Pubblichiamo il testo integrale della relazione del segretario generale della Federazione Nazionale della stampa Italiana, Franco Siddi
Roma, 23 aprile 2008 Teatro Capranica
FNSI, UNA STORIA CHE VIVE PER LA LIBERTA’. UN GRANDE ALBERO CHE FRUTTIFICA ANCORA di Franco Siddi A febbraio del 1908 si costituiva a Roma la Federazione Nazionale della Stampa per volontà delle numerose associazioni della stampa sorte e diffuse in tutta Italia tra la seconda metà dell’800 e il primo decennio del ‘900. Il primo “sodalizio” giornalistico a vedere la luce era stato l’Associazione della Stampa Periodica di Roma, sorta nel 1877 sotto la presidenza di Francesco De Sanctis, cui seguirono l’Associazione Lombarda dei Giornalisti, nel 1890, L’Associazione siciliana della Stampa, L’Associazione Ligure, quella Emiliana, l’Unione Giornalisti Napoletani e così via. L’esigenza di superare le frammentazioni regionali ed arrivare ad una sintesi unitaria si era, però, manifestata all’interno della categoria ben prima di quella data. Già dal primo congresso nazionale delle associazioni giornalistiche che si svolse a Milano nel 1894 ad opera delle tre associazioni allora esistenti (Romana, Lombarda e Toscana) emerse con forza la richiesta di una struttura rappresentativa nazionale e unitaria che potesse meglio rappresentare e tutelare gli interessi morali e materiali di una categoria, cui era legata, attraverso l’epopea risorgimentale, la nascita dello stato unitario e il consolidamento di un regime liberale, riconosciuto da quell’editto albertino che assicurerà per molti decenni, fino alla sua sostanziale soppressione per mano delle leggi liberticide del fascismo, un’ampia e feconda libertà di stampa. Esattamente cento anni fa, il 23 aprile del 1908, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana fu protagonista di una prima ventata socio culturale di modernità. Sin da subito cioè la Fnsi si trovò ad essere protagonista e testimone di tutte le libertà civili. I problemi che i nostri illustri predecessori avevano davanti (primo Presidente il triestino Salvatore Barzilai, avvocato, repubblicano) non erano molto difformi da quelli che noi oggi affrontiamo. Era preminente la questione delle condizioni di lavoro e di come regolarle (Sarà del 1911 la prima Convenzione d’opera giornalistica), come quella di assicurare condizioni minime previdenziali e assicurative, attraverso la costituzione di Casse Pie regionali, che solo molto più tardi (1926) confluiranno nell’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani. Ma erano anche fortemente sentite tutte le questioni che attenevano alla libertà di stampa e di espressione. Basterà ricordare la lunga battaglia della categoria contro le norme del codice Zanardelli sulla diffamazione, un argomento che percorre come un filo rosso tutta la nostra vita organizzativa ormai secolare, ma anche le aspre polemiche contro la censura nel biennio della guerra di Libia e negli anni della grande guerra, per non dimenticare l’epica, a tratti eroica, battaglia che la Federazione della stampa condusse tra il 1922 e il 1925 contro i reiterati tentativi del fascismo, ormai trionfante, di abbattere con la libertà di stampa lo stato liberale. Fu una resistenza gloriosa e tenace, ma fu sconfitta. A novembre del 1925, a causa dei commissariamenti prefettizi, la Federazione della Stampa finiva nelle mani dei fascisti. All’inizio del ’27 sarebbe stata sciolta e assorbita nel Sindacato Nazionale Fascista. Molti giornalisti furono costretti all’esilio e, in Francia, nell’ambito della Concentrazione antifascista, diedero vita, nell’agosto 1927 all’Unione giornalisti italiani “Giovanni Amendola”, che esercitava una grande attrattiva verso i colleghi antifascisti. Non fu un caso l’intitolazione ad Amendola. Un intellettuale, un politico, un giornalista di eccezionale elevatura culturale e morale, che aveva sostenuto le battaglie delle Associazione regionali contro i tentativi di Mussolini di metterle sotto il suo controllo e di abbattere la libertà di stampa. Per lui era proprio importante la dimensione associativa dei giornalisti, la capacità di stare insieme per tutelare i loro interessi morali e materiali: “…(è bene) … costituire immediatamente dopo l’abbietto provvedimento (commissariamento delle Associazioni da parte dei Prefetti) un’Associazione nazionale tra i giornalisti italiani…”, scrisse a Salvatore Barzilai che gli chiedeva consigli dopo lo scioglimento della Fnsi. E questa capacità di auto organizzarsi, di stare insieme che il 26 luglio del 1943, poche ore dopo le dimissioni e l’arresto di Mussolini, consente ai giornalisti italiani, di formalizzare in un verbale la rinascita ufficiale a nuova vita e a liberi ordinamenti democratici della Federazione della Stampa. I 65 anni dalla Ricostruzione, i sessant’anni della Costituzione Repubblicana sono la storia di tutti noi. Sono la storia della Costituzione che amiamo dopo averla, come Fnsi, fortemente sostenuta negli anni della Costituente e sempre difesa fermamente da allora. I principi della Carta della nostra vita democratica, con sottolineatura specifica per gli articoli 1, 21, 39 e 41, sono per noi inalienabili. Non sono mai stati tempi facili per il libero lavoro dei giornalisti, considerati, per tanti, considerati soggetti da ammirare e allo stesso tempo da soggiogare. E’, questo, un tempo non facile, difficile per i giornalisti, denso di incertezze e complessità per gli editori liberi che vogliano investire e credere in un’informazione rigorosa e pulita al servizio della conoscenza e alla ricerca della verità. Amiamo dire che l’uomo non è riconducibile a una merce. Pensando al suo diritto ad un’informazione corretta, e pluralista, cerchiamo di far discendere il senso delle nostre azioni sindacali e professionali che caratterizzano l’esperienza quasi secolare della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, nella considerazione che l’informazione non è una merce qualsiasi, reperibile sul mercato ma un bene essenziale per la vita, la formazione e la crescita di ogni cittadino. Un bene che perciò deve essere maneggiato con particolare cura e responsabilità. Per un’organizzazione libera, unitaria e pluralista come quella della Fnsi, che da 100 anni associa in una casa comune tutti i giornalisti italiani, si tratta di mettere continuamente a verifica la propria iniziativa, con un paziente esercizio della fatica collettiva di una democrazia vissuta prima all’interno della categoria e poi sostenuta e difesa nel confronto con il mondo esterno. Questi valori non si disperdono. Questa radice ha generato un albero vitale con tanti rami. E ogni volta che qualche male lo ha colpito e ha rischiato di morire, sono spuntati nuovi tronchi. Il giornalismo italiano è attraversato oggi – ma è stato quasi sempre così - da grandi problemi ed è permanentemente sottoposto ai rischi di condizionamenti impropri. Ma, come dice un proverbio africano che ama ricordare il Cardinale Etchegarray, “è solo attorno ad un buon albero che il terreno è calpestato”. Io credo che quello della Fnsi sia davvero un buon albero. Sicuramente lo è stato e regge alle intemperie, se è vero che nel momento del bisogno riesce ad offrire un po’ di ombra quando il sole del grande cambiamento tecnologico – quasi che la tecnica sia tutto - picchia forte e rischia di far perdere l’orientamento; qualche buon frutto riesce ancora a produrlo quando c’è da fare un contratto collettivo di lavoro; qualche parola riesce ad esprimerla per impedire l’annebbiamento, affinché le fonti dell’informazione siano accessibili e non centrali di censura mascherata. La vitalità della Federazione Nazionale della Stampa Italiana risiede nella permanente ricerca di conciliare i valori dell’autonomia e dell’indipendenza della professione con aspirazioni materiali, che passano per il riconoscimento della giusta retribuzione - stipendio per chi è dipendente, compenso equo per chi svolge lavoro autonomo - e delle garanzie di un lavoro che si esige, a garanzia di tutti, di esercitare in condizioni di libertà. La Federazione Nazionale della Stampa (e questo anche attraverso le 20 Associazioni regionali di cui è oggi espressione e sintesi ) cerca di vivere la propria esperienza attorno ai valori del solidarismo, un esercizio civile nella promozione di attività e servizi di formazione culturale e deontologica, di tutela previdenziale, di assistenza sanitaria: presìdi materiali che trovano riscontro in leggi dello Stato, come quella dell’Ordinamento professionale improntato ad affermare la libertà di informazione e di critica, limitata dalle norme dettate a tutela della personalità altrui, quale diritto insopprimibile dei giornalisti, ai quali compete l’obbligo inderogabile di rispettare la verità sostanziale dei fatti, osservati i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. L’articolo 2 della legge istitutiva dell’Ordine afferma anche che “ giornalisti e i editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi e la cooperazione tra loro, allo scopo di assicurare un rapporto di fiducia tra stampa e lettori”. Questo era il viatico che il legislatore - di intesa e nel rispetto di essa - affidava alla categoria 45 anni fa e che noi oggi vogliamo richiamare dopo un triennio di incomprensioni, (anche conflitti) per affrontare insieme il cambiamento e le sfide dell’innovazione che interpellano tutti come meglio di me fra poco ci farà ben capire Sergio Lepri, maestro di giornalismo autentico e di sensibilità deontologica. Per la soluzione negoziale, attraverso i contratti di lavoro stipulati dal 1911 in poi in Italia ( primo contratto collettivo di categoria fu proprio quello dei giornalisti) la Fnsi è storicamente schierata. Attraverso le intese con la Federazione Italiana Editori Giornali, sono state definite le linee guida dell’organizzazione del lavoro e del sistema dell’informazione di carattere generalista nel nostro Paese. Non è mai stato facile fare i contratti collettivi di lavoro. Il negoziato con le controparti è spesso aspro e fonte di conflitto. Fa parte del mestiere del sindacato anche il dover ricorrere allo sciopero, uno strumento che non abbiamo mai preso sottogamba e che abbiamo sempre ritenuto un mezzo e non un fine; un mezzo all’interno di una strategia che ha sempre puntato al negoziato per ricercare la leale composizione delle vertenze Da tanto, forse troppo, tempo le relazioni con la parte imprenditoriale marcano difficoltà: pezzi dell’accordo collettivo di lavoro non sono rispettati e sul sistema si avvertono i problemi di un’invadenza dei poteri politici e finanziari, delle concentrazioni pubblicitarie, dell’omologazione culturale, del “terremoto” tecnologico. Le vertenze, materia propria di un sindacato, sono aperte per comporre interessi diversi. L’obiettivo di fondo è questo. I passaggi conflittuali, inevitabili quando gli sbocchi negoziali non ci sono, non esauriscono la ricerca di intese ma ne sottolineano i livelli di attesa nelle categorie interessate e la forza delle istanze rappresentate. Vale per tutto il mondo del lavoro, vale per tutti noi ancora di più, se non altro per l’immediata proiezione nella vita pubblica del nostro lavoro e del nostro modo di essere. Gli scioperi, lo ripeto, sono per noi un mezzo, non un fine, anzi, un mezzo con un fine. I giornalisti italiani applicano un criterio di partecipazione e di uguaglianza e auspicano larghe convergenze; anche se, talvolta, si evidenziano pure incomprensioni. Ma una forza sociale come la Fnsi si muove in piena autonomia, con spirito di confronto e dialogo, rispetta il competitore e chi lo rappresenta ed esige analogo rispetto. Non impone, né subisce diktat passivamente. Soprattutto non rinuncia mai al suo compito primario di ricercare accordi e promuovere nuovi equilibri, sul piano contrattuale come su quello delle leggi di sistema e sul terreno dell’etica. E’ la sfida più grande del tempo che viviamo, di una professione messa in discussione, che deve recuperare tutta la sua identità, il rigore, la capacità di affermare la propria autonomia, di fuggire le insidie quotidiane della cortigianeria, dell’autocensura, dell’inclinazione verso voce e poteri estranei al contenuto editoriale. In questa stagione, la complessità del giornalismo e il suo apparire in luoghi e forme assai diverse rispetto a quello delle tradizionali imprese editrici di giornali e della televisione (Internet, multimedia, uffici stampa, editoria minore, stampa “gratuita” ecc.), impone adeguamenti normativi e contrattuali anche in Italia. In prima linea in questa fatica, ci sono dirigenti sindacali – dai fiduciari e comitati di redazione, alle Associazioni regionali di stampa, componenti essenziali di quel grande albero che è la Fnsi - chiamati a questo compito in virtù di competenze e consensi sanzionati dagli organismi democratici della categoria nel suo complesso. E’ una fatica non personale ma collettiva, che si esprime nell’esercizio di una rappresentanza delegata alla quale assolvono i dirigenti, scelti con metodo democratico, senza vincolo di carattere particolare, né di appartenenza. L’attività della nostra Federazione della Stampa Italiana si manifesta, quindi, come un’espressione di identità sindacale e professionale unitaria e autonoma. C’è oggi un grande rischio vissuto con inquietudine dai giornalisti italiani, con grandi timori da milioni di cittadini. L’informazione globale, i nuovi modelli delle relazioni tra poteri e cittadini, la mitologia di una tecnica e di un progresso tecnologico che tutto risolvono, rischiano di far crescere le tensioni tra uomini e comunità, di originare o giustificare conflitti e violenze o di sottomettere tutto al dio denaro, che tutto trasforma in semplice cosa e tutto può corrompere e devastare. Ma se l’uomo non è una merce e se l’informazione è un bene essenziale per l’uomo, occorre cogliere appieno il senso dei grandi insegnamenti morali o che discendono dalla fede religiosa, perché al centro della propria missione sia posto l’uomo e la sua dignità. Abbiamo il dovere tutti di ricordare che dietro ogni notizia c’è una persona. Anche quando si tratta di raccontare la violenza. Ci siamo perciò dati – in cooperazione con l’Ordine professionale - Carte deontologiche che abbiamo il dovere di applicare con giudizio e responsabilità. Cerchiamo ancora di rendere queste Carte più impegnative attraverso il Contratto collettivo di lavoro, anche se gli Editori, e mi auguro sinceramente che le cose cambino, mostrano freddezza e marcano - spiace davvero doverlo dire - un disinteresse su questi temi. Mai come oggi, mentre parliamo di necessarie e profonde riforme per i meccanismi dell’Ordine professionale, e tanto di attualità e tanto valido il precetto dell’articolo 2 della legge del ’63! Come giornalisti italiani, organizzati nella Federazione nazionale della Stampa, crediamo che debbano essere praticate con rigore etica, tolleranza e responsabilità, avendo chiaro che non è mai assicurata per sempre, da nessuna legge, la condizione della libertà dell’informazione e del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. Per ricercare la verità e farla conoscere molti giornalisti sono caduti, ( da Amendola a Tobagi, a Casalegno, a De Mauro, Spampinato, Siani, Alfano, Palmisano, Rovatin, Alpi, Russo, Cutuli, Ciriello, Baldoni, per citare solo i nomi che la mente più immediatamente richiama), molti sono tutt’oggi in frontiera: dall’Afghanistan, all’Angola, al Medio Oriente, alla Sierra Leone, alla Cina, alla Birmania, all’Iraq. E anche nelle frontiere delle nostre aree a forte incidenza della delinquenza organizzata e della mafia. Ricordo vivo e impegno civile a non lasciare nessuno in solitudine, a offrire sostegno, a reclamare rispetto per il lavoro del giornalista, ovunque per chiunque di alto grado o cronista di periferia venga a trovarsi esposto a rischi impropri. E’ tempo di dichiarare crimine contro l’umanità la violenza e più ancora l’assassinio del giornalista. Il giornalismo quando affronta sul campo - raccontandoli e documentandoli – le sofferenze e i patimenti dei popoli nelle aree difficili esprime il meglio della propria missione. Nel farlo l’esposizione al rischio diventa altissima, fino al prezzo più alto, quello della vita. Anche le nostre organizzazioni internazionali della categoria fanno un buon lavoro e un ringraziamento forte va alla Federazione Europea (del cui esecutivo faccio parte) e alla Federazione Internazionale, dove l’amico e collega Paolo Serventi Longhi, mio predecessore alla segreteria federale, è attualmente autorevole componente del Comitato Direttivo. C’è chi pensa che la storia sia fine a se stessa e che vada sempre scritta secondo i propri fini. Credo che per noi la storia parli con chiarezza. E’ davvero, la nostra, una storia di idee, lavoro, impegno e fatica democratica per libertà di informazione. Il ventennio fascista fu un ventennio buio che nessun preteso privilegio materiale del nostro lavoro può annullare. La scelta della data di oggi, alla vigilia del 25 aprile, Festa della Liberazione, è perciò ricca di significato. Voglio ricordare qui le considerazioni fatte a Conselice in occasione dell’inaugurazione del Monumento alla stampa clandestina, il 25 aprile di due anni fa. Nell’Italia del fascismo furono gli intellettuali insieme a quella aristocrazia operaia di cui i tipografi erano parte integrante a rischiare, con la pubblicazione dei primi volantini e dei primi fogli clandestini. Insieme ai ferrovieri, ai tranvieri, autisti, a tutti coloro cioè impegnati in una attività professionale che oggi definiremmo di ‘rete’, in grado cioè di trasferire, trasmettere, notizie, conoscenze, appelli, diffondere l’aspirazione alla lotta contro la dittatura e l’oppressione. E’ finita questa lotta? Ecco perché il monumento di Conselice è del tutto inusuale: ci consegna un impegno non ancora concluso. Non è un monumento finito, ma è tuttora in divenire. La libertà di informazione è una delle condizioni perché un paese possa essere definito democratico? Sì, perché senza la libertà effettiva di circolazione delle idee, vivremmo in una situazione di dittatura dolce, in cui i plebisciti dei cittadini sarebbero influenzati decisamente dal loro grado di percezione dei problemi. E’ questo il senso di molte battaglie che i giornalisti ed il loro sindacato, la Federazione nazionale della stampa, combattono e su cui talvolta l’opinione pubblica appare distratta, senza cogliere che si tratta tutt’altro che di lotte corporative bensì di difesa strenua di valori di libertà dalle ragioni dell’invadenza della politica o di mero asservimento al mercato. L’informazione, per il ruolo che gioca nella formazione dell’opinione pubblica, non è davvero una merce come altre”. Ed ecco allora che, anni dopo, diventa chiaro il significato anche di iniziative pubbliche talvolta eclatanti, talaltra giudicate politiche come quelle contro le leggi bavaglio, per denunciare improprie invasioni di campo, conflitti di interesse, per la democrazia dell’impresa editoriale, per liberare il mercato della pubblicità, tipico caso in cui il costo pagato dal pluralismo delle fonti di informazione, elemento costituivo della democrazia, è sotto gli occhi di tutti. La nostra è una storia identitaria, di valori e di lavoro comune e solidale; faticoso e spesso doloroso è la storia di un Sindacato vero, libero e democratico. Ha rappresentato sempre la cultura della modernità del Paese, ha superato, pagando prezzi enormi come chiunque non abbia voluto considerarlo ineluttabile al regime, alle aggressione e alle incursioni della propaganda fascista. Il giornalismo italiano e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana hanno accompagnato l’Italia nei suoi cambiamenti con grandi giornalisti, con autorevoli dirigenti politici, con umili protagonisti testimoni di libertà e di civiltà democratica. La Fnsi è dentro, è parte civile del nostro Paese. La solidarietà, la cultura la promozione della circolazioni delle idee rimangono assi importanti del nostro Sindacato. Che non è una realtà astratta che si confronto con una realtà che cambia di cui è testimone e protagonista insieme sapendo che non mutano le ragioni dell’essere nel cuore della sua missione, cambia il modo di essere. Dobbiamo capirlo meglio tutti, noi del Sindacato dei giornalisti, il movimento dei sindacati dei lavoratori nel loro insieme, la politica, gli imprenditori, gli editori. Dobbiamo capirlo meglio da giornalisti con sapienza critica e senza facili strumentalizzazioni demagogiche. Il Sindacato dei giornalisti è una scommessa vinta, distinta per la caratteristica speciale dei beni generali che deve tutelare e che fanno capo alla libera circolazione delle notizie e delle idee, dai sindacati storici generalisti ma, nel rispetto della propria autonomia, collegato da un rapporto di alleanza che va aggiornato e vivificato. La nostra è un’esperienza che continua nella consapevolezza che il Sindacato sia un pilastro della convivenza nella civiltà del lavoro che non va dimentica ne abbandonata, una riflessioni e in più serve proprio da parte dei giornali e dei giornalisti, discutere i contratti è una cosa ritenere che l’esperienza del sindacato in una società deideologizzata e mai materialista, opulenta e edonista come oggi, è sbagliato. Sarà sempre più chiaro da oggi in poi anche se non necessariamente per merito nostro. I problemi del futuro sono rilevanti. Partiti e organizzazioni politiche che tantissimo hanno dato alla nuova organizzazione del mondo in un secolo non ci sono più, il Sindacato c’è perché – come ho detto – il cuore della sua missione non cambia nonostante le muraglie e gli scogli che incontri o che è chiamato ad affrontare. Oggi noi siamo consapevoli di avere una eredità importante e di avere davanti un futuro incerto e gravido di pericoli. I cambiamenti tumultuosi ci rendono tutto più complicato e difficile ma rendono ancora più esaltante e importante il nostro compito. Non solo per lo scoglio del contratto che è il problema dell’oggi e che vogliamo affrontare con matura consapevolezza, sapendo che è uno degli elementi dell’unitarietà della categoria ma soprattutto che rappresenta la Carta di garanzia del rapporto tra proprietà e soggetti professionali che fanno e propongono l’informazione. Non siamo qui oggi per autocelebrarci. Giovannini, Lepri, Levi, Ingrao, Andreotti, Conso, grandi giornalisti, intellettuali, giuristi, padri della Repubblica, hanno ritenuto di essere presenti con noi per essere o essere stati, appunto, anche giornalisti. Sono qui perché attribuiscono alla loro esperienza, il loro essere giornalisti una caratterizzazione personale della propria esperienza della propria cifra repubblicana e costituzionale. Con loro siamo qui per ricordare e per essere, per continuare a prendere cura delle responsabilità che appartengono alla salute della democrazia e per prenderci cura, di conseguenza, del necessario irrobustimento della cultura professionale, delle condizioni in cui la nostra attività deve potersi svolgere, in piena libertà al contrario di quanto talvolta avviene per pressioni improprie e di quanto duramente viene impedito in Birmania o in Cina, siamo qui per continuare ad accendere i fari perché su queste materie le luci non vanno mai spente, ne qui, ne in Birmania, ne in Tibet, ne in Cina. Lo sguardo al passato ci consente di rispondere con forza e coraggio alle sfide di oggi, di andare avanti nella ricerca di orientamenti, nell’esplorazione di terreni nuovi. E per concludere consentitemi di affondare un’ultima volta, oggi, il cuore e l’anima nella nostra memoria. Scrisse tra l’altro Alberto Bergamini, presidente storico della Fnsi prima e dopo la guerra, in una lettera a Leonardo Azzarita, presidente della Ricostruzione avanzata delle istituzioni della categoria quando passava il testimone ad una nuova generazione di dirigenti nel 1962: “Tu hai dato alla Federazione una potenza grandiosa durevole, nessuno sa, ripensa il tuo volere se la Federazione fosse avviata a dissolversi. E’ una istituzione mirabile che vari motivi complessi hanno creata e non deve languire: non languirà. Dalle tue sapienti mani la pace che fu sua, passerà ad altre degne mani e vincerà la sua battaglia fra un inno e una canzone, italica, come dice il Poeta. Noi ce ne andremo ed altri verranno autorevoli successori nostri, maggiori di noi. Tale il mio augurio” Questo è anche l’augurio che faccio a me e chi con me è chiamato in questa nuova stagione alla responsabilità di tenere aperto e far funzionare nel rispetto dei suoi scopi fondanti il presidio comune per noi rappresentato dalla Federazione Nazionale della Stampa . Questo è l’augurio che faccio a tutti noi, a chi ci ha accompagnato, a chi ci sta accompagnando con l’ascolto, con la partecipazione, con la critica in questo cammino che continua e che un secolo di vita ci chiama percorrere oggi ancora con più forza e coraggio. 22 aprile 2008