«In primo luogo è necessario smontare una convinzione errata: quello che si è fatto durante il lockdown non è stato smart working ma "lavori domiciliari". Smart working è altro. Si può dire che il giornalismo è stato ed è smart working ante litteram». Così il segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana, Raffaele Lorusso, in conclusione del seminario 'Il giornalista nell'età dello smart working' organizzato nella sede della Fnsi dalla Fondazione sul giornalismo italiano 'Paolo Murialdi'. «Oggi la sfida è: smart working come? Se lo stanno chiedendo l'Unione europea, che ha annunciato una direttiva ad hoc per il 2021, il Parlamento italiano, la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che ha già convocato le parti sociali per un primo confronto. Per quel che riguarda lo specifico della nostra professione – ha proseguito Lorusso – in ogni sede va riaffermato il ruolo centrale della contrattazione collettiva, sia aziendale che nazionale».
Un quadro in chiaro-scuro, quello emerso dal seminario, durante il quale sono stati sviscerati aspetti positivi e negativi del ricorso alla modalità di 'lavoro in emergenza' – quello svolto nei mesi scorsi – e di quello che sarà un modo tutto nuovo di lavorare, un modello tutto da costruire, valutando e bilanciando con attenzione i rischi e le opportunità, «senza lasciarsi affascinare dalla promessa della comodità di "lavorare in pantofole" che non si addice al lavoro giornalistico», ha aggiunto Lorusso.
Per il segretario generale della Fnsi, inoltre, «bisogna evitare che il lavoro agile diventi un ghetto per i lavoratori più deboli e per le donne in particolare. Che diventi occasione – ha specificato – per creare nuove disuguagliane. E dobbiamo fare attenzione che non venga meno la dimensione stessa della professione: il confronto fra i giornalisti. Da questo punto di vista è essenziale preservare il giornale come opera collettiva, fatto di relazioni e di confronto. Dobbiamo confrontarci con le novità già in atto per governare la trasformazione e cogliere le occasioni che arrivano dallo sviluppo tecnologico per ridare autorevolezza e qualità all'informazione», ha concluso.
Introdotti da Vittorio Roidi, che ha anticipato la volontà della Fondazione Murialdi di promuovere ulteriori incontri di approfondimento sul tema, hanno partecipato ai lavori, fra gli altri, il professor Mario Morcellini e il professor Marino Bonaiuto, dell'Università La Sapienza di Roma; il professor Massimo Pallini dell'Università degli Studi di Milano; il presidente di Casagit, Daniele Cerrato e la presidente dell'Inpgi, Marina Macelloni; la presidente della Cpo Fnsi, Mimma Caligaris. Il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, ha inviato un contributo video.
«Dovremo costruire collettivamente risposte alla crisi del Covid e alla crisi del giornalismo e collettivamente definire le priorità per la rinascita dell'informazione», ha ammonito il commissario uscente dell'Agcom, Morcellini, che ha anche esortato il mondo dell'università a reagire alla rivoluzione tecnologica in atto, per formare e tutelare i soggetti più colpiti dalla crisi conseguente all'emergenza sanitaria.
Dell'aspetto normativo ha discusso il professor Pallini, secondo il quale «lo smart working è solo la punta evidente di una rivoluzione iniziata da oltre 10 anni e che riguarda tutti i rapporti di lavoro» e pertanto non bisogna affrontare la nuova situazione come «un problema di retroguardia», pensando non solo a normare il lavoro agile, ma occorre «progettare un modello nuovo di lavoro e di società».
Al professor Marino Bonaiuto il compito di approcciare il tema del punto di vista psicologico e delle ripercussioni del lavoro agile sulla costruzione dell'identità, professionale e non solo. «Evidenze empiriche – ha rilevato – dimostrano che si può creare un ottimo prodotto anche senza essere seduti intorno a un tavolo. Ma è necessario valutare con attenzione l'effetto che questa rivoluzione produttiva può avere sugli aspetti affettivi e psicologici, il rischio di discriminare i lavoratori, le possibili ripercussioni, in particolare, sui lavoratori più giovani e con meno esperienza».
Il presidente di Casagit, Daniele Cerrato, ha posto l'accento sull'esigenza di preservare il giornale come opera dell'ingegno collettivo, rilevando che «oggi nelle redazioni è successo che si è esteso ai lavoratori contrattualizzati il modo di lavorare dei collaboratori autonomi, rendendo tutti più deboli. Mentre è necessario, anche per la tenuta degli istituti di welfare della categoria, che sui più deboli si intervenga cercando di sostenerli e non il contrario».
La presidente dell'Inpgi, Marina Macelloni ha messo in guardia rispetto all'impatto che potrebbe avere il processo della rivoluzione tecnologica sulle casse dell'istituto di previdenza se non venisse governato. «Impatto che in parte c'è già stato, con la progressiva trasformazione, negli ultimi anni, del lavoro da subordinato ad autonomo», fenomeno al quale «i vertici dell'Inpgi stanno cercando di rispondere con un allargamento della platea degli iscritti», ha ricordato.
Infine la presidente della Cpo Fnsi, Mimma Caligaris, ha anticipato i dati, ancora parziali, della ricerca promossa dalla Commissione pari opportunità del sindacato, dalla quale sta emergendo un sostanziale equilibrio fra gli aspetti positivi e quelli negativi del «Covid working – lo ha definito – perché di smart c'è stato ben poco in questi mesi». Anche se quasi tre intervistati su quattro si sono detti disponibili a proseguire con il lavoro da remoto anche dopo la fine dello stato di emergenza.
MULTIMEDIA
La registrazione integrale del seminario è disponibile sul sito web di Radio Radicale (qui il link diretto). Di seguito riportiamo l'intervento del direttore di Repubblica, Maurizio Molinari.
PER APPROFONDIRE
In allegato i contributi raccolti dalla Fondazione Murialdi in preparazione del seminario 'Il giornalista nell'età dello smart working'.