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Giudiziaria 03 Nov 2009

Attentato Tobagi, la corte d'appello di Milano conferma la condanna nei confronti di un Cc e giornalisti

La corte d'appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado nei confronti dell'ex appuntato dei carabinieri Dario Covolo e l'ex direttore e un giornalista del settimanale 'Gente', per l'intervista pubblicata il 17 giugno 2004 in cui lo stesso Covolo aveva parlato di un presunto avvertimento ricevuto dall'Arma prima dell'omicidio del giornalista Walter Tobagi, ucciso dalla Brigata XXVII marzo il 28 maggio dell'80.

La corte d'appello di Milano ha confermato la condanna di primo grado nei confronti dell'ex appuntato dei carabinieri Dario Covolo e l'ex direttore e un giornalista del settimanale 'Gente', per l'intervista pubblicata il 17 giugno 2004 in cui lo stesso Covolo aveva parlato di un presunto avvertimento ricevuto dall'Arma prima dell'omicidio del giornalista Walter Tobagi, ucciso dalla Brigata XXVII marzo il 28 maggio dell'80.

L'accusa per i tre è diffamazione. I giudici d'appello, nel confermare la condanna 'simbolica' all'ex appuntato e al giornalista a 1000 euro di multa ciascuno e a 300 euro all'ex responsabile del settimanale, ha però, riformato la sentenza del Tribunale nella parte relativa ai risarcimenti a favore del generale dei carabinieri Alessandro Ruffino e della sorella del suo collega Umberto Bonaventura, morto qualche anno fa. La corte ha sostituito la liquidazione del danno con la condanna generica al risarcimento da definire in sede civile e ha assegnato al generale Ruffino una provvisionale di 75 mila euro e ai familiari di Bonaventura di 45 mila euro. I giudici di primo grado avevano stabilito un risarcimento diretto di 120 mila euro al primo e di 90 mila euro al secondo. Al centro della vicenda un articolo uscito sul settimanale intitolato ''Tobagi poteva essere salvato'' del giugno di cinque anni fa. Nell'intervista, Covolo, allora nome in codice 'Ciondolo', affermava di aver saputo da un informatore di un progetto di attentato a Tobagi, circa sei mesi prima che si verificasse l'esecuzione. ''Ne ho parlato al capitano Ruffino - aveva affermato - e, quando tornò da una trasferta a Roma, al capitano Bonaventura. Mi venne ordinato di scrivere un rapporto anonimo... mi aspettavo di entrare in azione da un momento all'altro. Invece venni trasferito a Palazzo di Giustizia a fare intercettazioni telefoniche. Non ero d'accordo, ho dovuto ubbidire''. (ANSA)

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