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Radio Popolare, altri tre giorni di sciopero dei 'corrispondenti'
Vertenze 08 Mar 2020

Radio Popolare, altri tre giorni di sciopero dei 'corrispondenti'

Dopo la prima giornata di astensione dal lavoro, il 4 marzo, i collaboratori esterni dall'Italia e dall'estero tornano a incrociare le braccia. Chiedono il riconoscimento del proprio ruolo e l'adeguamento dei compensi, decurtati negli ultimi anni fino a toccare in alcuni casi i 10 euro lordi a pezzo.

Tre giorni di sciopero, dalla mezzanotte di venerdì 6 marzo, fino alla mezzanotte di lunedì 9 marzo. Si fa ancora più dura la presa di posizione dei "corrispondenti", collaboratori esterni dall'Italia e dall'estero, di Radio Popolare impegnati in un confronto con l'amministrazione della radio, a cui chiedono di aprire un tavolo con il sindacato per il riconoscimento del loro ruolo e per tornare a compensi dignitosi. Negli ultimi 5 anni – lamentano – la radio ha tagliato il valore economico della loro prestazione tanto che in alcuni casi, oggi, si toccano i 10 euro lordi a pezzo.

Lo sciopero di tre giorni fa seguito a quello di 24 ore che si è svolto mercoledì 4 marzo. Un'azione di protesta senza precedenti (è il primo sciopero per rivendicazioni in tema di lavoro nella storia della radio), ma che non ha mosso di un millimetro la posizione rigida assunta da chi gestisce la società. L'amministrazione della radio ha confermato l'indisponibilità ad incontrare in tempi brevi il sindacato dei giornalisti nonostante da ormai dieci giorni l'Associazione Lombarda dei Giornalisti abbia avanzato una richiesta urgente di confronto proprio per cercare di scongiurare la protesta ora in atto.

«La situazione creata dall'atteggiamento di chi gestisce la radio – osserva il sindacato regionale in una nota – raggiunge il limite della provocazione: il Comitato di redazione, infatti, rende noto che l'amministratrice delegata "ha scritto direttamente ai corrispondenti scavalcando il Cdr e mettendo in dubbio la legittimità della rappresentanza sindacale, ribadendo di voler aprire un confronto solo con un nuovo Cdr". Un atteggiamento incomprensibile e inaccettabile, più vicino ad antiche logiche da "padrùn" lombardo che a posizioni da illuminati compagni di impresa e di lavoro. Vale la pena ricordare che, in un mondo democratico, il sindacato con cui parlare non lo si sceglie: semplicemente, lo si incontra. Soprattutto quando l'incontro è chiesto proprio – e con urgenza – dal sindacato stesso».

PER APPROFONDIRE
Ecco di seguito il comunicato del Comitato di redazione di Radio Popolare.

I collaboratori esterni di Radio Popolare, corrispondenti dall'Italia e dall'estero tornano a scioperare, questa volta per tre giornate consecutive, nell'ambito del pacchetto di 7 giorni di astensione affidati al Comitato di Redazione. Chiedono il riconoscimento del proprio ruolo e l'adeguamento dei compensi, decurtati durante i 5 anni di crisi e mai ripristinati, compensi che in alcuni casi toccano i 10 euro lordi a pezzo. Fino alla mezzanotte di lunedì 9 marzo, quindi, i notiziari andranno in onda senza le voci dei corrispondenti.
Dopo la prima giornata di sciopero del 4 marzo, infatti, non è ancora arrivata la convocazione per un incontro urgente chiesto all’amministrazione di Radio Popolare dal Cdr e dal sindacato dei giornalisti. Come se non bastasse, l'amministratrice delegata ha scritto direttamente ai corrispondenti scavalcando il Cdr e mettendo in dubbio la legittimità della rappresentanza sindacale, ribadendo di voler aprire un confronto solo con un nuovo Cdr. E questo è inaccettabile.
Rimane la piena disponibilità del Cdr e dell'Associazione Lombarda dei Giornalisti per un incontro che, come ribadito più volte, non può contemplare i tempi lunghi di una convocazione per aprile, come proposto dall'amministratrice delegata.

Aggiornamento domenica 8 marzo 2020.
I corrispondenti di Radio Popolare sospendo il loro sciopero di 3 giorni proclamato sabato a sostegno della vertenza per un equo compenso che la radio ormai da 5 anni non riconosce più al loro lavoro (10 euro lordi a pezzo). La scelta è attuata dai collaboratori dall’Italia e dall’estero per senso di responsabilità, in seguito all’aggravarsi dell’emergenza coronavirus.

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