I giornalisti che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia, dal punto di vista dell'età e dei contributi, non possono pretendere di rimanere al loro posto fino a settanta anni se il datore di lavoro non è d'accordo nel far proseguire il rapporto.
Lo ha stabilito la Cassazione accogliendo il ricorso della Rai contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di Milano nel 2014, confermando il verdetto emesso dal Tribunale milanese nel 2012, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento di una giornalista messa forzatamente a riposo al compimento dei 65 anni di età, quando aveva maturato i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione di vecchiaia previsti dall'Inpgi.
I giudici di merito avevano reintegrato la lavoratrice, che voleva rimanere in servizio fino a 70 anni, applicando l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La Suprema Corte – con la sentenza 6776 depositata oggi – ha invece ritenuto fondato il punto di vista dei legali della tv pubblica.
La tesi sostenuta dalla Rai, e accolta dalla Corte, è che le norme sul contenimento della spesa previdenziale introdotte con il provvedimento “Salva Italia” dal governo Monti nel dicembre 2011 non concedono al lavoratore «un diritto potestativo di opzione per restare in servizio fino al compimento del 70° anno di età» ma «si limitano ad incentivare l'accordo con il datore di lavoro per la prosecuzione del rapporto, senza però consentire che esso proceda in difetto del consenso del datore di lavoro».
Solo in presenza di tale accordo, prosegue la Cassazione, «scatta il terzo periodo del comma 4, per il quale l'efficacia dell'art. 18 legge n.300 del 1970 opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità».
La decisione degli “ermellini” ha preso come riferimento quanto stabilito dalla sentenza 17589 del 2015, emessa dalle Sezioni Unite, nella quale è affermato che la legge «non attribuisce al lavoratore il diritto potestativo di proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del settantesimo anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo, ma si limita a prefigurare condizioni previdenziali di incentivo alla prosecuzione dello stesso rapporto per un lasso di tempo che può estendersi fino ai settanta anni di età». (Ansa – Roma, 15 marzo 2017)