La Siria, il Bahrain e lo Yemen hanno registrato quest'anno la peggiore performance nella loro storia in merito alla libertà di stampa. Lo rivela il rapporto stilato da Reporters sans frontieres (Rsf) per il 2011, un anno tumultuoso per la regione, dove si sono visti regimi storici deposti da rivolte popolare. Eritrea, Cortea del Nord e Turkmenistan sono in fondo alla lista redatta dal gruppo per la tutela della libertà di stampa che vede alcuni Paesi europei, ovvero Finlandia, Norvegia ed Estonia, come i più virtuosi.
''Il controllo delle notizie e dell'informazione continua a essere una tentazione per i governi ed è una questione di sopravvivenza per i regimi totalitari e repressivi'', scrive il gruppo che ha sede a Parigi. Immediatamente prima di Eritrea, Corea del Nord e Turkmenistan, ''dittature assolute che non permettono libertà civili'', ci sono ''Siria, Iran e Cina, che sembrano aver perso il contatto con la realtà, avendo avviato un'insana spirale di terrore'', recita il rapporto.
Il Bahrain e il Vietnam, entrambi descritti come ''regimi oppressivi'', sono anchein fondo alla lista. La Tunisia ha invece guadagnato 30 posizioni rispetto allo scorso anno, ma "non ha ancora accettato pienamente una stampa libera e indipendente'', riferisce Reporters sans frontieres. Il Bahrain, che ora è al 173esimo posto, ha perso 29 posizioni per la ''repressione spietata dei movimenti pro democrazia, i processi ai difensori dei diritti umani e la soppressione di tutti gli spazi della libertà'', dice il gruppo francese.
L'Egitto ha perso 39 postazioni posizionandosi 166esimo ''in quanto il Consiglio supremo delle Forze Armate, al potere da febbraio, ha deluso le aspettative dei democratici continuando le pratiche della dittatura di (Hosni, ndr) Mubarak'', l'ex presidente dimessosi l'11 febbraio scorso. ''La censura totale, la sorveglianza diffusa, la violenza indiscriminata e la manipolazione del governo rende impossibile il lavoro dei giornalisti'' in Siria, crollata al 176esimo posto in seguito alla crisi in corso da metà marzo.
Ha perso 10 postazioni anche la Turchia, ora 148esima, per non aver rispettato le promesse di riforme e per aver ordinato una serie di arresti di giornalisti senza precedenti dalla fine della dittatura militare, scrive Rsf. Una nota positiva, invece, per il Sud Sudan, che ha dichiarato l'indipendenza dal Nord il 9 luglio scorso. Separandosi da Khartoum, che è 170esimo, Juba ha guadagnato posizioni, classificandosi al 111esimo posto nella classifica per la libertà di stampa. (ROMA, 25 GENNAIO - ADNKRONOS/AKI)
LIBERTÀ DI STAMPA: ITALIA AL 61ESIMO POSTO
FNSI: "PESA ANCORA IL CONFLITTO D'INTERESSI"
Sessantunesimo posto al mondo per libertà di stampa. Dopo gli anni bui del conflitto d'interessi, l'oscurità continua a non diradarsi e lavorare al servizio dell'informazione libera in Italia rimane una chimera. Il rapporto annuale stilato da "Reporter senza frontiere" dice che il nostro Paese abbandona il 49esimo posto raggiunto nel 2010 e precipita quest'anno di dodici posizioni alle spalle della Guyana, poco prima di Repubblica Centrafricana, del Lesotho, della Sierra Leone, del Tonga e del Mozambico.
Giornalisti sotto minaccia - Tra le motivazioni che il "Press freedom index 2011-2012" indica a fondamento del poco lusinghiero giudizio, c'è il fatto che "una dozzina di giornalisti si trovano sotto protezione della polizia". E tra questi ricodiamo Roberto Saviano, ma anche il 29enne Giovanni Tizian, collaboratore della Gazzetta di Modena, messo sotto tutela dopo le minacce ricevute per i suoi articoli sulle infiltrazioni mafiose nel Nord Italia. Ma non è tutto qui. Perché se il nostro Paese "ha voltato pagina dopo diversi anni di conflitto d'interesse con le dimissioni di Silvio Berlusconi", scrive ancora l'organizzazione no profit nel suo rapporto, "il posizionamento reca ancora il suo marchio, in particolar modo tramite un tentativo di introdurre una legge bavaglio e uno di introdurre filtri a Internet senza consultare la giustizia, entrambi bocciati però per un soffio". Appare come un giudizio di merito non tanto su quanto si è cercato di fare nel recente passato ma - si legge tra le righe - su quanto potrebbe ancora accadere in futuro. Perché i presupposti ci sono ancora tutti.
Siddi: la criminalità è un problema prima di tutto sociale - Se per Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale della stampa, "il giudizio deve essere sereno evitando di cadere nella propaganda negativa per l'Italia", è vero che la visione degli analisti internazionali è ancora minata da "tanti anni di oggettiva invadenza, soprattutto politica, a causa del più grande conflitto di interessi che si sia mai visto nel mondo occidentale". Ed è per questo vengono puniti i tentativi andati a male di imbavagliare la stampa con la legge sulle intercettazioni e il web. Oltre questo c'è però un dato pesante: i 12 giornalisti sotto scorta sono una realtà. "I reporter minacciati sono un criterio di indagine per Reporter senza frontiere - sostiene Siddi - ma non esprimono un problema meramente dell'informazione, piuttosto è un problema sociale che interferisce più ancora sullo stato di legalità del Paese".
Criminalità e precarietà - Pacifico il riverbero sull'attività dei giornalisti costretti ad agire sotto minaccia e spesso senza garanzie contrattuali. Come nel caso già citato di Tizian, che da precario cercava la verità, come abbiamo visto, rischiando la vita. "Quanto più un giornalista è debole nella sua organizzazione e nella disciplina del lavoro dal punto di vista contrattuale tanto più diventa vulnerabile o individuabile come obiettivo sul quale esercitare pressioni o atti inconsulti. E' un caso paradigmatico - dice -: il giornalista precario è debole tante volte".
Concentrazioni - Tastare il polso dell'informazione in Italia è però ben più complesso. Al di là delle valutazioni che soggiacciono alle classifiche internazionali, sulla libertà sancita dall'articolo 21 della Costituzione, pesa la concentrazione degli organi stampa in poche mani. Ma questo "è piuttosto frutto della globalizzazione e accade anche in Francia e in Inghilterra con concentrazione di diversi organi in un'unica proprietà e concentrazione della raccolta pubblicitaria", spiega ancora il giornalista. Di pari passo va la commistione tra attività editoriali e interessi economici di altra natura. "Questo limite alla libertà d'informazione c'è sempre stato, gli editori puri si contano sulle dita di una mano", nonostante l'Italia abbia più di 200 testate quotidiane registrate.
Finanziamento pubblico - Ma allora, in un mercato sempre più globalizzato dove i grandi gruppi editoriali cannibalizzano i piccoli organi di stampa che senso ha il finanziamento pubblico all'editoria? E in un'Italia da sessantunesimo posto significa garanzia di pluralismo o un'ulteriore tegola sulla libertà di informazione? "Se il finanziamento viene concesso seguendo criteri chiari e misure imparziali e sulla base di una programmazione pluriennale, aiuta le testate non commerciali ma di idee, come i giornali politici o di orientamento culturale, ad esistere e raggiungere il pubblico", dice il segretario. Tutto questo però a patto che si tratti di "un intervento di garanzia". E sotto questo aspetto, per Siddi "condiziona di più la pubblicità istituzionale che il finanziamento pubblico diretto ai giornali finanziati ". (da Tiscali: Interviste - di Antonella Loi del 25 gennaio 2012)