la parte più garantita delle redazioni sia oggi in grave sofferenza: nessuno chiede, in questo momento difficile, di frantumare i fronti di battaglia in un surplus di altruismo. Ma qui si tratta di altro: il fronte di battaglia, a ben vedere, ha due facce ma è unico. Perché scaricare sui collaboratori i costi del lavoro giornalistico è un’offensiva unica, che tutta la categoria sta subendo. E quindi, per esempio, la battaglia sui compensi congrui per i collaboratori integra la battaglia per gli stipendi tout court. Giornalisti tra giornalisti, nell’unità della redazione allargata e nella reciproca integrazione di “interno” ed “esterno”, i cardini del prodotto giornale. È questo già di fatto lo statuto dei collaboratori, che merita ora il più pieno riconoscimento di diritto, da perseguire palmo a palmo innanzi tutto nella vita lavorativa di ogni giorno. Il resto, all’ombra del fatidico contratto, sembra ipocrisia.

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