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Osservatorio sui media 15 Feb 2011

Ultime Notizie da Ossigeno per l’Informazione

14 febbraio - Pubblichiamo le notizie che ci sono pervenute da O2 Ossigeno per l’Informazione - Osservatorio Fnsi-Ordine dei Giornalisti sui cronisti sotto scorta e le notizie oscurate con la violenza

14 febbraio - Pubblichiamo le notizie che ci sono pervenute da O2 Ossigeno per l’Informazione - Osservatorio Fnsi-Ordine dei Giornalisti sui cronisti sotto scorta e le notizie oscurate con la violenza

MAGOSSO: “SE CERCARE NOTIZIE E’ REATO, SONO COLPEVOLE”

“Se svolgere un’inchiesta giornalistica e raccogliere nuove prove sugli eventi che hanno portato all’assassinio di Walter Tobagi è un reato – afferma Renzo Magosso -, io sono colpevole. Se produrre in un’aula di Tribunale documenti di indubbia importanza  ma diversi  e del tutto inediti rispetto a quelli che compaiono nelle sentenze del 1983 e 1984 sui killer di Tobagi è meritevole di condanna, sono colpevole”. [segue]

 

La storia del giornalista condannato per uno scoop

 

Pubblichiamo una testimonianza del giornalista di Milano  Renzo Magosso,  condannato in Cassazione a dicembre del 2010 a una pena pecuniaria di mille euro (condonata) e a un risarcimento di 240 mila euro. Una sentenza che ha destato molta preoccupazione perché rischia di impedire ogni possibilità di fare giornalismo di inchiesta in Italia.  Tanto più che è ancora pendente per lo stresso caso una causa civile con la richiesta di 1,5 milioni di euro di risarcimento. Tutto nasce da una intervista del 2004 nella quale Magosso ha raccontato i retroscena inediti di un suo clamoroso scoop del 1980: subito dopo l’assassinio di Walter Tobagi, Magosso rivelò che a uccidere il giornalista del Corriere della Sera era stato il terrorista Marco Barbone. Scrisse il nome dell’assassino dieci giorni prima che Barbone confessasse il delitto. Ventiquattro anni dopo, il 17 giugno 2004, sul settimanale Gente (allora diretto da Umberto Brindani), Magosso intervistò l'ex brigadiere dei carabinieri Dario Covolo (noto con il nome in codice "Ciondolo") che era stato una sua fonte. Covolo raccontò particolari inediti e inquietanti sulle indagini per l'omicidio di Walter Tobagi. In particolare, rivelò che sei mesi prima dell’assassinio di Tobagi aveva comunicato ai suoi superiori che alcuni terroristi della Brigata XXVIII Marzo stavano progettando il delitto, circostanza che i generali dell’Arma Alessandro Ruffino e Umberto Bonaventura, superiori di “Ciondolo”, hanno sempre negato. Ruffino e la sorella di Bonaventura (nel frattempo deceduto)  querelarono Magosso per diffamazione. Adesso ci sarà un ricorso alla Corte Europea di Strasburgo

 

RENZO MAGOSSO RACCONTA   LA VICENDA DELLA SUA CONDANNA IN CASSAZIONE

A dicembre del 2010 i l giornalista di Milano Renzo Magosso è stato condannato in Cassazione  a una pena pecuniaria di mille euro (condonata) e a un risarcimento di 240 mila euro. La sentenza desta preoccupazione perché rischia di impedire ogni possibilità di fare giornalismo di inchiesta in Italia. Tanto più che è ancora pendente per lo stesso caso una causa civile con la richiesta di danni 1,5 milioni di euro.

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“Se cercare notizie è reato, sono colpevole”

“Se svolgere un’inchiesta giornalistica e raccogliere nuove prove sugli eventi che hanno portato all’assassinio di Walter Tobagi è un reato, io sono colpevole. Se produrre in un’aula di Tribunale documenti di indubbia importanza  ma diversi  e del tutto inediti rispetto a quelli che compaiono nelle sentenze del 1983 e 1984 sui killer di Tobagi è meritevole di condanna, sono colpevole”. Mi chiamo Renzo Magosso, sono un giornalista e mi ritengo colpevole di aver rintracciato e intervistato , 25 anni dopo il delitto Tobagi un protagonista importante di quegli eventi, mai ascoltato fino a quel momento in un’aula di Giustizia: l’ex brigadiere dei carabinieri Dario Covolo, nome in codice “Ciondolo” che negli anni Settanta, fino al 1980 ha lavorato nel nucleo antiterrorismo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa  con il compito di raccogliere informazioni da un terrorista, Rocco Ricciardi detto “il postino di Varese”, prima informatore, poi infiltrato, uno che, negli anni più duri del ‘partito armato’, era disposto a parlare mantenendo l’impunità. Un informatore prezioso e unico, che fece fare decine di arresti nel 1979-‘80, un anno e mezzo prima delle rivelazioni di “pentiti” diventati famosi, come Patrizio Peci per le Br e Roberto Sandalo per Prima Linea. Ebbene, quando io l’ho cercato, l’ex brigadiere Dario Covolo ha commentato:  “Finalmente qualcuno mi chiede come veramente sono andate le cose nella vicenda Tobagi! Mi sento in qualche modo colpevole di non aver potuto salvarlo e c’erano tutte le condizioni per farlo. Sei mesi prima del delitto, cioè nel dicembre 1979, il terrorista Rocco Ricciardi mi raccontò che un gruppo di fuoco stava operando in via Solari, a Milano, dove abitava Walter Tobagi con l’obiettivo di sequestrarlo o di ucciderlo. Io scrissi un primo rapporto che rimase segreto per ben tre anni. Cioè fino a quando, alla fine del 1983, dopo la prima sentenza di condanna ai killer di Tobagi, l’allora ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro lo rese noto in Parlamento. Ma finora nessuno ha detto che dopo quel primo rapporto ne scrissi altri, sempre sulla base delle confidenze di Rocco Ricciardi, che mi fornì anche il nome del terrorista che aveva in animo di colpire Walter Tobagi, cioè Marco Barbone, proprio lui che poi lo uccise, il 28 maggio 1980 firmando con una sigla nuova, rispetto a quelle con le quali aveva agito fino a quel momento, cioè “Brigata 28 Marzo”.

Quando sono stato querelato, Dario Covolo è venuto  a deporre in tribunale e ha confermato, parola per parola  quanto avevo scritto nell’intervista al settimanale “Gente”, e anche il racconto dei fatti che mi ha consentito di scrivere il libro “Le Carte di Moro, perché Tobagi”. Inoltre , il generale dei carabinieri Niccolò Bozzo ha reso una deposizione a mio favore e ha prodotto un documento interno dei carabinieri nel quale gli si elencavano “le cose da dire e quelle da non dire” se fosse stato chiamato a deporre nei processi Tobagi degli anni Ottanta. Quel documento  chiarisce in maniera evidente che Tobagi non fu mai avvisato del gravissimo pericolo che stava correndo e che risultava in base alla relazione di Covolo sulle confessioni “segrete” di Rocco Ricciardi.

Ma tutto questo non è bastato ad assolvermi. Non è servito neppure l’esibizione del mio articolo dell’epoca, nel quale, dieci giorni prima delle confessioni di Marco Barbone, definite dagli inquirenti “Inaspettate e sorprendenti”  scrissi che proprio lui era il killer di Tobagi e che le indagini stavano proseguendo a Varese, città dell’informatore Ricciardi. Tutto ciò non è servito a evitarmi una condann in primo grado, in secondo grado e da ultimo, lo scorso dicembre 2010, in Corte di Cassazione, dopo quasi sei anni di processi e ben sette interrogazioni parlamentari che facevano apparire l’assurdità di quel modo di valutare i fatti. Insieme con me è stato condannato Dario Covolo e anche l’allora direttore responsabile di “Gente” Umberto Brindani.  Una condanna a mille euro di multa, condonati, e versare complessivi 240 mila euro, mentre in sede in sede civile pende una richiesta di risarcimento fino a 1,5 milioni di euro.

Dal momento che la Cassazione fa giurisprudenza, questa sentenza mette a rischio, d’ora in poi, ogni  giornalista che realizzerà un’inchiesta andando  oltre gli atti di un processo già concluso. Perché è proprio questo il punto: la Cassazione ha in sostanza ribadito che occorre riferirsi agli atti del processo Tobagi degli anni Ottanta ignorando, di fatto, tutti i nuovi elementi emersi.

Renzo Magosso                        

Milano, 14 febbraio 2011

 

IL BASCO GORKA ANGULO AL CONVEGNO DI OSSIGENO

“HO RISCHIATO LA VITA PER RACCONTARE IL TERRORISMO”

"Era il 1997 quando un amico poliziotto basco mi consigliò di andarmene”, racconta Gorka Angulo, che partecipa a Roma al convegno dell'Osservatono Ossigeno sui giornalisti minacciatl in Italia e in  Spagna, presso i’istituto di cultura spagnolo Cervantes. Lavoravo in un’agenzia di stampa a Bilbao, la mia città, dovetti partire in tutta fretta per le Canarie. Il clima era pesante: ormai non erano più solo Insulti e minacce: l’ETA cominciava a organizzare attentati contro i giornalisti e in effetti, tre anni dopo...”.


L‘intervista di Alessandro Oppes – Madrid

Vivere sotto la costante minaccia del terrorismo. Negli ultimi 15 anni è stata la condizione dei giornalisti baschi, costretti a fare ricorso alla scorta della polizia o a guardie private, a volte indotti a lasciare la loro terra. Solo da poco il clima è cambiato: un mese fa il cessate il fuoco dell'Eta, l'altroieri l'annuncio della formazione del partito erede di Batasuna, che per la prima volta rifiuta in modo inequivocabile la violenza. Si chiamerà Sortu, che in basco vuol dire Nascere. Ed è anche la speranza di tutte le vittime della banda armata: quella di poter recuperare la normalità. "Era il 1997 quando un amico poliziotto basco mi consigliò di andarmene", racconta Gorka Angulo, che oggi parteciperà a Roma al convegno dell'Osservatorio Ossigeno sui giornalisti minacciati in Italia e Spagna, presso l'istituto di cultura spagnolo Cervantes. "Lavoravo in un'agenzia di stampa a Bilbao, la mia città, dovetti partire in tutta fretta per le Canarie. Il clima era pesante: ormai non erano più solo insulti e minacce: l'Eta cominciava a organizzare attentati contro i giornalisti".

E in effetti, tre anni dopo, nel 2000, venne assassinato José Luís Lopez de Lacalle, editorialista del quotidiano El Mundo. “Rientrai a Bilbao, perché non sopportavo la distanza, e non mi abituavo neppure all'idea di dargliela vinta - ricorda Angulo - ma la situazione in quel periodo era molto difficile. Così accettai la proposta dei responsabili della tv Antena3 di trasferirmi a Santiago de Compostela. Pensavo che almeno lì sarei stato al sicuro. Ma presto scoprirono un commando dell'Eta anche in Galizia: tra i documenti sequestrati c'era anche il mio nome, che era stato fornito ai terroristi da un mio vecchio compagno di univerità”.

Eppure, nel 2005, decide di rientrare a Bilbao. È il periodo del negoziato fra l'Eta e il governo Zapatero.

Sì, il clima aveva cominciato a cambiare. Mi offrono l'incarico di responsabile di Cnn+ e Cuatro nel Paese Basco. Accetto perché so di non poter restare per sempre lontano da casa.

L'impressione è che ora siamo più vicini alla fine del terrorismo?

Sicuramente. E non è certo per volontà dell'Eta, ma soprattutto per la politica antiterroristica di questo governo e di quello precedente. A cui si aggiunge il rifiuto della violenza da parte della società basca.

Pensa che chiederanno mai perdono per i decenni di sofferenza che hanno provocato?

È difficile immaginare che chi è stato a favore della lotta armata arrivi a pentirsi. Ma quando annunceranno la fine del terrorismo, la società dovrà essere generosa. Si dovrà, in qualche modo, arrivare a una riconciliazione.

 

GIORNALI/ A CATANIA CONDORELLI NON E’ PIU’ IL DIRETTORE DI "SUD"

Antonio Condorelli è stato “allontanato” dall’incarico di direttore del quindicinale free press “Sud” di Catania in circostanze poco chiare che fanno pensare a una censura della aggressiva linea di giornalismo di inchiesta adottata in questi mesi. Alla guida di Sud, Condorelli ha movimentato il panorama informativo etneo dominato dal monopolio del quotidiano “ La Sicilia ” di Mario Ciancio.
[Una nota di Roberto Rossi]
CONDORELLI, I SUOI SCOOP, IL SUO ALLONTANAMENTO DA ‘SUD’

OSSIGENO – 14 febbraio 2011 - «Sud si è liberato di un rischio pericoloso». Con questo titolo il sito Sudpress ha annunciato l’allontanamento di Antonio Condorelli, dalla direzione del quindicinnale free-press catanese “Sud”. Condorelli è il giornalista che aveva fondato il giornale lo scorso settembre

«Condorelli è stato allontanato per fatti gravissimi», scrivono gli editori  e chiedono ai lettori di aspettare per sapere «tutta la verità». Intanto fanno circolare i pesanti attacchi alla professionalità di Condorelli contenuti in un articolo messo in rete domenica 3 febbraio a commento di una nota dell’ex direttore, diffusa il giorno da Condorelli. Questi aveva dovuto rivolgersi ad altri siti e aevva denunciato: “il mio IP (l’indirizzo email presso la testata, ndr) è stato bloccato e non posso commentare né scrivere sul portale www.sudpress.it da me diretto sino a pochi giorni addietro».

Sud è un quindicinale distribuito gratuitamente a Catania, ed è collegato al sito web Sudpress che viene aggiornato quotidianamente con notizie, video e inchieste. Le notizie diffuse da Sud e da Sudpress in questi quattro mesi hanno vivacizzato le compassate consuetudini informative del capoluogo etneo, dove da oltre trent’anni domina in monopolio l’editore Mario Ciancio. Alcuni  clamorosi scoop  si Condorelli hanno riguardato il presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo. In virtù di una sua denuncia, lo scorso 30 settembre la procura di Catania ha emesso nei confronti del giornale un ordine di esibire i contenuti del numero ancora in allestimento, che sarebbe uscito il giorno dopo. L’operazione aveva il sapore di un tentativo di censura preventiva e ha suscitato dure proteste.

Antonio ha 31 anni, collabora con L’Espresso, col Fatto Quotidiano e con Report. Per la sua attività, lo scorso anno, ha ricevuto una minaccia di morte ed è stato vittima si stalking intimidatorio. Roberto Rossi

@fnsisocial

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