Condanna e aggravante mafiosa per Monica Laera, l'esponente di un clan della malavita di Bari che nel 2018 aggredì la giornalista del Tg1, Maria Grazia Mazzola. Al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato, il gup del Tribunale del capoluogo pugliese, Giovanni Anglana, ha inflitto alla pregiudicata barese, moglie del boss del clan Strisciuglio Lorenzo Caldarola, un 1 anno e 4 mesi di reclusione per i reati di lesioni con l'aggravante del metodo mafioso e minacce gravi.
Anche in questa occasione, come sempre, la Federazione nazionale della Stampa italiana – anche a nome dell'Usigrai – era parte civile. Il sindacato dei giornalisti, rappresentato in giudizio dall'avvocato Roberto Eustachio Sisto, si era mobilitato con l'Usigrai già all'indomani dell'aggressione, promuovendo una manifestazione pubblica nel quartiere Libertà di Bari, dov'era avvenuto il fatto.
«Continueremo ad assicurare senza sosta la nostra presenza al fianco di tutte le croniste e i cronisti minacciati, a tutela della loro sicurezza e del diritto dei cittadini a essere informati. Non ci possono essere temi o territori oscurati per le intimidazioni delle organizzazioni criminali», affermano Fnsi e Usigrai.
Per l'avvocato Roberto Eustachio Sisto, «la condanna con l'aggravante mafiosa costituisce il riconoscimento che nel nostro Paese l'informazione e la giustizia sono più forti di qualsiasi tentativo di intimidazione, fisica e non. Anche il riconoscimento del risarcimento dei danni nei confronti della Fnsi legittima ancora una volta l'operato del sindacato».
Parte civile si erano costituite, fra gli altri, anche l'Associazione Stampa Romana, Libera e il Comune di Bari.
Soddisfatto il sindaco Decaro, per il quale la condanna «riconosce la brutalità dell'aggressione subita da Maria Grazia Mazzola mentre svolgeva il suo lavoro. Il Comune, nel costituirsi parte civile con gli avvocati civici Biancalaura Capruzzi e Camilla Caporusso nel processo ai danni di Monica Laera, ha voluto sin da subito condannare con fermezza quest'atto violento chiaramente riconducibile a logiche di supremazia e controllo del territorio proprie dei clan criminali. L'informazione, il diritto alla cronaca e il lavoro di denuncia nella nostra città – conclude – sono un diritto sacrosanto da difendere in tutte le circostanze».