di Marina Castellaneta*
Un risarcimento elevato nei casi di diffamazione, in grado di dissuadere un organo di stampa dalla funzione di informare la collettività su questioni di interesse generale, è una violazione dell'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. E questo anche nei casi in cui è stato commesso un errore. Lo ha ribadito la Corte di Strasburgo con la sentenza, depositata il 27 luglio, di condanna al Portogallo nella quale conferma che non solo il carcere, ma anche i risarcimenti eccessivi disposti in sede civile nei confronti di un editore sono incompatibili con la Convenzione.
A darne notizia, sul proprio blog, la professoressa Marina Castellaneta. A rivolgersi alla Corte europea – ricostruisce la docente – è stata la SIC (Sociedade Independente de Comunicação). La società, proprietaria di un network televisivo, era stata condannata in sede civile a seguito di alcuni servizi televisivi su un'inchiesta sulla pedofilia nelle Azzorre che coinvolgeva un ente e alcuni politici. La notizia era stata ripresa non solo in Portogallo, ma anche all'estero. Il canale televisivo aveva dato conto delle persone sospettate, inclusi alcuni politici, ascoltate dalla polizia. Un politico del governo regionale delle Azzorre aveva citato in giudizio la società perché era stata data un'informazione sbagliata sul suo arresto: i giudici nazionali avevano accolto la sua richiesta e la Corte suprema aveva confermato la lesione della reputazione del politico – che si era anche dimesso – dando il via libera a un risarcimento pari a 145mila euro, per danno materiale e non patrimoniale. Di qui il ricorso del network televisivo alla Corte europea, che lo ha accolto.
Il canale televisivo aveva dato notizia su un'indagine in corso di interesse pubblico e, poiché l'inchiesta coinvolgeva politici noti, era stato corretto diffonderlo negli orari di punta. I fatti divulgati, inoltre, erano stati già resi noti, ma nel servizio televisivo era stato riportato erroneamente che uno dei politici coinvolti era stato arrestato. La notizia era stata successivamente rettificata ma – osserva la Corte – è indiscutibile che la reputazione dell'interessato era stata lesa. Tuttavia, la rettifica dopo qualche ora, aveva limitato i danni, anche sotto il profilo temporale tant'è che il politico era stato poi eletto in Parlamento. In ogni caso, però, il risarcimento imposto alla società era stato sproporzionato e, quindi, in contrasto con il diritto alla libertà di espressione.
«È difficile – osserva Strasburgo – accettare che il danno alla reputazione di R.R. [il politico che si riteneva diffamato] fosse di tale livello di gravità da giustificare un risarcimento di quella portata». Inoltre, un simile importo è in grado di dissuadere la stampa dal fornire informazioni di interesse pubblico e ha un sicuro "chilling effect" sulla libertà di stampa. Di qui la conclusione che l'ingerenza è stata sproporzionata e non necessaria in una società democratica.
La Corte ha anche chiarito che le sentenze in cui viene accertata una violazione dei diritti convenzionali impongono la cessazione della violazione da parte dello Stato e un indennizzo per le conseguenze subite dalla vittima. Per la Corte, poiché nel codice di procedura civile portoghese è prevista la riapertura del processo nei casi di violazione della Convenzione, il Portogallo dovrebbe riaprire il procedimento. La Corte ha così escluso, per questa ragione, l'indennizzo che, a questo punto, dovrebbe arrivare dai giudici nazionali.
*L'articolo è tratto dal blog della professoressa Marina Castellaneta (qui il link diretto).