CERCA
Cerca nelle notizie
Dal
Al
Cerca nel sito
Andrea Sceresini e Alfredo Bosco (Foto: facebook.com/andrea.sceresini)
Internazionale 27 Feb 2023

Ucraina, Bosco e Sceresini sono tornati in Italia: «Inutile restare, libertà  di stampa a rischio»

I due reporter, cui era stato ritirato l'accredito il 6 febbraio, hanno lasciato il Paese in guerra «con grande amarezza, dietro consiglio della nostra Ambasciata. Altri giornalisti italiani sono stati inseriti in questa "lista di proscrizione”».

Dopo essere rimasti dal 6 febbraio 2023 in Ucraina senza la possibilità di lavorare a causa del ritiro del loro accredito da parte delle autorità locali, Alfredo Bosco e Andrea Sceresini sono tornati in Italia. Lo hanno annunciato i due reporter, che erano in Ucraina sin dall’inizio del conflitto, in una lettera datata 25 febbraio inviata alla loro legale Alessandra Ballerini in cui spiegano le motivazioni della loro scelta.

«Dopo 19 giorni in attesa di spiegazioni ufficiali che non sono mai arrivate, abbiamo deciso di lasciare l'Ucraina. Era il 6 febbraio quando i nostri accrediti giornalistici sono stati sospesi dal ministero della Difesa di Kyiv. Da allora non abbiamo più potuto svolgere il nostro lavoro di reporter, e per ragioni di sicurezza abbiamo dovuto lasciare il Donbass alla volta di Kyiv. Abbiamo contattato più volte le autorità ucraine, che sono state sollecitate, oltre che dalla Ambasciata, anche dall'Ordine dei giornalisti, dalla Fnsi e dal nostro avvocato Alessandra Ballerini. Ci era stato detto che avremmo dovuto sottoporci a un interrogatorio da parte dell'Sbu, i servizi di sicurezza di Kyiv. Per 19 giorni, come ci era stato espressamente richiesto, abbiamo atteso con pazienza questa convocazione che tuttavia non c'è mai stata. Nel frattempo le uniche voci che ci sono giunte, e che hanno iniziato a circolare abbondantemente proprio dal 6 febbraio, sono quelle che ci descrivevano come "propagandisti filorussi" e "collaboratori del nemico". Si tratta di calunnie gravissime e pericolose, specie in zona di guerra. La nostra colpa - così ci è stato detto dalla Farnesina - sarebbe quella di aver raccontato il conflitto su entrambi i fronti a partire dal 2014, realizzando inchieste e reportage (peraltro non certo in favore dei russi) anche nelle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. Tanto sarebbe bastato a renderci automaticamente dei giornalisti "nemici". Il 21 febbraio - stando a quanto ci è stato riferito dall'Ambasciata italiana - le autorità ucraine hanno persino messo il veto sulla nostra partecipazione alla conferenza stampa Meloni-Zelensky. Questo nonostante il fatto che l'elenco dei giornalisti che avrebbero potuto prendere parte all'evento fosse stato compilato dai nostri diplomatici, e che non fosse necessario alcun accredito militare. È stato questo episodio, in particolare, a farci capire che la nostra attesa era diventata inutile. Lasciamo l'Ucraina con grande amarezza, dietro consiglio della nostra Ambasciata. Prima e dopo di noi, a loro insaputa, altri giornalisti italiani sono stati inseriti in questa "lista di proscrizione", a cominciare da Salvatore Garzillo e Lorenzo Giroffi. Se passerà questa linea - secondo la quale chi ha cercato di lavorare liberamente, senza fare il tifo, ma semplicemente raccontando i fatti, debba essere considerato una minaccia per l'Ucraina - allora il rischio è il livello di libertà di stampa in questo conflitto si abbassi sensibilmente. Tutti i giornalisti stranieri avranno davanti agli occhi il nostro precedente, e chi probabilmente avrà la meglio - se si procederà in questo senso - saranno i propagandisti e gli uffici stampa.  È per evitare questa prospettiva - nella speranza che le autorità ucraine tornassero sui loro passi - che abbiamo deciso di resistere per questi 19 giorni. Oggi, alla luce di ciò che è successo, restare non avrebbe più senso. Speriamo che tutto ciò sia comunque servito a lanciare un messaggio forte, contro ogni censura e contro ogni bavaglio».

@fnsisocial

Articoli correlati