La prima corte d'assise d'appello di Roma ha confermato la condanna a 24 anni di reclusione inflitta in primo grado il 29 novembre dello scorso anno agli afghani Mamur e Zar Jan per l'omicidio della giornalista del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli. I due imputati erano collegati in videoconferenza dal carcere di Kabul. A sollecitare la conferma della sentenza era stato il sostituto procuratore generale Francesco Mollace.
Maria Grazia Cutuli venne uccisa in un agguato il 19 novembre del 2001 assieme ad altri tre reporter (l'inviato spagnolo del Mundo Julio Fuentes, il fotografo afghano Azizullah Haidary e l'australiano Harry Burton della Reuters) nel distretto di Sarobi lungo la strada che da Jalalabad porta a Kabul. Per la Procura di Roma, quell'omicidio portato a termine a colpi di kalashnikov fu «realizzato da soggetti che facevano parte di una formazione paramilitare contraria alla presenza dei Paesi occidentali in Afghanistan e all'esperimento di un governo transitorio democratico, perché legati al regime dei talebani».
Mamur e Zar Jan, identificati rispettivamente come figlio di Golfeiz e di Habib Khan perché nel loro Paese non esiste l'anagrafe, rispondevano di concorso nell'omicidio per motivi politici della giornalista e di concorso in rapina, per essersi impossessati di una radio, di un computer e di una macchina fotografica che la Cutuli aveva con sé. Il presunto leader della banda, Reaza Khan, arrestato e processato a Kabul nel 2007, era stato successivamente giustiziato.
«La sentenza della corte d'assise d'appello di Roma dà valore al lavoro di ogni inviato di guerra. Siamo molto soddisfatti per una decisione che conferma in tutto la ricostruzione del processo di primo grado», è il commento dell'avvocato Paola Tuillier, difensore di parte civile per conto della famiglia Cutuli.
«La condanna dei due afghani è un riconoscimento dato al valore del diritto all'informazione che fanno i giornalisti anche in zone di guerra, in rappresentanza del proprio Paese, sapendo di rischiare la vita», ha aggiunto il legale che ha ringraziato, «per l'importante lavoro svolto la Digos, i Servizi segreti afghani, l'Ambasciata italiana a Kabul, la Procura di Roma e la Procura Generale». (Agi – Roma, 15 novembre 2018)