In una della sale di Palazzo delle Contesse a Mel, in provincia di Belluno, una domanda ha ispirato il convegno svoltosi il 14 ottobre 2023: perché è accaduto il Vajont? Laura Nota, professoressa ordinaria di Psicologia dell’inclusione dell’Università di Padova e direttrice del corso di alta formazione attivato da Unipd e Fnsi, ha suggerito un quesito che rimanda a una possibile chiave di lettura. Lo ha fatto nell’ambito della “riflessione” – così come l’ha definita la moderatrice Monica Frapporti, vicesindaca di Borgo Valbelluna – che sullo sfondo della tragedia del 9 ottobre 1963 ha messo a confronto due “grandi firme”, così distanti e antitetiche pur nella loro “bellunesità”, come furono e restano Dino Buzzati e Tina Merlin.
Origini borghesi che ammiccano alla nobiltà, quelle di Buzzati, che gli consentono un cursus honorum verso la laurea in giurisprudenza a Milano, dove di fatto cresce e risiede stabilmente e dove poco più che ventenne entra al Corriere della Sera. Origini contadine, umilissime, per Merlin che appena tredicenne, costretta a interrompere la scuola, si ritrova pure lei a Milano, ma per fare la serva in una delle famiglie “bene” e mandare i soldi ai genitori.
I giornalisti possono costruire un mondo migliore? La risposta di Tina Merlin sarebbe stata sì. Non ha espresso dubbi al riguardo Adriana Lotto, biografa della giornalista e presidente dell’Associazione culturale a lei intitolata. Merlin nel 1963 ha 37 anni, e da circa dieci fa la corrispondente da Belluno per l’Unità, il giornale del Partito Comunista cui Merlin è iscritta. Lotto ha condensato la figura di Merlin con la definizione della “voce del territorio”. Da oscura cronista di provincia è stata l’unica a mettere in guardia contro il prodigio dell’ingegneria votato a candidarsi quale impianto idroelettrico da primato mondiale. Sì, Tina Merlin era sola, come ebbe a dichiarare Giorgio Lago, compianto direttore del Gazzettino, «e in democrazia è difficilissimo essere soli».
Merlin «si fa voce collettiva della comunità di Erto che si auto-organizza per difendersi». E paga questo suo schierarsi a fianco dei montanari contro i poteri forti condensati nella Sade. Allora come ora, arriva la denuncia – i bavagli alla stampa, le querele temerarie che continuano a minare la libertà di informazione – e il processo, siamo nel 1959, per diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico. Magari fossero state false quelle notizie, viene da dire oggi. Merlin svolge il suo lavoro d’inchiesta con tutti i crismi. Come ha sottolineato Monica Andolfatto, segretaria del Sindacato giornalisti Veneto e componente della giunta della Federazione nazionale della Stampa italiana che proprio quest’anno ha voluto lanciare il primo Premio sul giornalismo d’inchiesta territoriale dedicandolo proprio a Tina Merlin.
Merlin si guarda attorno, vede che il paesaggio cambia con la costruzione di dighe, va sul posto, raccoglie la voce della gente, i timori, le paure. Ma non si limita a questo. Verifica i fatti e lo fa con “fonti aperte” e “fonti coperte”, confronta i dati, cerca le prove. Fa la cronista d’inchiesta. E lancia più volte l’allarme. Inutilmente.
«Non ho fatto abbastanza» si rimprovera all’indomani della strage. E si indigna venti anni dopo, nel 1983, per la “rimozione” del e sul Vajont.
Una mattinata di riflessione che ha visto la partecipazione di un centinaio di persone in platea, promossa dall’Associazione Villa Buzzati S. Pellegrino il Granaio in collaborazione con il Centro Studi Internazionale Dino Buzzati di Feltre, il Comune di Borgo Valbelluna e il contributo della Provincia di Belluno, del Comune di Longarone e della Fondazione Vajont.
Cinque giorni dopo l’anniversario e la visita al cimitero di Fortogna e poi alla diga a Erto Casso del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, commemorazione che nei vari interventi ha riconosciuto senza se e senza ma che il Vajont è stata una catastrofe causata dall’uomo, dalla sua volontà di magnificare i prodigi della scienza, dalla sua logica del profitto a qualsiasi costo: 1.910 uccisi dall’onda gigantesca.
La “natura crudele” non ha colpe. Anzi cerca a più riprese di allertare soprattutto gli esperti (ingeneri, geologi, tecnici), i residenti non ne hanno bisogno. Natura crudele è il titolo dell’editoriale che l’11 ottobre 1963 il Corriere della Sera pubblica a firma di Dino Buzzati. Non è sul posto. È in redazione a Milano. Non è un articolo d’inchiesta. È appunto da terza pagina. Redatto dal Buzzati scrittore non dal Buzzati giornalista. Patrizia Dalla Rosa, responsabile della ricerca del Centro Studi Buzzati, dell’omonima associazione internazionale di Feltre, ha evidenziato: «Un brutto articolo» nel quale si celebra la maestosità della diga e si condanna la natura appunto crudele che si è voluta vendicare della sfida che l’uomo le ha dichiarato».
Lorenzo Viganò, giornalista, esperto di Buzzati e curatore dell’opera per Mondadori, ha dato la sua interpretazione: «Buzzati non è un giornalista d’inchiesta. Si tratta davvero di una tale onta da oscurare quarant’anni di carriera, tale da mettere in dubbio la sua professionalità e la sua onestà intellettuale? E ancora che cosa ha mai scritto di così grave per meritare tutto questo?». Viganò ha invitato a indagare. A Buzzati viene chiesto un commento a caldo. Il suo non è un giornalismo investigativo. Buzzati insomma non è Tina Merlin. «Non è il suo compito cercare responsabilità - ha concluso Viganò -. Compito di Buzzati è analizzare emotivamente e umanamente l’accaduto, vederne riflesso il senso della vita e della morte, del destino. Leggerlo come specchio dell’esistenza». Lo fa anche con il Vajont, non nascondendo il dolore, lo strazio. E non a caso quell’articolo è fra i più studiati nelle scuole di giornalismo. Ma non come un articolo d’inchiesta.
Dove sono le croniste e i cronisti oggi? È l’interrogativo finale posto da Andolfatto. «Il mestiere non è cambiato, sono cambiati i mezzi, gli strumenti, la società». L’esempio, la figura di Merlin sono quanto mai attuali: nel modo di muoversi, agire; nei tentativi di censura e purtroppo anche nel precariato che può minare alla base l’indipendenza di chi fa giornalismo.
Si è commosso senza nasconderlo Renato Migotti, l’architetto con studio in pieno centro a Longarone, che nel 1963 aveva 16 anni. Si è salvato. È presidente dell’Associazione superstiti Il futuro della Memoria. Nel 2008 l’Unesco ha decretato che il Vajont è il peggiore disastro umano al mondo. «Sessant’anni dopo, il peggior disastro che possiamo commettere è dimenticare e ripetere gli stessi errori».
IL PREMIO
A questo link il bando della prima edizione del premio Fnsi "Dove è Tina Merlin oggi?".