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Fnsi 02 Giu 2004

Molti editori non applicano il part-time temporaneo previsto dalla legge e dal contratto. La Cpo-Fnsi consegna una lettera di una giornalista di Livorno a Ciampi: "Presidente ci dia una mano"

Molti editori non applicano il part-time temporaneo previsto dalla legge e dal contratto. La Cpo-Fnsi consegna una lettera di una giornalista di Livorno a Ciampi: "Presidente ci dia una mano"

Molti editori non applicano il part-time temporaneo previsto dalla legge e dal contratto. La Cpo-Fnsi consegna una lettera di una giornalista di Livorno a Ciampi: "Presidente ci dia una mano"

"Presidente Ciampi ci dia una mano": consegnata dall a Cpo/Fnsi una denuncia delle giornaliste italiane contro l'ostinazione di molti editori che non applicano il part-time temporaneo previsto dalla legge e dal contratto. "L'inserimento della donna nel mondo del lavoro e' possibile con la flessibilità degli orari": cosi', citando proprio una recente dichiarazione del presidente della Repubblica, inizia la combattiva e amara lettera che una giornalista di Livorno, Maria Cristina Bulgheri, rivolge al suo concittadino Carlo Azeglio Ciampi. Lettera consegnata ieri al Quirinale dalla Cpo/Fnsi (la Commissione pari opportunità del sindacato di tutti i giornalisti italiani) proprio in occasione della festa della Repubblica, per denunciare le difficoltà in cui versano molte giornaliste italiane alle quali viene negata l'applicazione del part-time temporaneo. La flessibilità oraria, prevista dalla legge e regolamentata dal contratto di categoria, viene rifiutata da molte aziende editoriali e da alcune in particolare, talora con fantasiose motivazioni ma assai più spesso con un semplice "no e se non ti va dimettiti". La Commissione della Fnsi da due anni ormai conduce una battaglia, agli inizi assai solitaria, contro arcaiche visioni "totalizzanti" dell'organizzazione del lavoro, che di fatto marginalizzano o addirittura allontano dalle redazioni professionisti di vaglia , donne per lo più ma anche uomini (pure a loro capita di dover finire una tesi di laurea, soccorrere un malato terminale, oppure, raramente, assistere i primi tempi di vita d'un figlio). Non si tratta di casi isolati, bensì di una crescente pattuglia di persone strattonate, in un periodo limitato della propria vita, fra diversi impegni di eguale dignità. Problemi che in tutta Europa vengono risolti con la flessibilità oraria, prevista "persino" dall'Italia, ma che in troppe redazioni si scontrano contro insormontabili muri di rigidità mentali. Da qui l'appello della giornalista del quotidiano "Il Tirreno" a Carlo Azeglio Ciampi, dalla comune "piccola patria" di Livorno, perché dia una autorevolissima mano a far applicare "un diritto, non un regalo" - come scrive la presidente della Cpo/Fnsi, Marina Cosi, nel documento di accompagnamento - "laddove serve ai lavoratori e ai piccoli cittadini loro figli". Roma, 2 giugno 2004 Questo è il testo integrale della lettera che la collega Maria Cristina Bulgheri ha inviato al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi "Maternità e lavoro devono essere resi sempre più compatibili ". L'inserimento della donna nel mondo del lavoro è possibile con la flessibilità degli orari ". Illustrissimo signor Presidente, cito queste due frasi estrapolate dal suo importante discorso letto in tv in occasione dell'8 marzo e mi dico: "Sante parole! Peccato che chi dovrebbe farle proprie e renderle concrete, ovvero chi sta al timone delle aziende, faccia orecchie da mercante". Un atteggiamento diffuso un po' ovunque, compreso quel settore dell'editoria che, all' indomani della Festa della donna, ha riportato a caratteri cubitali il Suo messaggio con titoli strillati tipo "Ciampi: più aiuto alle donne ". Ahimè, gli editori alle loro dipendenti donne, di aiuti ne offrono ben pochi, glielo assicuro. La mia esperienza personale, che non è diversa da quella di molte altre mie colleghe giornaliste, lo dimostra. Finché stai nei meccanismi della produzione va tutto più o meno bene, quando - perché metti su famiglia e diventi madre - ti azzardi a chiedere niente di più e di diverso di quello che la legge ti offre, non solo trovi di fronte mura invalicabili, ma anche dosi pesanti di cinismo. Frasi come "Se volevi orari diversi non dovevi scegliere di fare la giornalista ma la segretaria"; oppure "Con i soldi che guadagnate te e tuo marito, potete permettervi anche due o tre baby sitter"; o ancora "L'azienda non è un'assistente sociale che può farsi carico di tutti i problemi personali dei dipendenti" e "Se proprio non ce la fai, non ti resta che licenziarti" restano stampate nella testa e nel cuore. E fanno rabbia. Perché non è giusto costringere una donna, solo perché è diventata moglie e mamma, oltre che lavoratrice, ad un aut aut: o la famiglia o il lavoro. Imporle una scelta che è comunque una rinuncia, su un fronte o sull'altro, una penalizzazione e, non ultimo, una discriminazione. Gli editori e le direzioni dei giornali non sono immuni da logiche aziendaliste: si vantano di farsi portavoce dei problemi della gente, ma sono i primi a non rispettare e risolvere quelli "in casa propria". Guardano la pagliuzza negli occhi degli altri, ma non la trave nei loro. E, mi dispiace, doverglielo dire, anche Il Tirreno (gruppo Finegil Espresso), il giornale della sua città (che è anche la mia) non è da meno. Che fare? Andare avanti e stringere i denti, per poi arrivare a un punto di non ritorno perché non è possibile riuscire a tenere insieme tutto (famiglia, figli, lavoro, casa)? Oppure gettare la spugna? Nessuno dei due: la strada scelta è quella della "battaglia", del far valere i propri diritti, forti delle leggi che prevedono il "part time" e altre formule che vanno incontro alla lavoratrice-madre (non ultima la legge Biagi). Per me e per tutte quelle colleghe che - e, Le assicuro, sono numerose - si trovano nelle mie condizioni. E per tutte quelle che verranno in futuro. Per vincere questa battaglia abbiamo bisogno anche del Suo preziosissimo aiuto. Grazie. Maria Cristina Bulgheri

@fnsisocial

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