Lo definiscono un “killer su commissione”, senza, però, specificare al servizio di chi, e gli chiedono un risarcimento danni di 500mila euro. Non stiamo parlando di un sicario della ’ndrangheta, ma di un giornalista: Agostino Pantano (nella foto). Non è accusato di aver commesso un omicidio, ma di essere l’autore di un’inchiesta giornalistica che un avvocato ex sindaco di Rosarno e giornalista pubblicista, Giacomo Francesco Saccomanno, e due imprenditori, Giovanni e Domenico Garruzzo, definiscono “diffamatoria” chiamando in causa anche il direttore del giornale, Piero Sansonetti.
A denunciare l’ultimo, incredibile, attacco alla libertà di stampa, è il
segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, componente
della Giunta Esecutiva della Federazione Nazionale della Stampa. L’ufficiale
giudiziario ha, infatti, notificato a Pantano l’atto di citazione con il quale
i tre chiedono al Tribunale Civile di Palmi di stabilire, con prima udienza
fissata il 26 giugno, un risarcimento danni morale e materiale di mezzo milione
di euro.
L’amarezza del giornalista è aggravata dal fatto che sul suo giornale non è
apparso nulla, così come era avvenuto nei giorni scorsi, quando si era visto
notificare l’avviso a comparire, il 16 aprile prossimo, davanti al Giudice
monocratico del Tribunale di Palmi per rispondere del reato di ricettazione di
notizie sottoposte al segreto d’ufficio. Un’accusa per la quale rischia fino a
8 anni di reclusione, nonostante la decisione del Gip del Tribunale di Cosenza
di archiviare il caso sia per l’insussistente diffamazione che per la
diffusione di notizie coperte dal segreto d’ufficio, riconoscendo al
giornalista il legittimo "esercizio del diritto di cronaca e di critica
politica, sussistendone i presupposti di interesse pubblico, verità della
notizia e continenza".
All’origine dell’ultima vicenda sei articoli, pubblicati nel gennaio scorso dal
quotidiano “Cronache del Garantista”, relativi all’acquisto per 450mila euro,
nel 2005, da parte del Comune di Rosarno, dell’ex Cinema Argo. Pantano spiega
che non si tratta, come affermano i tre, di “materiale trito e ritrito”, ma di
una vicenda resa attuale dal sequestro di una discarica di inerti nell’ambito
dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione dell’ex cinema. In
particolare, il giornalista ha ripercorso le tappe della vicenda partendo dalla
“scoperta” di due nuovi documenti: “i rogiti notarili che attesterebbero che
una settimana prima della vendita dell’immobile al Comune, Giovanni Garruzzo
(fratello del consigliere comunale di maggioranza Domenico) l’avrebbe
acquistato da un privato”.
Le 29 pagine di citazione sono firmate dall’avvocato Giacomo Francesco
Saccomanno (ovvero l’allora sindaco di Rosarno) e dal figlio Andrea
nell’interesse del primo e dei due imprenditori Giovanni e Domenico Garruzzo
che contestano a Pantano “una palese, evidente, intollerabile ed ingiustificabile
campagna denigratoria dalla assoluta mancanza di verità, interesse pubblico,
continenza e razionalità giornalistica”. Per loro, insomma, Pantano “potrebbe
rappresentare giornalisticamente il «killer su commissione»”.
Accuse durissime, condite da un linguaggio spietato nei confronti del
giornalista accusato di “killeraggio calunnioso”, “meschineria”, “ignoranza”,
“voluta non conoscenza”, “tentativo fraudolento di informare in modo parziale e
non veritiero”. Per i suoi accusatori, insomma, un “modo di fare giornalismo –
se questo può definirsi tale! – che supera ogni tollerabile limite al civile
vivere”. “Manipolando i fatti” – è l’accusa – Agostino Pantano ha “gravemente
danneggiato le vittime di questo linciaggio incomprensibile sotto l’aspetto del
vero giornalismo”.
Il giornalista sarebbe, quindi, protagonista di “un’azione delegittimante” con
“insinuazioni, maldicenze, calunnie, allusioni, illazioni, diffamazioni di
inaudita portata che, come da copione della collaudata «macchina del fango»,
tanto cara a molti ambienti giornalistici deviati e faziosi, avrebbe dovuto,
secondo il Pantano, distruggere i soggetti dallo stesso infangati, ma che,
però, si è «inceppata» in quanto nessun altra testata ha ripreso tale «fango»
rimanendo questo solo sul giornale «il Garantista» ove è accolto tale
giornalista”.
“Per la causa – commenta Pantano – sono sereno. Per i soldi che mi chiedono mi
faccio due calcoli e penso che la cifra sia quantomeno sproporzionata. Tanti
soldi non potrei averli neanche se campassi dieci vite. Per l’accusa di essere
uno che spara e uccide, però, non intendo transigere. La causa temeraria,
ovvero quella che fanno al giornalista per zittirlo, è punita dalla legge e
vedremo se questa che mi fanno lo sarà: ma, nel frattempo, a nessuno può essere
permesso di dire in un atto di citazione che il giornalista è un killer su
commissione. Per questo, sin da ora, annuncio querela”.
«Dunque – afferma Carlo Parisi – la Calabria è ancora una volta protagonista di
un’inquietante vicenda nella quale il libero esercizio della professione
giornalistica viene etichettato “killeraggio” per “conto terzi”. Fermo restando
che se la giustizia darà loro ragione, i tre presunti diffamati da Pantano
avranno tutto il diritto di essere risarciti, perché il giornalista che sbaglia
deve assolutamente pagare, come ogni altro cittadino, senza sconti, ma neppure
aggravanti, non è invece tollerabile utilizzare espressioni come quelle
contenute nell’atto di citazione a Pantano che, in una terra come la Calabria,
travalicano anche la più azzardata metafora. Non è permesso ad alcuno,
tantomeno a un avvocato o ad un iscritto all’Ordine dei giornalisti».
«Urgente più che mai – sottolinea il segretario del Sindacato Giornalisti della
Calabria – appare, dunque, l’intervento del Parlamento sulla diffamazione a
mezzo stampa. Scontata l’esigenza di porre fine all’aberrante ipotesi di punire
i giornalisti con il carcere, è indifferibile l’esigenza di stroncare le
querele temerarie o, peggio, le minacce di querele, usate come strumento di
intimidazione e di censura della libertà di stampa. È necessario prevedere una
chiara ed efficace normativa contro le querele temerarie ed i risarcimenti
milionari, oltre a regolamentare l’informazione sul web, la normativa sul
diritto all’oblio e gli obblighi di documentate controverità in caso di
richiesta di rettifica e l’ultima “variante” rappresentata dalla ricettazione
“di notizie”.
Fare il giornalista nella Piana di Gioia Tauro, come fanno Agostino Pantano e
Michele Albanese (il cronista del Quotidiano del Sud, consigliere nazionale
Fnsi, costretto a vivere sotto scorta e spostarsi in auto blindata) – conclude
Carlo Parisi – non può e non deve rappresentare una missione proibita. Non
avendo alle spalle editori importanti e disposti a sostenerne le spese di
giudizio, oltre alla beffa degli stati di crisi (per i quali prendono a
singhiozzo stipendi ridotti ai minimi termini), i giornalisti rischiano,
infatti, l’autobavaglio preventivo che rappresenta la tomba della libertà di
stampa». REGGIO CALABRIA (Da www.giornalistitalia.it)