di Paolo Borrometi
Un operaio in fin di vita, altri quattro camion bruciati, armi su armi ritrovate, imprenditori spaventati e le denunce che scarseggiano sempre più. Stiamo parlando del “fenomeno Vittoria” (nel lembo estremo della Sicilia, in Provincia di Ragusa) che, per gli interessi messi in campo, meriterebbe un’attenzione sempre crescente, a livello nazionale, per evitare che diventi una vera e propria “emergenza Vittoria”. Perché, se si vuole evitare che il sangue torni a scorrere in quella realtà (da ricordare l’uccisione di un boss della ‘ndrangheta, proprio in questo territorio, appena un anno fa, Michele Brandimarte), dobbiamo avere il coraggio di arrivare in tempo.
Non si tratta di un fenomeno localistico, bensì rappresenta un problema molto complesso e, dalla ex “Provincia babba”, Ragusa, abbraccia l’intero Paese. Per comprendere basterebbe citare come, secondo alcuni dati della Banca d’Italia, la provincia di Ragusa goda del privilegio di poter contare su uno sportello bancario ogni duemila persone compresi i bambini (per l’esattezza 2.040). Sembra quasi una sorta di “El Dorado” ricco di immense ricchezze tali da giustificare un rapporto abitanti/banche ben superiore al capoluogo di Regione (a Palermo uno sportello ogni 2.827 abitanti). Un’isola nell’isola che negli anni ha visto investimenti di imprenditori in odor di mafia (come Oliviero Tognoli) e di mafiosi veri e propri che la hanno considerata come una “terra loro” (basti leggere le dichiarazioni del pentito Siino – LEGGI ARTICOLO).
Ma le motivazioni sono molteplici: da qui, da questo splendido lembo di Terra, vengono immesse nella filiera nazionale frutta e verdura che poi arrivano sulle nostre tavole, tramite il “triangolo dell’ortofrutta”, Milano, Fondi e Vittoria. Da questa triangolazione arriva un pomodoro ciliegino, una melanzana o un frutto, sulla tavola di un milanese, di un veneto, di un romano. Indistintamente. Provengono dal lavoro e dal sudore della fronte di imprenditori e di braccianti agricoli che, per la stragrande maggioranza, sono onesti lavoratori, ma la contaminazione mafiosa inizia dalla base, sin da subito dopo la raccolta (a volte anche durante la raccolta, con il famoso fenomeno del caporalato che non può essere scisso da padroni e padroncini e che, se non direttamente mafiosi, spesso usano atteggiamenti mafiosi).
Poi la filiera del Mercato di Vittoria che rappresenta un settore complesso e composito. Non la mera vendita, molto di più. Dal produttore ai padroncini, ai commissionari, ai famosi “posteggianti”, ai concessionari, sino a coloro che confezionano gli imballaggi, le cassette, gli angolari. I “servizi”, il vero tasto dolente odierno, rappresentano le peggiori estorsioni “mascherate”.
Per non parlare dei trasporti, gestiti dai Casalesi. E non è un caso se l’osservatorio della Coldiretti, con l’autorevolissimo Presidente Gian Carlo Caselli, inserisce la provincia di Ragusa al primo posto nella propria recente classifica (2015 – LEGGI ARTICOLO) delle agromafie.
Le mafie fanno “squadra” e non si fanno la guerra. Così nel ragusano – ed a Vittoria in particolare – si è passato da centinaia di morti ammazzati negli anni novanta, agli accordi di ferro dei nostri anni. Le mafie diventano una vera e propria holding: Stidda e Cosa Nostra si dividono gli affari locali, la ‘Ndrangheta gestisce la cocaina e la Camorra (sarebbe più giusto parlare dei Casalesi) gestiscono i trasporti (sul punto giova ricordare il processo “Paganese”, cioè la condanna per Gaetano Riina – fratello del capo dei capi, Totò – ed i Casalesi, per il patto dell’ortofrutta – LEGGI ARTICOLO).
L’attenzione delle istituzioni per questo territorio è stata ad “ondate”, così si è passati dal negazionismo o, ancor peggio, dal riduzionismo, fino alla grande attenzione a seguito della strage di San Basilio (2 gennaio 1999). Poi, passati quegli anni, nuovamente poco o nulla.
Fino all’odierno periodo in cui la Prefettura, la Magistratura e le Forze dell’Ordine stanno cercando, con enormi sacrifici, di recuperare il terreno perduto da parte dello Stato nei confronti di questi soggetti. Soggetti che, come nel caso dello storico capomafia Claudio Carbonaro o di Roberto Di Martino, dopo il periodo di collaborazione con lo Stato, sono ritornati a calcare quelle scene ed a delinquere. Basti solo immaginare cosa voglia dire per un “pentito” ritornare nella città che, con le proprie “confessioni”, in anni precedenti, ha destabilizzato, favorendo operazioni di Polizia. Ed oggi ritorna sulla “scena”, stringe accordi e cerca di riprendersi il terreno perduto: totalmente indisturbato.
Una responsabilità che è di tutti, ad iniziare dalla cosiddetta società civile, ma ovviamente della politica, a cui cinicamente ha fatto (e fa) comodo questa situazione stagnante, in cui questi signori esercitavano una vera e propria “riserva di caccia” in termini di voti.
Per troppo tempo, in questo lembo di Terra così bello, mafia ed affari hanno avuto lo stesso odore, quello di sangue e di morte. E la corruzione, a tutti i livelli, ha favorito questo processo. Oltre al disinteresse che ha costretto chi ha, da solo, denunciato a vivere nell’isolamento, come un “pazzo e visionario”. Lo stesso beffardo destino che ha riguardato l’amico e collega Giovanni Tizian, le cui minacce subite hanno portato ieri alla condanna dei suoi “carnefici”.
Serve una nuova consapevolezza civica (sulla linea tracciata dall’Antiracket di Vittoria) ma serve, soprattutto, una nuova e concreta attenzione mediatica nazionale, affinché lo Stato - che siamo tutti noi - non perda la battaglia finale.
Tutto per consentire ad un qualsiasi italiano, ad ogni latitudine, di poter avere sulla propria tavola i meravigliosi prodotti dell’ortofrutta vittoriese ed iblea, ma senza questo inaccettabile odore di mafia. Perché il problema riguarda tutti: non lasciateci soli nel denunciare, aiutateci, altrimenti farete il loro gioco!