Non tutti i giornalisti amavano Enzo Biagi. Anzi alcuni lo detestavano per il suo modo di essere critico e, dal loro punto di vista, pericoloso.
Era il 2003 poco prima delle ultime elezioni dell’INPGI e cercavamo un collega di grande prestigio e autorevolezza da proporre come presidente del Circolo della Stampa di Milano. Enzo Biagi non avrebbe potuto essere candidato perché tale incarico è riservato a un giornalista iscritto alla Lombarda. Durante una riunione con colleghi di Stampa Democratica esposi l’identikit del candidato ideale, di dieci spanne più in alto di tutti noi. Mi fu chiesto a chi pensassi. Facendo presente che la candidatura di Biagi era improponibile, perché priva dei requisiti necessari, risposi: “Ecco, ci vorrebbe un collega come Enzo Biagi”. Apriti cielo. Senza il minimo di ritegno una collega di Stampa Democratica rispose: “Beh, a quel punto posso farlo anch’io” Ho partecipato a una puntata de “Il Fatto”. Biagi mi intervistò su un progetto di malacooperazione in Etiopia. Feci nomi e cognomi degli imprenditori e dei politici coinvolti, compreso Giulio Andreotti. Nessuno mi censurò e nessuno si sognò mai di chiedere la chiusura della trasmissione perché “ne era stato fatto un uso criminoso”, come un bel po’ di anni dopo avrebbe fatto la “Nuova Politica Italiana”. Mi ricordo quando si dimise dal Corriere in seguito al caso P2. Ci fu un’assemblea durante la quale spiegò la sua impossibilità di restare. Ragioni che molti di noi condividevano. L’emozione era forte, il clima molto teso. Il suo fu un discorso di grande tensione morale. Andò a Repubblica, ma le malelingue (che, come sapete tutti, nel mondo del giornalismo fioriscono in gran quantità) misero immediatamente in dubbio la sua correttezza. “Se n’è andato non per ragioni etiche, ma solo perché aveva già un altro posto”, ripetevano in continuazione e con malignità nei corridoi quei colleghi che considerano il giornalismo un’appendice della politica. “Credo che la libertà sia uno dei beni che gli uomini dovrebbero apprezzare di più – amava ripetere -. La libertà è come la poesia: non deve avere aggettivi, è libertà”. Aggiungerei, una citazione di Horacio Verbitsky che, ne sono certo, Enzo avrebbe apprezzato: “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia, il resto è propaganda”. Massimo A. Alberizzi Consigliere Nazionale della FNSI Senza Bavaglio