Erano centinaia i giornalisti, i cittadini, i rappresentanti di associazioni, movimenti e sindacati che hanno risposto all'appello del "Comitato per la libertà e il diritto all'informazione, alla cultura e allo spettacolo" e che giovedì sera 15 settembre si sono dati appuntamento per protestare contro l'ormai palese tentativo di cancellare il servizio pubblico Rai dal nostro Paese, davanti ai cancelli degli studi di via Teulada.
Dopo l'eliminazione della trasmissione con Saviano e Fazio, dopo l'annullamento di "Anno Zero", dopo l'uscita di scena del direttore di Rai 3 Paolo Ruffini (che a breve andrà a La 7), e dopo l'ultima decione del Cda di viale Mazzini di sbattere la porta in faccia alla trasmissione della Dandini "Parla con me", ecco che si profila un vero e proprio ridimensionamento di quella che era considerata la prima industria culturale d'Italia.
Non è solo un danno profondo all'informazione e all'autonomia di autori e giornalisti - è stato sottolineato nei vari interventi (sul nostro sito le interviste ad alcune delle personalità che hanno partecipato all'iniziativa) - è anche un danno economico. Infatti dove finiranno gli introiti delle sponsorizzazioni che queste trasmissioni erano riuscite negli anni ad ottenere? Si tratta di milioni e milioni di euro che la Rai non avrà più e che metteranno in ginocchio l'intera struttura di Viale Mazzini.
Il conflitto d'interessi, quel macigno che opprime l'economia e l'informazione nel nostro Paese, si manifesta così in tutta la sua drammaticità. "Un ridimensionamento del servizio pubblico, infatti, non può che avvantaggiare la concorrenza e cioé Mediaset proprietà del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi" è stato da tutti gli intervenuti sottolineato con forza.
"Vorrei sapere - ha concluso Roberto Natale, presidente della Fnsi - se possiamo ancora chiamare servizio pubblico la Rai. Dopo l'ultima, sciagurata, decisione sulla trasmisione della Dandini, presa dai cinque rappresentanti di maggioranza nel cda Rai contro la volontà dello stesso Direttore generale e del Presidente, siamo al disservizio pubblico. La battaglia non finisce qui, la mobilitazione dei giornalisti, dei cittadini e di tanti che hanno a cuore il servizio pubblico farà fallire questo insensato progetto".
Due giornate di sciopero da attuarsi nel segno dello slogan "Riprendiamoci la Rai" sono state affidate all'unanimità (con un'astensione) dall'assemblea dei CdR all'esecutivo Usigrai, con la richiesta di avviare subito le procedure per la prima, dopo le risposte inadeguate e inaccettabili date dall'azienda su un reale progetto di libertà e pluralismo, di rilancio dell'informazione, di riorganizzazione degli asset, di sviluppo tecnologico, nonché sulla mancanza di congruità dei palinsesti.
La necessaria strategia di cambiamento appare attuata con improvvisazione. Da ultimo, e a titolo esemplificativo, gli episodi che riguardano il tentativo di chiusura della terza edizione della Tgr e la proposta di una trasmissione, ritenuta dai giornalisti di scarsa valenza editoriale, che sembra avere il solo fine di destrutturare senza un nuovo disegno il canale all news. Dal Direttore generale Lorenza Lei sono finora mancate l'ultima parola e la capacità di porre un argine ad alcuni atti di arroganza.
La prima giornata di sciopero sarà aperta alle testate contro le quali maggiormente sta impattando il comportamento aziendale.
La seconda di sciopero sarà, invece, attuata successivamente, se possibile d'intesa con le organizzazioni sindacali dei dirigenti e dei lavoratori, dopo un tour per l' Italia che l' Usigrai effettuerà e una serie di incontri con le forze politiche, e avrà un obiettivo esterno all'azienda. Per una serie di motivi la Rai oggi appare un vascello in alto mare, immobile, in attesa di burrasca. Non c'è certezza di risorse, la natura giuridica è ormai quella di organismo di diritto pubblico. Con le regole di un municipio siamo costretti ad affrontare un mercato multipiattaforma fortemente concorrenziale. Un nuovo consiglio di amministrazione non potrà essere rieletto con le attuali regole che disciplinano la governance e che si traducono in un diretto controllo dei partiti.
Così il servizio pubblico è destinato ad andare a voraci privati, a diventare marginale o a scomparire, un' idea alla quale i giornalisti non si rassegneranno.
L' assemblea nazionale dei Cdr della Rai
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