“Tutti i diritti umani per tutti”, diceva quest’anno lo slogan-guida della marcia della pace Perugia-Assisi. Non c’è stato da faticare per far comprendere che, fra tutti i diritti umani, il diritto all’informazione occupa un posto fondamentale: vitale e mortale al tempo stesso.
Sul palco della manifestazione conclusiva, alla Rocca di Assisi, davanti alle “avanguardie” più tenaci dei duecentomila marciatori, è salita a meta pomeriggio Maria Azghgikina, della Russian Union of Journalists. Esattamente alla stessa ora in cui, un anno prima, a Mosca veniva ammazzata sotto casa Anna Politkovskaja. E dopo Maria ha parlato Ahmed Abdisalam, di Radio Horn Afrique. Non doveva esserci lui, sul palco. Gli organizzatori della marcia avevano invitato mesi fa il direttore della radio, Ali Iman Sharmake. Lo avevano chiamato perché consideravano importante il suo lavoro. Anche in Somalia qualcuno lo considerava importante; tanto importante da far saltare Ali Iman su una mina, l’undici agosto. Mai come in questi tempi il diritto all’informazione si sta presentando con le credenziali di nomi e cognomi tanto concreti, coi volti insanguinati delle decine e decine di reporter che in tutto il mondo vengono scientificamente eliminati ogni anno da regimi dittatoriali, da sedicenti democrazie, da gruppi terroristici. Con il volto del fotoreporter giapponese finito da un soldato mentre cerca di documentare la rivolta birmana. Per queste ragioni, mescolato al popolo dei marciatori, ha sfilato quest’anno sulle strade dell’Umbria anche Jim Boumelha, Presidente della IFJ, la Federazione Internazionale dei Giornalisti. Per queste ragioni, anche quest’anno alla marcia ha aderito la Fnsi. Con uno sguardo al mondo: perché finalmente la nostra informazione si apra in modo non episodico alle battaglie di libertà internazionali. Ma anche con uno sguardo all’aria di casa nostra: perché non tornino i tempi in cui i governi decidevano chi potesse lavorare come giornalista. Va affermato ad alta voce anche oggi: perché passano le legislature, ma non passa la voglia di censura e la tentazione degli editti.