Non ho ancora capito se è soltanto fortuna oppure abilità: ma certo è un fatto che le assemblee ed i convegni della Federazione nazionale della Stampa si collocano sempre, dal punto di vista temporale, nel momento giusto; all'apice dell'attenzione sul sistema dell'informazione, per un verso; al centro di una discussione sulla riforma della contrattazione, per un altro.
Dando più peso, per quanto riguarda la "regia" dì questi eventi, all'abilità degli organizzatori piuttosto che alla fortuna e considerato che, per quanto vi riguarda, occorrerebbe semmai parlare di “sfortuna” quando si affrontano i temi legati alla contrattazione, partirei proprio da questo secondo aspetto per svolgere alcune brevissime considerazioni. Se la osserviamo dal punto di vista di un giornalista, tutta questa discussione sulla "revisione dei modelli contrattuali" che sta riprendendo vigore da qualche settimana, ha qualcosa di paradossale: come, infatti, direbbe - con Shakespeare – Romeo all’amico Mercuzio, stiamo "parlando di niente". II contratto di lavoro è scaduto da mille giorni e ci sono altri otto milioni di lavoratrici e lavoratori, come voi, in attesa del rinnovo del proprio contratto nazionale. Ha davvero poco senso, allora, intavolare una qualsiasi discussione, addirittura discettando sulle sedi dove questa dovrebbe avvenire, di fronte ad una violazione così palese – e, permettetemi di dire, vergognosa - dei diritti dei lavoratori. Siamo un Paese dove la realtà supera sempre l'immaginazione e dove i fatti, o meglio, la politica del dato di fatto, anticipa costantemente il legislatore. Pensate che un paio di giorni fa uno dei più importanti quotidiani nazionali titolava, a proposito della riforma tv: "il governo accelera". Peccato che lo stesso titolo, con governi diversi, sia stato impegnativamente riproposto decine di volte da quando, circa un quarto di secolo fa, un altro governo intervenne per decreto per fermare - era il 16 ottobre del 1984 - l'oscuramento delle tv della Fininvest da parte delle Preture di Roma, Pescara e Torino. Da allora le "accelerazioni" sono state innumerevoli ma tutte effettuate, mi sembra di capire, tenendo premuto il pedale della frizione! Ma di questo parlerò tra poco. Dicevo, invece, del contratto: come è possibile, mi chiedo, che non si dedichi alla vostra situazione la stessa preoccupata attenzione - anche da parte del sindacato - che, per esempio, si ha per le forze dell'ordine o per la magistratura quando si dice, e a ragione, che si tratta di categorie in qualche modo speciali, di problemi che travalicano le questioni meramente giuslavoristiche e persino economiche per entrare, prepotentemente ed inequivocabilmente, tra i temi ed i problemi che hanno rilevanza istituzionale? Come può uno Stato definirsi libero e democratico se non garantisce, assieme all'ordine ed alla giustizia, l'elementare diritto dei cittadini all'informazione? L'Ugl, da molti anni, non fa mancare al Segretario Serventi Longhi – che saluto e ringrazio di cuore per l'invito - il proprio appoggio. Non abbiamo aspettato il momento del "congedo" dall'incarico, insomma, per prendere atto che la sua azione a difesa del diritto di cronaca, innanzitutto, ma anche a tutela delle condizioni previdenziali, normative ed economiche della categoria, rappresentava una sorta di avanguardia di tutte le libertà e di tutti i diritti dei lavoratori, non solo dei giornalisti. Voglio dire che il tentativo di smontare e depotenziare il vostro contratto nazionale non solo si inserisce nel più ampio disegno di deregolamentare ed individualizzare i rapporti di lavoro che viene perseguito con lucida determinazione nel nostro Paese da una componente non certo marginale della parte datoriale, ma rappresenta il punto di partenza del progetto liberista - ormai fatto proprio anche dalla sinistra - di minare alle fondamenta la visione solidaristica del contratto collettivo di precarizzare il rapporto di lavoro. Per questo non posso che esprimere la mia gratitudine alla Fnsi ed a tutti i giornalisti italiani che hanno preferito continuare a lottare per la salvaguardia dei principi di libertà e professionalità contenuti nella propria piattaforma rivendicativa, piuttosto che raccogliere "l'uovo" - cioè i pochi euro offerti dalla Fieg - di una gallina che, i fatti lo dimostrano, non avrebbero certo ottenuto domani. Devo, anche dire che - al di la di alcune sortite del Ministro del Lavoro, Cesare Damiano - non ho colto nel governo la necessaria consapevolezza bella gravità della situazione; anzi, mi sembra che qualcuno si sia adoperato, sul versante economico, per rendere la situazione ancora più complessa e delicata, soprattutto per le testate minori. A questo punto io credo che sarebbe opportuno che le Confederazioni sindacali valutassero ogni più utile azione d'appoggio alla vostra vertenza, senza escludere il ricorso a forme dì mobilitazione importanti e generali per tutelare il bene comune della libertà di stampa. Faccio questa proposta qui e oggi, perché possa essere raccolta, in una occasione così solenne, dai colleghi di Cgil, Cisl e Uil e, magari, discussa con voi, nella speranza che le nostre "visite" siano occasioni di impegno e non solo di "cortesia". Come dicevo all'inizio, prima di concludere questo mio breve ma sentito saluto, vorrei dire qualcosa in più sul tema della libertà di stampa nel nostro Paese e vorrei farlo nel momento in cui è forte la polemica sui monopoli o duopoli che si sono andati formando in questi anni nell'informazione, sia televisiva che stampata, a seguito della vicenda delle intercettazioni finite su Repubblica. Prima di tutto vorrei però dire che condivido quanto affermato da chi sostiene che da questa storia vengono fuori più conferme della correttezza dei giornalisti che dubbi sull'affidabilità della categoria: sono, infatti, davvero pochi i giornalisti coinvolti e non mancherà certo la possibilità di accertarne le colpe. La vicenda delle intercettazioni telefoniche tra i vertici di Mediaset e quelli di Viale Mazzini ha rinvigorito le polemiche accendendo un riflettore sulle presunte intese tra i due concorrenti. Per quanto non credo ci fosse bisogno di ascoltare le conversazioni "private" - e inutilmente "blindate" da un legislatore che punisce gli "effetti" invece delle "cause" e pretende di cucire la bocca ai giornalisti invece di perseguire i malfattori - per "scoprire" "l'entente cordiale" che governa l'etere. Verrebbe da dire, continuando a citare – questa volta da Riccardo IH Shakespeare, che "bel mondo questo! Chi è tanto stupido da non vedere che è un palese imbroglio? Però chi è tanto intrepido da dirlo? Cattivo è il mondo, e tutto verrà al niente se i mali non li vede che la mente". Se in economia abbiamo il "pensiero unico" ed in politica tendiamo ormai al "partito unico", in televisione, e da molti anni, abbiamo il "palinsesto unico". Non esiste più una vera "controprogrammazione" tra le reti pubbliche e private e la sfida degli indici di ascolto ha ormai la stessa credibilità dell'imparzialità arbitrale nel calcio ai tempi di Moggi. Intervenendo nella trasmissione di Giuliano Ferrara su La 7, il Presidente Berlusconi, commentando il presunto scandalo delle telefonate tra i concorrenti, ha detto che la questione, in fondo, si riduce ad un accordo tra Mediaset e Rai per affidare i sondaggi sulle elezioni ad un unico istituto demoscopico: il tutto al solo scopo di dimezzare i costi. Semplice "buonsenso", dunque, in nome di una austerità che – peraltro - non sembra particolarmente coltivata, su altri fronti, almeno dai vertici di Viale Mazzini. Invece, secondo me, questo episodio la dice lunga sul concetto di "concorrenza" e, più in generale, sul rispetto degli utenti e della libertà di informazione, che esiste oggi in Italia. Se ha un senso diffondere dei sondaggi in attesa di conoscere i risultati delle elezioni, ha un senso anche e soprattutto che queste "previsioni" possano essere confrontate, lasciando che i telespettatori si orientino, nella scelta delle reti da seguire, su quelle che offrono maggiore affidabilità. Del resto tutti ricordiamo le polemiche seguite, qualche anno fa, alla diffusione di alcuni exit pool risultati totalmente inattendibili alla verifica dei risultati elettorali. Col "sondaggio unico", invece, lo share è salvo perché ognuno conserva il proprio: a che serve, del resto, cambiare canale se i risultati sono dati a reti unificate? Immaginate il sondaggio unico sotto forma di "agenzia unica", di "format unico", di "redazione unica" del corpo centrale di un quotidiano al quale giornalisti sempre più precari aggiungono soltanto un po' di cronaca "locale" e qualche necrologio e avrete la fotografia di quella che potrebbe essere, in un futuro non tanto lontano, la professione del giornalista. Sono certa che, con il vostro Congresso, saprete sottrarre la categoria a questo destino, individuando per i prossimi anni una guida ed una classe dirigente altrettanto determinata e intelligente di quella che oggi si congeda: auguri.