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Giudiziaria 21 Giu 2008

Chivasso, giornalisti condannati e sospesi dal lavoro Associazione ligure dei giornalisti: e Gruppo cronisti liguri: "Manca solo la palla al piede"

Condannati in un processo per diffamazione. E sospesi dal lavoro per sei mesi con una interpretazione incredibile e allarmante della legge che attribuisce all'Ordine la competenza per la sanzione sospensiva.

Condannati in un processo per diffamazione. E sospesi dal lavoro per sei mesi con una interpretazione incredibile e allarmante della legge che attribuisce all'Ordine la competenza per la sanzione sospensiva.

La sentenza di Chivasso conferma come in alcuni settori della magistratura ci sia una tendenza censoria verso il mondo dell'informazione, come accaduto a Genova con la vicenda del cosiddetto maniaco dell'ascensore, dove sono stati condannati dei colleghi per la pubblicazione di notizie sull'indagine con una meticolosa ricerca per l'incriminazione anche dei ruoli decisionali della redazione. Il tutto per sanzionare anche chi aveva operato delle scelte redazionali. Insomma pm caporedattori e capi cronisti, oppure più realisti del re con quando deciso nei confronti dei colleghi di Chivasso. Un motivo in più per continuare e allargare l'impegno e le iniziative contro il decreto intercettazioni e per la tutela dei giornalisti: chi sbaglia, se questo è accertato, è giusto che paghi. Chiunque esso sia. Ma è anche giusto che le sanzioni siano adeguate all'eventuale errore e che ciascuno rispetti le proprie competenze decisionali e sanzionatorie. Diversamente dopo le sanzioni, multe e carcere per chi pubblica notizie su indagini e intercettazioni, manca solo più all'appello la condanna alla palla al piede per impedire che un cronista possa anche muoversi. LA VOCE DI CHIVASSO: LA SOSPENSIONE E' ABNORME L'Unione Nazionale Cronisti Italiani, assieme al Gruppo Cronisti Piemonte, è solidale con i colleghi del settimanale locale "La Voce di Chivasso" condannati, con una decisione abnorme, alla sospensione di sei mesi dalla professione. Il giudice Claudio Passerini del Tribunale di Biella, dopo aver ritenuto i colleghi responsabili di diffamazione ha ritenuto di applicare la pena accessoria della sospensione dalla professione. Un provvedimento abnorme e che in questi termini non ha precedenti perché priva dei professionisti del loro ruolo e dello stipendio per una responsabilità del tutto marginale. I colleghi non sono dei criminali, ma dei giornalisti che hanno riferito in buona fede ciò che è accaduto. La legge numero 69 del 3 febbraio 1963, che disciplina la professione giornalistica, attribuisce la possibilità di comminare la sanzione della sospensione esclusivamente al Consiglio dell'Ordine dei giornalisti, mentre spetta eventualmente alla magistratura l'interdizione dai pubblici uffici: e questa indicazione è sempre stata rispettata. L'interpretazione data dal giudice Passerini all'articolo 30 del Codice Penale è quindi sbagliata, fuorviante e in contrasto con la tutela costituzionale della libertà di stampa che non può essere oggetto di autorizzazioni o censure. Unci e Cronisti piemontesi ribadiscono quindi la solidarietà ai colleghi coinvolti e al loro direttore che, per protesta, ha deciso di far uscire il prossimo numero del suo settimanale con la prima pagina completamente bianca. La vicenda di Chivasso costituirà uno dei capitoli del Libro bianco sugli "orrori" che i magistrati compiono un po' in tutta Italia contro i cronisti che l'Unci sta compilando.

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