Da un articolo di Roberto Seghetti, sull'Unità dell'11 maggio
Caro Direttore, all'indomani dei congressi della Margherita e dei Ds, ma anche del Pdci, vorrei fare alcune brevi riflessioni e infine una proposta. Tema: l'informazione. 1. Nei paesi industrializzati l'informazione ha assunto nel secolo scorso la stessa funzione che il sangue assolve nei confronti del corpo o che la moneta assolve nei confronti dell'economia: garantisce che tutti gli organi funzionino correttamente e che abbiano anche il carburante per farlo. La rivoluzione informatica, delle comunicazioni e dei trasporti hanno accentuato in modo esponenziale l'importanza di questa funzione. L'informazione pulita è diventata in questi anni, e lo sarà sempre di più, una pre-condizione della democrazia in una società tecnologicamente ed economicamente avanzata. 2. L'accentramento del potere di informare o la possibilità che l'informazione sia inquinata rappresentano un fatto potenzialmente distorsivo destinato ad avvantaggiare i pochi che hanno fonti proprie di conoscenza o la capacità di influenzare i media e a svantaggiare, invece, i molti che devono usare le notizie disponibili per compiere le proprie scelte. Si potrebbe dire che, se fa difetto la fondatezza e la completezza delle notizie messe in circolo dai media, alla lunga si rischia di scivolare dalla democrazia elettronica a un sostanziale feudalesimo dell'informazione. 3. Da questo punto di vista l'Italia è uno straordinario laboratorio. L'azionariato dei principali quotidiani è controllato quasi esclusivamente da banche, assicurazioni, industrie, imprenditori con interessi diversi. La raccolta pubblicitaria (cioè la vena d'oro nascosta nell'industria delle notizie) è concentrata in poche mani. Il mercato televisivo è spartito tra il gruppo Mediaset, controllato dalla famiglia Berlusconi, una Rai stretta nella morsa della politica, il gruppo multinazionale Sky di Rupert Murdoch e il gruppo Telecom (La 7), appena finito nelle stesse mani di banche, assicurazioni e industrie che controllano un pezzo decisivo del mercato della carta stampata. Il mix tra informazione e intrattenimento tocca punte preoccupanti. I confini tra informazione e pubblicità diventano meno netti. Accanto a questi fenomeni ve ne sono anche altri, di segno opposto, ma di peso insufficiente, come il proliferare di iniziative, l'impegno volontario, il diffondersi del desiderio di comunicare liberamente favorito anche dalle nuove tecnologie. 4. Il progresso tecnologico proseguirà per anni e influirà in modo determinante sulla struttura delle imprese dell'informazione, cambiandone il volto, il mercato, il business, il modo di lavorare, con inevitabili, ulteriori riflessi sulla società. Da qui, una domanda e una proposta. Possibile che in tanto pensare al futuro, alla nuova società, alle forme del mercato e dell'economia, sia stata dedicata nei dibattiti congressuali così poca attenzione a un tema tanto basilare? Nel centrosinistra non mancano proposte, riflessioni, ipotesi. Nello stesso programma dell'Unione l'informazione era un tema di fondo. Oggi, invece, sulla ricerca e sulla riflessione sembrano prevalere o la realpolitik del che cosa è possibile fare subito, nelle condizioni materiali date, che pure è un fatto importante ma non esaustivo dei problemi, o la lamentela corporativa dei diversi operatori coinvolti nel cambiamento epocale delle forme della comunicazione. Al contrario, sarebbe importante parlare, misurarsi, riflettere, condividere le informazioni per fame patrimonio comune, cultura politica diffusa, al di là degli interessi del momento o delle posizioni soggettive. Per questo credo che in vista della costituzione del Partito democratico, ma anche del dibattito avviato dalle altre formazioni politiche - penso alla sinistra ma anche, perché no?, ai centrodestra - sarebbe opportuno che gli operatori e i diversi esperti della comunicazione si riuniscano, discutano, facciano proposte, aprendosi al confronto con gli utenti dell'informazione, cioè i cittadini. Per dare un contributo, riaprire il dibattito e superare l'afasia. Perché se non si parla si arriva a un solo risultato: prevalgono gli interessi costituiti.