Dopo l’annuncio della chiusura quel quotidiano, il Comitato di redazione del “Giornale dell’Umbria” decide di fare chiarezza sulla situazione che i dipendenti si sono trovati a vivere negli ultimi mesi, tra stipendi non pagati, scioperi e, infine, la messa in liquidazione. Si è trattato di «una brutta storia, un delitto che il personale giornalistico e poligrafico auspica venga perseguito dagli organi competenti», scrive il Cdr annunciando di aver dato mandato ad un legale per valutare eventuali illeciti di qualsiasi natura.
«Il “Giornale dell'Umbria” è stato messo
in liquidazione dopo quattro mesi dalla vendita alla Gifer di Giuseppe
Incarnato e una scellerata serie di iniziative editoriali mai avallate dal
corpo redazionale. La liquidazione è stata comunicata ufficialmente il 18
gennaio dal presidente della società editrice Luigi Giacumbo con una nota a sua
firma. L'avvocato Francesco Marrocco, già inserito nell'organigramma della
società Geu1819, è stato nominato liquidatore dal socio unico Giuseppe
Incarnato e si è insediato il 21 gennaio. La chiusura del Giornale dell'Umbria
è una ferita per tutti i dipendenti e per la vita democratica di questa
regione. Ed è, ci sia consentito, uno scandalo per come questa chiusura si è
consumata».
Così il Comitato di redazione del quotidiano riassume le ultime
vicissitudini vissute dai dipendenti del “Giornale dell’Umbria”, affidando
ad una lunga nota, al termine dell’ultima riunione dell’assemblea di redazione,
la disillusione e l’amarezza per la triste fine del giornale.
«La testata – prosegue il Cdr – è stata messa in liquidazione dall'attuale
proprietario, editore e socio unico, Giuseppe Incarnato, ma la storia di questa
"morte annunciata" viene da abbastanza lontano e risale all'ultima,
travagliata fase della gestione precedente legata all'imprenditore eugubino,
Carlo Colaiacovo, attuale presidente della Fondazione Cassa di risparmio di
Perugia. L'atto notorio di vendita tra i precedenti azionisti (Francesca
Colaiacovo per la società Financo, Ernesto Cesaretti, attuale presidente di
Confindustria regionale, per Scai spa, Giampiero Bianconi per Bifin srl,
Giambaldo Traversini per la cooperativa TMM)
e la società di Incarnato rivela che l'operazione è avvenuta
formalmente, nell'agosto 2015, per 50mila euro a fronte di una perdurante
difficoltà economico-finanziara e della quale si assumeva la gestione completa.
Al momento del suo insediamento l'editore annunciava un piano industriale
basato su dati di vendite e investimenti lontani dalla realtà e un piano
editoriale che il direttore Luigi Camilloni, nominato da Incarnato, non si è
mai premurato di presentare al personale giornalistico e poligrafico. In via
del tutto irrituale lo stesso Camilloni ha evitato qualsiasi presentazione
ufficiale ai lettori e alle Istituzioni regionali e cittadine. La dirigenza di
Geu1819, adducendo motivazioni di urgenza per arginare le perduranti difficoltà
economiche, ha avviato alcune iniziative editoriali che hanno solo aggravato la
grave condizione finanziaria e peggiorato l'organizzazione del lavoro
quotidiano attraverso la sottrazione di forza lavoro dal quotidiano cartaceo,
unica fonte di ricavi da vendite e da pubblicità».
Il Cdr ricorda poi l’episodio, censurato a più riprese dalla redazione, della “Caccia
all'errore”, «il depauperamento delle pagine dei comprensori, il taglio dei
collaboratori, l'eccessivo spostamento dell'attenzione su contenuti di carattere
nazionale che ben poco hanno a che vedere con il carattere regionale del
quotidiano. L'editore – si legge ancora nella nota – ha anche rinunciato
immediatamente al contributo statale (nel corso di 13 anni di attività
editoriale la società Geu1819 ha usufruito di una cifra che si aggira intorno
ai 20 milioni di euro) per l'editoria, salvo poi trovarsi in difficoltà nel
pagare gli stipendi di novembre e le tredicesime proprio a causa di un ritardo
nell'accredito delle somme spettanti per il 2014. Lo stipendio di dicembre,
inoltre, non è stato pagato e la società messa in liquidazione appena terminato
il cospicuo contributo pubblicitario che la Colacem ha garantito alla nuova
proprietà per tre mesi».
Se un giornale quotidiano, che con alterne vicende, «ma con autorevolezza
crescente – si chiede il Cdr – dal 2001 ha rappresentato una voce significativa
nell'informazione e nel dibattito politico-economico umbro, valeva così poco
perché in sede di trattativa per la costituzione di una cooperativa di
giornalisti è stato chiesto di acquisire la testata versando l'ammontare del
Tfr dei dipendenti e l'indennità di mancato preavviso? Se le cronache di questi
ultimi mesi testimoniano di una inedita e durissima vertenza del personale
giornalistico e poligrafico del Giornale dell'Umbria rispetto all'attuale
vertice societario con oltre 20 giorni di sciopero, non possiamo, arrivati a
questo punto, esimerci dal rivolgere alcune domande alla proprietà precedente
che per 12 anni ha garantito la vita e la crescita del “Giornale dell'Umbria”.
Perché un esito come quello della chiusura? Perché vendere una testata
importante e riconosciuta proprio a quel tipo di interlocutore? Non vi erano
altri possibili acquirenti? Perché mandare al macero in pochi mesi un prodotto
e una storia così identificati nella precedente proprietà? O forse, gli attori
di questo ultimo passaggio di mano "sapevano" che così doveva
finire?»
Il Cdr, il personale giornalistico e poligrafico del Giornale dell'Umbria
denunciano, quindi, quella definiscono «una triste e brutta storia». Fanno
altresì appello alle istituzioni locali e nazionali, alle forse politiche,
sociali e imprenditoriali, alla parte "sana" della regione affinché
l'esperienza del “Giornale dell'Umbria” non finisca ineluttabilmente in questo
modo. E venga così dimenticata.
«Sarebbe un "delitto" imperdonabile. E se si tratta di un “delitto”
il personale giornalistico e poligrafico auspica che venga perseguito dagli
organi competenti. Al tal fine – conclude il Cdr – è stata avviata una
procedura di valutazione, da parte di un avvocato, di eventuali illeciti di
qualsiasi natura».