Un "serio esame di coscienza" dovrebbe essere aperto sul modo di lavorare dei giornalisti, ora che per il delitto di Erba sono stati individuati i veri responsabili. A rilevarlo è Lorenzo Del Boca, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, secondo il quale "forse pubblichiamo articoli e mandiamo in onda interviste con troppa superficialità, assecondando il bisogno di assicurare quantità industriali di parole e di espressioni ad effetto piuttosto che la necessità di valutare le conseguenze che le nostre valutazioni comportano"
Del Boca, in particolare, ricorda che "il primo giorno per raccontare una strage bestiale non si è esitato a indicare il responsabile in Azouz Mazouk, marito, padre, genero e vicino di casa delle vittime. Poco margine per i dubbi, pochi condizionali e nessun interrogativo". Per questo, rileva, "è doverosa una maggiore prudenza nel trattare episodi che coinvolgono (e compromettono) la vita della gente": adesso che il caso sembra chiuso con la confessione dei presunti responsabili "rimangono - afferma Del Boca - le pagine dei giornali dei giorni immediatamente successivi al delitto che accusano un poveraccio e rappresentano un atto d'accusa per noi stessi". I giornalisti, scrive il presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine, "non hanno la verità in tasca, la cercano sempre ed è bene che lo facciano senza la presunzione di poterla trovare in fretta". Per questo, "non guasta un poco di attenzione in più. Il lasciarsi avvinghiare da qualche dubbio - conclude Del Boca - aiuterebbe a commettere meno errori e a esercitare un giornalismo più professionale". (AGI) "Adesso che per il delitto di Erba sono stati individuati i veri responsabili, dovrebbe aprirsi un serio esame di coscienza sul modo di lavorare dei giornalisti. Forse pubblichiamo articoli e mandiamo in onda interviste con troppa superficialità. Assecondando il bisogno di assicurare quantità industriali di parole e di espressioni ad effetto piuttosto che la necessità di valutare le conseguenze che le nostre valutazioni comportano. Nel caso di Erba, il primo giorno, per raccontare una strage bestiale non si è esitato a indicare il responsabile in Azouz Mazouk, marito, padre, genero e vicino di casa delle vittime. Poco margine per i dubbi, pochi condizionali e nessun interrogativo. Non si trattava di un'ipotesi ma, piuttosto, di una certezza. Un emigrato.. con precedenti penali.. appena uscito dal carcere.. scappato chissà dove… c'era da dubitarne? E, infatti, i quotidiani hanno "raddoppiato" le cronache con commenti sull'efferatezza dell'indulto che aveva lasciato liberi stupratori e assassini, con licenza di ricominciare daccapo con le loro nefandezze. Non tutto è dovuto alla responsabilità dei giornalisti. I colleghi cronisti, evidentemente, sono stati tratti in inganno dalle prime mosse degli inquirenti che cercavano Azouz Mazouk. Ma, poi, hanno tratto convinzioni granitiche assolutamente spropositate e, alla luce della conclusione della vicenda, anche assolutamente sbagliate. E' doverosa una maggiore prudenza nel trattare episodi che coinvolgono (e compromettono) la vita della gente. Non è il caso di scomodare detti evangelici che pretendono di "non fare agli altri ciò che non vorresti sia fatto a te" ma, a volte, non è inutile mettersi nei panni delle vittime per verificare se tutti gli aggettivi che usiamo risultano opportuni. Adesso che il caso sembra chiuso con la confessione, prova regina, dei presunti responsabili, rimangono le pagine dei giornali dei giorni immediatamente successivi al delitto che accusano un poveraccio e rappresentano un atto d'accusa per noi stessi. Soltanto il Corriere della Sera ha sentito il bisogno di scusarsi per aver sbattuto il mostro in prima pagina. I giornalisti non hanno la verità in tasca, la cercano sempre ed è bene che lo facciano senza la presunzione di poterla trovare in fretta. Quando pubblicano i loro articoli offrono ai lettori, agli ascoltatori e ai telespettatori quella particella di verità che sono riusciti a documentare fino a quel momento, tenuto conto del tempo che è sempre poco e delle informazioni che sono sempre offerte in modo troppo interessato. A volte si pubblica di un condannato in primo grado che, fino a quel momento, è colpevole. Poi, magari, quella stessa persona viene assolta nel processo d'appello e allora si dà conto che, da quel momento, è un innocente, anzi, vittima di un'ingiustizia. Qual è la verità? Il suo senso e il suo valore possono cambiare anche radicalmente in breve tempo. Per questo non guasta un poco di attenzione in più. Il lasciarsi avvinghiare da qualche dubbio - considerare che quello che sembra non necessariamente è ciò che - aiuterebbe a commettere meno errori e a esercitare un giornalismo più professionale". Lorenzo Del Boca