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Vertenze 17 Apr 2007

Sette giorni di sciopero a "la Repubblica". Il Cdr: "Pronti al dialogo, ma l'azienda provoca" Assemblea con la Giunta esecutiva della Fnsi Manifestazione davanti alla sede del giornale

Sciopero immediato a Repubblica: la redazione proclama 7 giorni di astensione dal lavoro a partire da lunedì sera per protesta contro l'editore

Sciopero immediato a Repubblica: la redazione proclama 7 giorni di astensione dal lavoro a partire da lunedì sera per protesta contro l'editore

La decisione, come rende noto il cdr del quotidiano, e' arrivata al termine di una infuocata assemblea. I motivi che hanno portato alla grave rottura sono 'il rifiuto da parte dell'azienda di avviare qualsiasi trattativa sindacale e il blocco delle sostituzioni per malattia', spiega il comitato di redazione. (ANSA) Il Comitato di Redazione di Repubblica ha deciso sette giorni di sciopero dei giornalisti a partire da lunedì 16 aprile fino a domenica 22. Il sito di "Repubblica.it" riprenderà dunque le pubblicazioni lunedì 23, il quotidiano tornerà in edicola da martedì 24. Il Cdr comunica che alla base della protesta c'è la decisione dell'azienda di non procedere a sostituzioni di giornalisti assenti per malattia lunga, in quanto non previste dal contratto. Il Cdr inoltre contesta la decisione dell'azienda di respingere qualsiasi proposta di confronto sull'organizzazione del lavoro, come pure qualsiasi ipotesi di accordo aziendale. Inoltre, c'è sempre in piedi la vertenza per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei giornalisti, scaduto da oltre due anni. Il Cdr di Repubblica con questa protesta intende sollecitare il coinvolgimento del mondo della politica, sinora apparso sostanzialmente assente - dice il sindacato - sui temi contrattuali della categoria. ''Odioso e provocatorio'': cosi' le rappresentanze sindacali di Repubblica definiscono il comportamento dell'azienda che ha sospeso a tempo indeterminato le sostituzioni per malattia. Un atto ritenuto particolarmente grave che ha portato alla rottura avvenuta ieri nel corso di una lunga assemblea al termine della quale sono stati proclamati sette giorni di sciopero. Ed un documento sindacale sara' letto al congresso diessino di Firenze, secondo una richiesta in tal senso avanzata al sindaco di Roma Walter Veltroni. Oggi, nella sede del giornale, conferenza stampa con il segretario della Fnsi Paolo Serventi Longhi e Silvia Garambois per chiedere ''un intervento deciso del governo ma anche per ribadire la disponibilita' del sindacato a trattare in modo corretto, affrontando tutti i temi sul tappeto a cominciare dalla multimedialita'''. La redazione e' compatta, sottolinea il Cdr che denuncia ''l'unilateralita' dell'editore che ormai considera i giornalisti soltanto un costo, rifiutando ogni forma di concertazione, nonostante i primati di vendita''. ''Chi si vanta di essere liberal - dicono le rappresentanze sindacali - e di avere la tessera numero 1 del Partito Democratico deve poi mostrare di essere coerente''. ''Basta con questi luoghi comuni - proseguono - che fanno dei giornalisti una casta di privilegiati''. ''Il corpo redazionale di Repubblica - sottolinea il Cdr - ha stipendi del 20-30% inferiori a quelli degli altri grandi gruppi editoriali e gli assunti degli ultimi dieci anni sono stati sottoposti a un regime di grave e profonda disparita'''. Anche il lavoro straordinario non viene pagato in forma adeguata, aggiungono. Eppure, ribadisce il comitato di redazione, ''il nostro atteggiamento e' all'insegna della disponibilita' e del pragmatismo al quale al momento corrisponde un atteggiamento di chiusura totale, di un muro contro muro davvero inaccettabile''. ''Il governo - chiede il Cdr - faccia la sua parte. E' finito il tempo della prudenza''. Insomma, la vertenza dei giornalisti di Repubblica si intreccia a quella nazionale, come e' inevitabile. Ieri lo strappo consumatosi in una situazione gia' molto complessa per la redazione che ha vissuto in maniera drammatica la vicenda del sequestro di Daniele Mastrogiacomo e l'uccisione dell'autista Syed Agha e del giovane interprete Adjmal. Eventi traumatici che hanno visto una grande unita' tra la direzione giornalistica e il corpo redazionale. I giornalisti si sono prontamente mobilitati, raccogliendo la cospicua somma di centomila dollari ma fra loro - rileva il CDR - c'e' grande amarezza per l'atteggiamento dell'editore che non ha ritenuto di dover partecipare alle sottoscrizioni". Una manifestazione spontanea di circa duecento giornalisti di Repubblica si e' svolta davanti la sede dell'azienda editoriale in via Cristoforo Colombo, al termine della conferenza stampa, tenutasi nella sede del quotidiano e alla quale ha partecipato l'intera giunta della Federazione Nazionale della Stampa che ha portato il proprio sostegno e la propria solidarieta'. Il corteo di giornalisti, con applausi ironici, ha incitato i vertici aziendali a uscire dagli uffici per parlare con il corpo redazionale. In apertura dell'incontro, presente la redazione e anche giornalisti dell'Espresso (che fa parte dello stesso gruppo editoriale), sono state ribadite le accuse all'azienda che, secondo il Cdr, mina la correttezza delle relazioni sindacali e lo stesso status del giornalista. A testimonianza del clima della riunione, durante l'incontro e' stato applaudito a lungo l'intervento di uno dei veterani di Repubblica, Mauro Piccoli, che ha rivolto tre domande a Carlo De Benedetti e a Marco Benedetto: ''Questo giornale, negli ultimi due anni, e' tornato in testa alle classifiche di vendita, superando il Corriere della Sera e vanta un bilancio ampiamente in attivo...Tutto cio' e' stato raggiunto da questa direzione e da questa redazione. E allora mi chiedo se sia giusto tenere cosi' a stecchetto la redazione. O forse dobbiamo ritenere vero quello che si sussurra nei corridoi e cioe' che c'e' un contrasto nella famiglia De Benedetti dove c'e' chi il giornale lo vuole vendere? E anche sulla sottoscrizione, l'azienda non ha messo una lira. A precisa richiesta ha detto no, ufficialmente per tutelare i giornalisti da possibili ritorsioni. Mi chiedo - ha aggiunto il giornalista - se dietro non ci sia dell'altro come la sconfessione della linea tenuta da Ezio Mauro nella vicenda Mastrogiacomo. Forse l'azienda vuole abbreviargli la proroga del mandato di cinque anni?''. Infine la terza domanda: ''quando a dicembre facemmo due giorni di sciopero contro i tagli alle tredicesime, vincemmo poi la battaglia e in quell'occasione, si vocifero' di una minaccia di dimissioni da parte dell'amministratore delegato. E, chiedo, se viene sconfessato ancora una volta, non riterra' opportuno doversi dimettere?''. (ANSA) "Sulla dignità del lavoro e il diritto alla contrattazione non cederemo mai. L'azienda lo deve sapere. Se rifiuta la concertazione, questa è la nostra risposta". Nettissimo il Cdr de "La Repubblica", unitissima la redazione, al secondo giorno di sciopero dei sette consecutivi proclamati. Giusto in tempo per lasciar svolgere i congressi dei Democratici di Sinistra e della Margherita senza la presenza dei giornalisti di quello che, parola dei redattori, "non lo dice nessuno, ma è tornato ad essere il primo giornale italiano". Nel corso di una conferenza stampa, presenti il vertice della Fnsi, con il segretario Paolo Serventi Longhi e il presidente Franco Siddi, e quello dell'Associazione Stampa Romana con il segretario Silvia Garambois, il Cdr della testata spiega nel dettaglio le motivazioni di uno sciopero durissimo e senza precedenti, preciso segnale di "relazioni industriali decisamente compromesse". L'azienda, infatti, è la parola del Comitato di redazione, "rifiuta di sostituire i colleghi malati, anche per le malattie più lunghe e gravi, ricusa qualunque confronto, qualsiasi concertazione che riguardi l'organizzazione del lavoro, dice di no ad un contratto minimo di ingresso". I redattori affermano di "non accettare l'unilateralità della decisione dell'editore" e rigettano quella che definiscono "una evidente strategia aziendale che va avanti da troppi anni contro diritti fondamentali di una categoria di professionisti che vogliono essere trattati con rispetto e non come se fossero solo un costo". E qui il Cdr snocciola le cifre: "in una redazione di 480 persone, oltre la metà guadagna meno di 2.000 euro al mese, lavora molte ore quotidiane in più rispetto a quelle previste dal contratto e ha l'obbligo del lavoro domenicale". A fronte di questo, l'azienda può contare su "profitti consistenti tanto che i manager hanno incrementato il loro stipendio del 20-30% nell'ultimo anno". Obiettivo delle critiche l'editore: "si professa liberal, dovrebbe avere la tessera numero uno del Partito Democratico, ma sembra dimenticare che la concertazione è nello statuto del futuro Partito Democratico. Nel nostro giornale - tuona il Cdr - non c'è affatto un tasso di malattie elevato, c'è piuttosto un super lavoro non pagato". Sull'editore cala anche la scure della censura per aver rifiutato di sottoscrivere la raccolta di fondi promossa da Ezio Mauro e dall'intera redazione a beneficio delle famiglie dei due collaboratori di Daniele Mastrogiacomo, uccisi in Afghanistan. Durissime le parole dei redattori: "è solo cautela e spilorceria o c'è dietro la sconfessione della linea tenuta da Mauro durante il rapimento e forse nascostamente si vuole un cambio al vertice, un direttore 'tagliateste'?". Molto pesante anche la chiosa di Paolo Serventi Longhi: "è molto grave che l'azienda abbia scelto di non sostenere le vedove e gli orfani di chi ha aiutato Mastrogiacomo". Un fuoco di fila di domande parte dall'assemblea e bersaglia De Benedetti: è vero che c'è un contrasto in famiglia fra chi vuole vendere l'azienda editoriale e chi no? È intelligente mortificare la redazione lasciandola da anni senza tavolo di concertazione quando tutti sanno che "La Repubblica" tiene in attivo i bilanci del gruppo? E parte un applauso scrosciante quando qualcuno accenna all'opportunità di dimissioni dell'amministratore delegato Marco Benedetto, "il falco". Sette giorni di sciopero consecutivi, è la prima volta per la testata, ma "sono per rivendicare diritti fondamentali e data la situazione sembrano perfino pochi", sostengono in parecchi. La 'assemblea-conferenza' finisce con un'azione dimostrativa sotto la sede dell'amministratore delegato del Gruppo Repubblica-Espresso in Via Cristoforo Colombo e con una promessa: "valuteremo il da farsi nei prossimi giorni, ma continueremo la battaglia e una cosa è certa: non faremo la fine dei minatori durante il governo della Thatcher". (AGI)

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