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Sindacale 27 Nov 2007

Congresso Fnsi, il Direttore della Fieg, Alessandro Brignone: “Se partiamo da questi principi la strada della contrattazione diventa percorribile”

Vorrei anzitutto ringraziare il Presidente Siddi e il Segretario Nazionale Serventi Longhi per avermi invitato a questo importante convegno. A quest'ultimo in particolare, che lascia la sua carica per la scadenza di un mandato che ha assolto con grande professionalità, vorrei esprimere assieme al saluto degli editori i miei sentimenti di grande rispetto, stima e sincera amicizia.

Vorrei anzitutto ringraziare il Presidente Siddi e il Segretario Nazionale Serventi Longhi per avermi invitato a questo importante convegno. A quest'ultimo in particolare, che lascia la sua carica per la scadenza di un mandato che ha assolto con grande professionalità, vorrei esprimere assieme al saluto degli editori i miei sentimenti di grande rispetto, stima e sincera amicizia.

Il vostro appuntamento congressuale giunge in un momento straordinariamente complesso e difficile della vita nazionale e internazionale. Non ho bisogno di ricordare a voi come il nostro paese attraversi oggi una delle fasi più delicate della sua storia dalla fine della guerra ad oggi: non vi è un aspetto della nostra società che non sia soggetto ad una trasformazione accelerata e profonda e non vi è giorno che non si veda con sempre maggior chiarezza che molte regole, istituzioni e strutture che ci hanno accompagnato nei decenni trascorsi faticano a tenere il passo con i mutamenti epocali che si producono nel mondo. Questo pone la professione giornalistica, che è il primo e fondamentale protagonista della comunicazione, davanti a una ancor maggiore responsabilità. E vorrei aggiungere che, se comincia ad affacciarsi anche da noi la consapevolezza che è ormai indilazionabile adeguare ai tempi certe strutture politiche, burocratiche e sociali italiane, questo si deve anche all'azione di un giornalismo coraggioso e sensibile alle esigenze della società, un giornalismo, quello italiano, che complessivamente è — come deve essere - allo stesso tempo interno ai fenomeni che descrive e che tuttavia sa guardarli dall'esterno con indipendenza ed obiettività. Ma se tutti i settori della vita del paese subiscono le raffiche del cambiamento e dell'innovazione, nessuno ne è colpito quanto la comunicazione. Nella comunicazione, in tutti i suoi ambiti, dalla stampa alla televisione, dalla radio a internet, la trasformazione in atto ha carattere torrenziale e coinvolge, quando non travolge, uomini, imprese, abitudini e prospettive. Vorrei fare anzitutto alcune considerazioni di carattere generale sul quadro d'insieme che l'editoria — soprattutto quella della carta stampata ma non solo quella - presenta. Un quadro da cui emergono vari elementi di preoccupazione e che richiede una riflessione che vorrei condividere con voi. I problemi dell'editoria non si esauriscono in un ambito congiunturale. Vi sono incidenze di carattere strutturale che rendono incerte le stesse prospettive di investimento. Oltretutto, il disegno di legge di riforma dell'editoria, così come si é venuto articolando sinora, sottrae risorse al settore e non prevede significativi interventi di sostegno e di rilancio produttivo. Le aziende editrici sono impegnate in un difficile processo di adeguamento tecnologico per fronteggiare le sfide dei nuovi players che sono apparsi sul cercato grazie alla pervasività del fenomeno internet. In un momento di tale complessità è necessario che tutte le parti che concorrono alla vita delle imprese, non ultimo il settore pubblico, assicurino comportamenti rispondenti alle esigenze poste da un quadro di riferimento in costante e tumultuoso movimento. Le difficoltà di questa stagione non riguardano solo la carta stampata, ma anche le altre forme di giornalismo, dato che con la crescita esponenziale di internet è estremamente attuale il rischio di una cannibalizzazione del lavoro giornalistico ad opera di non professionisti. Venendo alla situazione del mercato, le vendite dei quotidiani hanno accusato pesanti flessioni nell'arco degli ultimi anni. Dal 2000 al 2006 sono state perse oltre 500.000 copie, nonostante una leggera ripresa nel 2006, che peraltro nel corse di quest'anno sembra essersi arrestata. Analoghe indicazioni si ricavano dai comparto dei periodici, la cui diffusione ha avuto una battuta d'arresto nell'ultimo biennio. Le perdite nei 2006 sono state, rispetto all'anno precedente, più del 5,5%. I dati parziali del 2007 fanno prevedere contrazioni di eguale misura. Anche sul fronte della pubblicità - 'a tra voce essenziale del comparto editoriale - la situazione non è rassicurante. Il mercato complessivo langue. Nel 2006 gli investimenti pubblicitari sono cresciuti del 2,6% ma nel 2007 il ritmo di espansione è sceso al 1%. Nel settore della stampa, nel 2006 i quotidiani hanno realizzato un incremento estremamente contenuto (1,7%) che, al netto dell'inflazione si traduce in un arretramento in termini reali. Il 2006 è stato relativamente migliore per i periodici ( 6%) ma nei primi mesi del 2007 i risultati dell'anno precedente tra periodici e quotidiani sembrano essersi invertiti. Abbiamo dunque stagnazione o calo delle vendite e stentata crescita dei ricavi pubblicitari. Non è motivo di consolazione constatare che il fenomeno riguarda tutto il mondo industrializzato. Non è necessario ricordare qui le grida di allarme di tanta stampa anglosassone, tedesca e francese e le previsioni catastrofiche sulla data in cui l'ultimo giornali scomparirà nel cestino. E' di pochi giorni fa la constatazione dei Presidente della Commissione Federale per le Comunicazioni degli Stati Uniti che ben trecento quotidiani sono scomparsi negli ultimi decenni. Né si tratta solo di transito da una all'altra forma editoriale: il fenomeno ha infatti seri riflessi sui livelli di occupazione, in ribasso in America e nella maggior parte dei paesi europei occidentali e di cui si intravedono i primi segni anche da noi. I costi di produzione hanno una tendenza ad aumentare che non mostra segni di flessione: dalla carta, ai servizi, agli oneri finanziari, al lavoro. Nel 2004 ad un decremento dei ricavi editoriali dell'1,1% ha corrisposto un incremento dei costi operativi dell'1,9%. Nel 2006 i ricavi sono saliti dell'1,9% ma i costi operativi sono saliti di oltre il 6%. Nel corso dell'ultimo triennio, a fronte di un'inflazione del 5,3%, il costo del lavoro giornalistico è aumentato del 9 %, per il solo effetto di meccanismi di adeguamento automatico delle retribuzioni che sono ormai scomparsi da altri settori economici, nonché per l’incidenza dell’i.v.c. La redditività delle imprese, evidentemente, ne risente, con un ridimensionamento dei margini operativi nel 2005 (-20%) e ancor più nel 2006(-44%). E' una situazione che non può non generare una preoccupazione nelle imprese editoriali: minandone i presupposti economici ne mina gli stessi presupposti di autonomia e di indipendenza. Ne consegue una situazione di sofferenza, con non rare crisi aziendali, conseguenti tagli di giornalisti e poligrafici e un frequente ridimensionamento di ambizioni e prospettive. Ciò nonostante, voglio ricordare che gli editori – alla pari dell' Fnsi - hanno dato il proprio consenso alle proposte del Ministro del Lavoro per garantire a migliaia di collaboratori un futuro previdenziale certo, malgrado il sensibile aggravio di costi che ciò per gli editori ha comportato. Si riaffacciano così diseconomie interne ed esterne, in passato riassorbite con politiche di espansione dell'offerta a prodotti non giornalistici. Valga il caso dei collaterali, che, pur restando una fonte di ricavo importante, hanno accusato una flessione nel 2006 che si è aggravata nel 2007 e che viaggia ormai su un calo a due cifre annue. E' facile capire che, in mancanza di aumenti significativi di fatturato, la lievitazione dei costi si porrà con sempre maggiore urgenza e una eccessiva rigidità del sistema non sarà più sostenibile. Anche i contenuti editoriali dovranno costare proporzionalmente di meno perché destinati a un prodotto che non cresce. Cambia quindi lo stesso modello di business della comunicazione, che andrà necessariamente verso forme di flessibilità in una filiera produttiva che non sarà più fondata sulla sola carta stampata. In questo quadro economico preoccupante si colloca la sfida che gli editori e i giornalisti hanno dovuto affrontare per far fronte alla tumultuosa, torrenziale trasformazione che l'editoria sta vivendo a causa dell'introduzione di tecnologie nuove e delle insidie e opportunità della multimedialità. E' un argomento, questo, sul quale motto si è scritto e molto si sta dibattendo. Ma alcune conseguenze del fenomeno sono prevedibili. Citerò ciò che dice con ironia un noto giornalista italiano, autore di un eccellente libro sul futuro della carta stampata, osservando che le aziende dovranno realizzare newsroom multimediali in grado di diffondere contenuti su piattaforme diverse. E aggiunge: non si potrà fare questa transizione verso l'era multimediale assumendo più persone, come avveniva in passato e con le stesse regole del passato. I giornalisti dovranno accettare quel tipo di flessibilità che consigliano nei loro editoriali a tutte le imprese ma che non hanno importato quasi mai nel loro mondo. Ora, è impensabile che si possano affrontare le sfide poste dall'esigenza di sperimentare nuovi prodotti e nuovi veicoli di informazione se gli editori restano ingabbiati, dentro un quadro normativo caratterizzato da eccessive rigidità. Da questa analisi vorrei ora trarre alcune brevi conclusioni. Non sorprende che nella situazione di movimento e di incertezza che coinvolge l'intero settore editoriale — un movimento di cui intravediamo le linee ma di cui giorno per giorno scopriamo nuovi sviluppi — sia stato difficile per editori e giornalisti trovare un terreno comune di dialogo. Le caratteristiche della fase attuale sono, a nostro modo di vedere, tre: La diversificazione dei prodotti editoriali e quindi la necessità di maggiore mobilità e flessibilità sia da parte del capitale che da parte del lavoro. La crescente frammentazione di singole realtà produttive e quindi una maggiore difficoltà che per il passato ad estendere una sola disciplina a realtà spesso molto differenti. In presenza di una sostanziale debolezza della domanda (e ciò vale soprattutto per la carta stampata che peraltro occupa la grande maggioranza dei giornalisti), la maggiore necessità di un attento controllo dei costi. Non possiamo immaginare che il mondo muti perché si possa restare dentro gli schemi che ci eravamo prefissi: sono i nostri schemi che devono adattarsi alla realtà del mondo. Se partiamo da questi principi, il cammino comune su molti temi che vogliamo affrontare insieme, a partire da quello della contrattazione collettiva, diventa percorribile.

@fnsisocial

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