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Fnsi 28 Mar 2003

Arrestati tre afgani per l’omicidio di Maria Grazia Cutuli

Arrestati tre afgani per l’omicidio di Maria Grazia Cutuli

Arrestati tre afgani per l’omicidio di Maria Grazia Cutuli

26 marzo 2003. AGI - Il tribunale di Roma ha disposto l'applicazione della custodia cautelare in carcere per tre afghani ritenuti responsabili dell'omicidio di Maria Grazia Cutuli, la giornalista di 39 anni del 'Corriere della Sera' uccisa, assieme a tre colleghi, il 19 novembre 2001 durante un agguato lungo la strada tra Jalalabad e Kabul. L'ordinanza è stata emessa dal collegio del Riesame, presieduto da Giancarlo Millo, che ha accolto il ricorso presentato dal procuratore aggiunto della capitale, Italo Ormanni, contro la decisione del gip Roberto Reali che il 13 gennaio scorso aveva respinto la richiesta di provvedimenti restrittivi nei confronti dei tre indagati. A carico dei tre stranieri, accusati, in concorso, di omicidio volontario e rapina aggravata e che in Italia sono assistiti da un difensore d'ufficio, l'avvocato Massimo Biggio, pesano le testimonianze di diversi giornalisti inviati in Afghanistan e il ritrovamento di alcuni oggetti personali della Cutuli presso uno degli indagati, che si qualifica come vicegovernatore della provincia. Tra gli indizi raccolti dalla procura di Roma, anche il riconoscimento effettuato da parte di una troupe filippina che fu assaltata poche ore prima nello stesso tratto di strada dove era stata bloccata la Cutuli. Nella ricostruzione fatta dal procuratore aggiunto Italo Ormanni nella richiesta di applicazione della misura cautelare, si riportano le dichiarazioni dei colleghi della giornalista italiana che facevano parte del suo stesso convoglio. Lungo il percorso, all'altezza di Sairobi, c'erano dei posti di blocco, una sorta di 'check point' gestiti da afghani che fermavano chiunque volesse proseguire. Alcuni giornalisti, transitati prima della Cutuli, erano riusciti a superare i controlli sostenendo di essere musulmani. La cronista del Corriere della Sera e i suoi colleghi (l'inviato spagnolo del Mundo Julio Fuentes, l'afghano Hafisullah Haidary e l'australiano Harry Burton della Reuters) che furono, invece, bloccati e fatti scendere, si opposero all'invito di non andare oltre perché troppo pericoloso, data la presenza di scontri a fuoco in atto. Infastidito dal fatto che la Cutuli stesse fumando una sigaretta, uno degli indagati avrebbe dato uno schiaffo alla giornalista e provocato la reazione di un suo collega intervenuto a difesa. Da lì a poco l'aggressione a colpi di pietre e con il calcio del fucile e, infine, l'agguato mortale dietro a una roccia, in un posto nascosto dalla strada principale, dove i quattro giornalisti erano stati condotti a piedi. Il difensore dei tre afghani, Massimo Biggio, nell'udienza davanti al tribunale del riesame, tenutasi il 13 marzo, ha sostenuto quanto già evidenziato, nel provvedimento di rigetto delle misure restrittive, dal gip Reali secondo cui erano insussistenti le condizioni di procedibilità per l'assenza nel territorio dello Stato italiano degli indagati: "Non solo - puntualizza il penalista, richiamandosi alle argomentazioni del giudice -, ma mancavano le esigenze cautelari, in particolare quella del pericolo di reiterazione del reato, rispetto alle quali non si sono identificati gli elementi che consentono di operare il dovuto giudizio prognostico richiesto. Invece, il tribunale del riesame, nel suo provvedimento, pur riconoscendo che la tesi della difesa e del gip è avallata dalla prevalente giurisprudenza della Cassazione, ha recepito le considerazioni della procura secondo cui la presenza dello straniero nel territorio dello Stato italiano non è una condizione di procedibilità, bensì di punibilità, come ritiene la dottrina prevalente, e il difetto di questa condizione può essere eccepito solo nella fase processuale e non in quella delle indagini preliminari". L'avvocato Biggio sta valutando "eventuali iniziative per tutelare gli interessi" dei suoi assistiti, prima che l'ordinanza del tribunale del riesame diventi esecutiva. Quanto agli oggetti della Cutuli trovati in possesso di uno degli indagati, quest'ultimo si è difeso, come risulta dagli atti, sostenendo di averli acquistati nell'ambito delle indagini che stava compiendo sull'omicidio e di cui aveva informato anche il Direttore della sicurezza nazionale. Cutuli: procura Roma, elementi su quarto uomo commando Roma, 26 marzo 2003. AGI - L'inchiesta della procura di Roma sull'omicidio di Maria Grazia Cutuli punta adesso a individuare gli altri componenti del commando (in tutto dovrebbero essere tra i sette e i nove) che il 19 novembre del 2001 uccisero in Afghanistan la giornalista del Corriere della Sera. In particolare su uno la procura di Roma ha già acquisito un rapporto informativo. Quanto ai tre, attualmente in libertà, contro i quali il tribunale del Riesame ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, accogliendo la richiesta del procuratore aggiunto della capitale Italo Ormanni, una volta diventato esecutivo il provvedimento, si procederà ad avviare le pratiche al fine di ottenere la loro estradizione per chiederne il processo in Italia. Cosa non facile per la delicata situazione politica dell'Afghanistan. Non ci sarà mai, invece, un processo in Spagna, in relazione all'uccisione del giornalista del Mundo Julio Fuentes, visto che il codice iberico prevede come condizione di procedibilità contro lo straniero che commette delitti ai danni di cittadini spagnoli la natura terroristica del reato. La procura della capitale è arrivata alla richiesta di ordinanza di custodia cautelare nei confronti dei tre afgani grazie, tra l'altro, al riconoscimento di uno degli indagati, fatto da giornalisti greci passati quel giorno poche ore prima nello stesso tratto di strada dove è stata uccisa la Cutuli. L'identificazione è avvenuta sfruttando i fotogrammi del filmato, girato da una troupe filippina derubata il 18 novembre del 2001, e acquisito dalla procura. Fondamentale anche il ritrovamento di alcuni oggetti della Cutuli, tra cui un satellitare e un paio di occhiali da sole, presso uno degli indagati, Mohammed Taher, che avrebbe fatto i nomi degli altri da cui acquistò gli effetti personali della giornalista.

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