"Parlare con i giornalisti non è reato, è democrazia". A ribadirlo, riuniti davanti all'ingresso del tribunale, a Roma, croniste e cronisti che ogni giorno devono fare i conti con le conseguenze della riforma Cartabia sulla presunzione di non colpevolezza. Martedì 8 novembre 2022, a un anno esatto dalla pubblicazione del decreto sul "compiuto adeguamento" della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva Ue sul "rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza", al fianco delle colleghe e dei colleghi che protestano per come quelle norme vengono applicate ci sono anche la Fnsi, l'Ordine dei giornalisti, nazionale e del Lazio, l'Usigrai, Stampa Romana, l'Ungp, la rete NoBavaglio, Articolo21, Giulia Giornaliste e altre associazioni.
Nel recepire la direttiva europea, «l'Italia ha partorito una norma che rende difficile se non impossibile verificare le notizie», esordisce Alessia Marani, presidente del Fondo di previdenza complementare dei giornalisti italiani e cronista del Messaggero di Roma, fra i promotori del presidio. «Abbiamo il diritto e il dovere – incalza – di raccontare ai cittadini cosa accade, ma in queste condizioni non è più possibile. Una cosa è non colpevolizzare una persona, altro è silenziare le notizie».
Dalla piazza parte quindi l'appello, da un lato a «tutti i colleghi e le colleghe che si occupano di nera e giudiziaria ad unirsi alla protesa», dall'altro «al nuovo ministro della Giustizia affinché – dice Paola Spadari, segretaria del Cnog – questa norma possa essere modificata così da garantire ai giornalisti l'accesso alle fonti e ai cittadini di poter essere informati».
Il presidente dell'Ordine del Lazio, Guido D'Ubaldo, nota come «sui grandi temi che interessano la professione siamo tutti dalla stessa parte, quella del rispetto dell'articolo 21 della Costituzione» e ricorda che «ho già scritto al capo della procura per chiedere un incontro su questo tema, senza aver ricevuto risposta. Ma faremo di tutto – conclude – per portare avanti le rivendicazioni dei colleghi».
Di una «errata applicazione» di un provvedimento «usato in maniera strumentale per impedire ai giornalisti e quindi ai cittadini di conoscere determinati fatti» parla il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso. «Non è una questione di presunzione di innocenza, principio che è già in Costituzione. La questione – aggiunge – è che si è utilizzata una direttiva europea per provare a regolare i conti con la stampa. Non si può colpire il diritto dei cittadini a essere informati per garantire la presunzione di innocenza, mettendo in contrasto l'articolo 21 con l'articolo 27 della Costituzione».
Per questo, prosegue Lorusso, «abbiamo già chiesto e torniamo a chiedere alla Commissione Ue di accendere un faro sul caso italiano e abbiamo chiesto e torniamo a chiedere al Parlamento italiano di intervenire con pesanti modifiche a questo provvedimento, perché con l'applicazione distorta di questa direttiva si sta impedendo ai cittadini di conoscere fatti che riguardano la sicurezza delle loro città e questo non è degno di un Paese civile. L'auspicio – conclude – è che aderiscano alla mobilitazione anche i direttori delle testate, che si schierino anche loro al fianco dei cronisti».
Anche per Marino Bisso, della rete NoBavaglio, si tratta di «una battaglia per i giornalisti, ma soprattutto per i cittadini. Nessun procuratore e nessun questore – osserva – può decidere cosa va sul giornale e cosa no. Questo è il nostro lavoro». E Stefano Ferrante, dell'Associazione Stampa Romana, evidenzia: «Si colpisce l'informazione, a discapito dell'opinione pubblica, e intanto le querele bavaglio sono sempre là a minacciare i colleghi. Così sarà difficile dare notizia delle inchieste importanti, quelle che riguardano i "colletti bianchi" e si indebolisce l'informazione. Ma informazione debole vuol dire democrazia debole».
Per Maurizio Di Schino è necessario «ristabilire il rapporto di fiducia tra procure e cronisti»; per Elisa Marincola, di Articolo21, «l'impressione è che questa norma serva a tutelare i potenti. Contro questa chiusura del tutto arbitraria – ammonisce – serve un importante lavoro di sensibilizzazione, per far capire che questo passaggio della riforma va a discapito dei cittadini».
E il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, ribadisce: «È grave il testo, di questa norma, ma è ancor più grave il contesto. L'Italia è al 58° posto nelle graduatorie sulla libertà di informazione a causa delle querele bavaglio, della precarietà del lavoro giornalistico, poi si aggiunge questa norma ed ecco che si delinea l'attacco al diritto-dovere di cronaca e al diritto dei cittadini ad essere informati. Si tratta di un decreto giustizialista e non garantista, che va contro il principio sancito dalle sentenze della Corte europea dei diritti umani secondo cui tutto ciò che è di interesse pubblico va pubblicato».
MULTIMEDIA
La registrazione del presidio è online sul sito web di Radio Radicale.