Ringrazio la Presidenza che mi dà l’opportunità di informare il congresso sull’evoluzione delle vicende contrattuali, anche se l’ordine del giorno di questa sessione, fissato da un documento approvato a Saint-Vincent, fa riferimento soltanto alle modifiche statutarie.
Ritengo, però, che sia impossibile parlare dei contratti dei giornalisti senza accennare allo stato del sistema della comunicazione. Nel mondo ed in Italia. Assistiamo ad uno sviluppo contraddittorio e squilibrato che tende a premiare i forti e ad espellere i deboli, con una globale riduzione del pluralismo e della qualità dell’informazione. La comunicazione libera diventa per i poteri e molte imprese un obiettivo da combattere, i giornalisti che danno fastidio vanno emarginati se non eliminati. Ad esempio, l’inviato in Iraq diventa l’ostaggio ideale, il bersaglio dei terroristi, ma i governi della coalizione non fanno abbastanza per garantire un minimo di sicurezza e le imprese si adeguano. Con il risultato che solo pochi giornalisti, soprattutto gli embedded, i più contigui ai poteri, sono legittimati a raccontare i fatti senza disturbare il manovratore. A Roma la polizia manganella giornalisti, fotoreporter e telecineoperato e gli stessi studenti bloccano una telecronaca in diretta. Centinaia di giornalisti, dal Nepal dal Maghreb all’America Latina, dalla Tunisia all’Africa, centinaia di giornalisti ogni anno vengono uccisi, feriti, minacciati, incarcerati, comunque intimiditi dai poteri, dal terrorismo, dalla criminalità organizzata. In Italia, la scena politico-istituzionale è dominata dalle elezioni politiche generali del prossimo aprile. La campagna elettorale in corso ha fortemente investito, come era facilmente prevedibile, il tema fondamentale della libertà di informazione, del pluralismo culturale, del diritto di critica e di satira. Nell’Italia del conflitto di interessi non risolto, il premier attacca una stampa e una televisione che non lo sosterrebbero, cita i nomi di donne e uomini dello spettacolo che lo criticano, chiede alla maggioranza l’abolizione o la radicale trasformazione della legge sulla par condicio nelle trasmissioni elettorali. Il centro sinistra afferma il contrario: l’informazione radiotelevisiva ed anche parte della carta stampata – dice prodi – sono sotto il controllo, diretto o indiretto, del capo del governo. La legge Gasparri produce effetti dannosi, la rai va sottratta all’invadenza del governo e dei partiti. Credo che il sindacato dei giornalisti debba dire qualcosa di forte nell’attuale momento. La comunicazione, così come la cultura, è un bene essenziale per i cittadini che hanno diritto di conoscere le intenzioni della politica, di sapere se i programmi di coloro che si candidano a governare il paese nei prossimi cinque anni, sono determinati o no a garantire una informazione corretta e di qualità. Innanzitutto occorre che la maggioranza ritiri la proposta dei tagli all’editoria e alla cultura previsti nella legge finanziaria. Tagli che produrrebbero effetti devastanti sulle produzioni culturali (teatro, musica, cinema) e su tantissimi quotidiani, periodici ed emittenti locali. In difficoltà sarebbero, a causa del mancato rifinanziamento delle agevolazioni, soprattutto le aziende costituite da cooperative di giornalisti e quelle che editano testate di idee, di movimento e del volontariato. Bisogna poi che i due schieramenti si pronuncino chiaramente sul conflitto di interessi (la legge Frattini non risolve un bel niente) e sulla Gasparri che non può essere riformata, ma va abrogata sia nella parte che accentua lo squilibrio delle risorse, con la costituzione del famoso sistema integrato sic, sia in quella che definisce il rafforzamento del controllo del governo e dei partiti sulla Rai. Credo di poter esprimere soddisfazione per il fatto che nel centro sinistra (con le recenti dichiarazioni di prodi), ma anche in settori del centro destra, si cominci faticosamente a far strada la tesi che la politica debba fare un passo indietro dal servizio pubblico e dai media in generale. Certamente anche dalla carta stampata dove la vicenda della scalata alla Rcs ed al Corriere della Sera deve ancora essere scritta interamente. Occorre che le leggi e i poteri rispettino l’autonomia, l’indipendenza dell’informazione che rappresenta una chance di qualità dei prodotti e di pluralismo politico, culturale e sociale. Le dichiarazioni di principio, però, non bastano: vogliamo leggere i programmi, le proposte concrete, i fatti. Vogliamo sapere se la privatizzazione della rai resterà nell’agenda di alcuni esponenti del centro sinistra, oltre che dell’attuale maggioranza di governo. Perché la Fnsi continuerà ad essere al fianco dell’Usigrai per una rai che continui a svolgere, anzi lo faccia meglio di oggi, il ruolo e la missione di servizio pubblico. Non basta una diretta in più e un Rock Politik per convincerci che qualcosa sta cambiando. Non basta dire no alla lottizzazione, bisogna che a chi detiene o conquista il potere sia impedito di lottizzare e di attuare forme sempre più selvagge di spoil system. Occorre che sia impedito alla politica, al governo di umiliare, rimuovere, cacciare giornalisti noti e meno noti, donne e uomini dello spettacolo e della satira perché giudicati fastidiosi. Occorre che la proprietà di un giornale, di una emittente risponda solo agli interessi di una informazione libera e ovviamente plurale. Siamo disposti a ragionare senza pregiudiziali con chi vorrà confrontarsi con i rappresentanti dei giornalisti ma tutti devono sapere che non saranno fatti sconti a nessuno. Abbiamo fatto le nostre battaglie a viso aperto, senza nasconderci e continueremo a farle. Dobbiamo, credo, batterci per la difesa di regole certe che garantiscano la par condicio tra le forze in campo nella campagna elettorale, sia nelle radio e nelle televisioni sia nella carta stampata. Forse l’attuale legge non è delle migliori, ma è certamente migliore della totale libertà di spot. Non posso che giudicare positivamente, oltre che la battaglia del centro sinistra in materia, anche la posizione assunta dal Presidente della Camera, il quale, dall’interno della maggioranza, ha manifestato contrarietà ad uno scenario che veda l’assoluta e selvaggia occupazione degli spazi pubblicitari. Lo stesso Capo dello Stato sarebbe preoccupato per una campagna elettorale senza regole. Vedete quanti temi caldi ci riguardano ancora da vicino in una situazione che, in definitiva, ci appare molto poco chiara. Credo che sia indispensabile legare queste battaglie per la libertà e il pluralismo, per il diritto di cronaca e contro ogni forma di censura e di limitazione dell’informazione. Credo anche che sia indispensabile legare le iniziative in difesa del diritto dei cittadini ad essere informati correttamente con quelle per i rinnovi dei contratti. La qualità del lavoro, i diritti soprattutto dei giornalisti più deboli, sono l’altra faccia della medaglia di una informazione libera e ne costituiscono la premessa e la condizione indispensabili. Per questo sono convinto che sia importante una iniziativa nella quale i temi al centro della rinnovazione contrattuale, dal lavoro autonomo al precariato, all’attuazione della legge sul mercato del lavoro, si leghino alla battaglia per il pluralismo della cultura e dell’informazione, contro le censure e i tentativi reiterati di limitare le libertà. La giunta ha discusso la proposta di una manifestazione nazionale insieme alle associazioni, ai sindacati, ai movimenti che condividono le nostre preoccupazioni. Anche sui temi del rapporto tra informazione e giustizia occorre rilanciare una azione forte delle nostre organizzazioni perché la tentazione di mettere il bavaglio ai giornalisti, con intimidazioni e minacce, resta sempre rilevante. Certo, è singolare quanto flebile sia la voce degli editori su questi temi, quegli editori che dovrebbero essere interessati a difendere l’indipendenza dei loro giornali e dei loro giornalisti. Ma nell’attuale clima gli strumenti della comunicazione, ed in particolare i giornali, diventano affari a prescindere dal contenuto. Ormai si allega di tutto ai nostri giornali, enciclopedie, libri, cassette, persino un servizio di posate, compresi i cucchiaini da caffè (idea di marketing del Gruppo Riffeser). L’importante è attirare la pubblicità; le vendite e quindi la qualità dell’informazione sono un optional residuale. Per noi, invece, resta strategico, per lo stesso appeal dei media, difendere l’identità, l’indipendenza di tutti gli organi di informazione, il rispetto della qualità del prodotto e delle esigenze dei lettori. Il sistema delle imprese risente inoltre dei forti interessi privati, industriali, finanziari e commerciali di coloro che investono nella comunicazione. Una anomalia italiana politicamente trasversale che rende difficile esercitare liberamente e senza condizionamenti questo mestiere. Nonostante queste preoccupazioni, nonostante una evidente diversa cultura dell’impresa giornalistica, speravamo e ancora speriamo di avere almeno una parte del mondo dell’impresa dalla nostra. Speriamo che sia possibile parlare con gli editori, pubblico e privati, di statuto dell’impresa giornalistica, di regole che definiscano comportamenti di editori e giornalisti che rispettino la dignità dei lettori. Speriamo che sia ancora possibile aprire in questo paese un grande dibattito sull’indipendenza dei media e sullo sviluppo equilibrato del settore. Questo significa sperare che sia riconosciuta da tutti i soggetti la necessità di un giornalismo libero, responsabile, rispettato nelle aziende e nella società, consapevole delle proprie responsabilità ma il cui lavoro debba essere comunque sempre riconosciuto. Finora però la risposta che viene dalle imprese, è drammaticamente deludente e profondamente pericolosa e punta chiaramente a scardinare il sistema di diritti e di libertà di cui parlavo. La Fnsi ha dovuto interrompere tutti e tre i negoziati contrattuali aperti. Non riusciamo ormai da anni ad aprire un serio confronto con la rappresentanza delle istituzioni pubbliche per un contratto dei giornalisti degli uffici stampa previsto espressamente da una legge dello stato. Abbiamo dovuto ricorrere alla magistratura del lavoro per ottenere il rispetto della legge 150. Abbiamo realizzato, la Fnsi e le Associazioni regionali, accordi territoriali, a livello di regioni, di province, di comuni che hanno consentito di espandere la contrattazione Fnsi, di aumentare notevolmente la base contributiva degli iscritti all’Inpgi e di affermare la dignità dei colleghi degli uffici stampa. Ma senza una contrattazione nazionale tutto ciò non basta. Il Sindacato dei giornalisti ha chiesto alle organizzazioni dell’emittenza locale aeranti e corallo di rinnovare il primo contratto dei giornalisti delle tv e radio locali ottenendo significativi avanzamenti a cominciare dall’omologazione dell’orario di lavoro in tutti i settori. Ci è stato risposto che quel primo contratto non può essere migliorato di una virgola, anzi dovremmo arretrare sulle retribuzioni e sulle tutele normative. Un negoziato bloccato per il quale non vedo al momento sbocchi positivi. Con la Fieg abbiamo cercato, come ho detto, di "volare alto", di aprire un confronto sulla natura e sulla realtà del giornalismo nella carta stampata e nell’emittenza nazionale, nell’on line e negli altri nuovi media. Purtroppo non abbiamo avuto risposta. Abbiamo presentato la piattaforma che conoscete, richieste che individuano il rafforzamento della qualità del prodotto e i diritti dei giornalisti, il ruolo dei comitati di redazione, le prospettive per la previdenza generale dell’Inpgi e per la previdenza complementare, uno sviluppo positivo e concordato di una organizzazione del lavoro che rispetti le regole e impedisca distorsioni nell’uso delle flessibilità concordate. Abbiamo chiesto, soprattutto di sospendere l’applicazione delle leggi sui contratti a termine e sul mercato del lavoro (la così detta legge 30), in modo che siano rispettati la peculiarità e il ruolo sociale della professione giornalistica, escludendo quell’utilizzo selvaggio del mercato del lavoro che non può essere applicato nelle redazioni, pena la scomparsa graduale di ogni forma di lavoro dipendente. Abbiamo chiesto norme minime di rispetto della dignità del lavoro giornalistico dei freelance, e dei collaboratori di ogni genere, prevedendo minimi retributivi decenti. La nostra piattaforma, un documento equilibrato e coerente, è stata respinta e la Fieg ha presentato la prima piattaforma articolata nella storia delle relazioni sindacali tra editori e giornalisti. Abbiamo cercato di informare la categoria sui rischi di questa piattaforma e non entro nel merito delle nostre osservazioni che certamente vi sono note. Attacco agli scatti di anzianità, al regime delle corte e delle ferie, licenziabilità dei capi, inasprimento del codice di disciplina, e tanti altre modifiche richieste annullerebbero l’efficacia di un contratto che, con tutti i suoi difetti, rappresenta uno strumento di difesa della nostra autonomia e del nostro ruolo professionale e sociale. Un esempio per la maggior parte dei sindacati dei giornalisti di tutto il mondo. Nonostante lo scontro sulle piattaforme sia stato sin dall’inizio difficilissimo – e lo sciopero di giugno lo ha dimostrato - abbiamo provato in incontri e contatti successivi. Ad accertare le intenzioni degli editori. Ci è stato chiaramente detto che il mondo dell’impresa intende regolare i conti in maniera definitiva con il nostro contratto e con i giornalisti. Ci è stata manifestata la volontà delle imprese di "normalizzare" una categoria che ha le regole di tutela più forti dell’intero mondo del lavoro italiano. Ci è stato detto che il salario globale, che il monte contributivo dei giornalisti si deve ridurre in una prospettiva di 7-8 anni di almeno il 30-40% e che i giornalisti dipendenti devono poter essere sostituiti con "personale a costo più basso". In queste condizioni la rottura di maggio si è rafforzata ed ha acquistato ulteriori motivi di gravità, come la decisione della Fieg di tenere insieme la vicenda contrattuale e l’annunciata riforma della previdenza Inpgi, approvata dal consiglio di amministrazione con l’unanimità dei componenti giornalisti ed editori. Ed inoltre il rifiuto a dare autorità e forza al fondo di previdenza complementare. Fortunatamente è stato lo stesso Ministro del Lavoro Maroni a chiedere alla Fieg, pubblicamente, in una riunione del CdA dell’Inpgi a cui era stato invitato da Gabriele Cescutti, di stralciare la previdenza dallo scontro contrattuale e di concludere con la Fnsi comunque entro dicembre una intesa che dia corpo alla riforma. Una soluzione negoziale basata sulla fiducia reciproca è anche difficile a causa dell’inasprimento delle relazioni sindacali in numerose aziende del settore editoriale sia per quanto riguarda l’applicazione del contratto sia relativamente alle relazioni sindacali nelle aziende. Gli scioperi di settembre e di inizio ottobre, che si sono svolti con grande partecipazione dei colleghi, sono andati bene ed hanno rafforzato il sindacato. Occorre quindi che tra noi si sviluppi la convinzione che è possibile ribaltare la situazione a nostro favore nelle tre vertenze contrattuali. Dobbiamo essere però anche consapevoli della grande responsabilità che grava sul gruppo dirigente della Fnsi. Per questo ritengo che abbiamo fatto bene a percorrere lo stretto sentiero dell’accordo biennale, alternativo allo scontro sulle piattaforme, che la Fieg ha proposto. Una proposta basata sulla proroga di due anni della parte normativa del contratto, su una intesa di aumenti adeguati dei minimi salariali, sulla definizione delle parti relative all’Inpgi e al Fondo. Ma anche, e per noi è una condizione irrinunciabile, una garanzia certa dell’apertura di un confronto di tipo contrattuale sul lavoro autonomo e la sospensione altrettanto certa degli effetti della legge 30. Al momento queste condizioni irrinunciabili non ci sono. Come abbiamo detto lunedì scorso siamo sempre disponibili a riaprire il dialogo se ci fossero novità. Mercoledì 2 novembre si riunirà a Milano la presidenza della Fieg. Attendiamo queste novità, attendiamo – abbiamo detto – "aperture percorribili". Intanto la Fnsi ha deciso le date e le modalità di due giornate di silenzio nell’informazione quotidiana e della prima tornata di scioperi nei periodici. Abbiamo anche inviato la lettera alla rai con il preavviso per il servizio pubblico. Non abbiamo reso nota la data degli scioperi solo per evitare che il comitato di presidenza della Fieg abbia l’alibi per dichiarare chiuse tutte le strade addossando a noi l’assurda accusa di esserci arroccati su proposte irragionevoli e di avere reso inutile un incontro avendo proclamato gli scioperi. Se dalla Fieg non giungeranno segnali, se si tenterà di prendere tempo andando oltre i giorni immediatamente successivi al 2 novembre, se non arriveranno cambiamenti nella posizione di aeranti-corallo e dell’Aran la strada non potrà che essere quella della lotta per difendere i nostri diritti, con una precisazione: la nostra piattaforma resta quella presentata in primavera e per la quale stiamo lottando. Migliaia di colleghe e colleghi che hanno condiviso la battaglia unitaria del sindacato, la necessità di dare dignità e tutele a freelance e collaboratori sfruttati e ricattati, l’esigenza di sostenere la qualità del lavoro giornalistico dei singoli e delle redazioni, non capirebbero esitazioni e timori, non accetterebbero la rinuncia a chiedere rigore e determinazione nella partecipazione alle lotte. Ricercheremo ogni intesa percorribile ma non rinunceremo ai principi che questo congresso, a Saint-Vincent, ha solennemente riaffermato. Ed ai quali l’intero sindacato, unitariamente, lesta fortemente legato. Roma, 27 ottobre 2005 - Hotel Ergife