C’è chi propone di misurare il gradimento delle trasmissioni tramite un questionario spedito agli abbonati ogni sei mesi; chi chiede un cda Rai nominato dal Quirinale; chi pensa che il bilancio dell’azienda debba essere approvato dai cittadini che pagano il canone (“sono loro gli azionisti di riferimento, ma nessuno mai li interpella”).
(Astro9colonne) - Roma, 15 lug – C’è chi propone di misurare il gradimento delle trasmissioni tramite un questionario spedito agli abbonati ogni sei mesi; chi chiede un cda Rai nominato dal Quirinale; chi pensa che il bilancio dell’azienda debba essere approvato dai cittadini che pagano il canone (“sono loro gli azionisti di riferimento, ma nessuno mai li interpella”). E chi si accontenterebbe di veder sparire dagli schermi le scritte pubblicitarie in sovraimpressione (”scorrono ad alta velocità, sono spesso illeggibili, sembrano fatte apposta per prendersi gioco del consumatore e dei suoi diritti”). Sono molte le idee e le proposte che affluiscono da alcuni mesi negli archivi della “Fabbrica del Programma”, il cantiere ulivista creato da Romano Prodi alla periferia di Bologna, ma presente anche su Internet. Tra le varie sezioni della Fabbrica, quella dedicata alla cultura e all’informazione è tra le più frequentate. Scorrendo le centinaia di interventi si ha l’impressione che quello dell’informazione sia uno dei veri “nodi” irrisolti della questione italiana, vista da posizioni di centrosinistra. Si discute anche degli altri media - radio, giornali, internet – ma chi la fa da padrona è la tv. La qualità dei programmi televisivi, in particolare, è un tema che appassiona molti. Il signor Adelchi R. è perentorio: “Smettiamola di piangerci addosso. Ognuno può migliorare se stesso decidendo di scartare la visione di programmi demenziali - e ce ne sono tanti -, di non acquistare riviste insulse ed offensive, di acculturarsi preferendo un libro all'apparecchio televisivo”. Alessandro guarda all’estero: “Nei paesi scandinavi, in Olanda e in Belgio, oppure in Spagna, c’è una forte cooperazione tra enti locali e realtà associative: sono nate così televisioni comunitarie dove la partecipazione reale dal basso, a tutti i livelli, dal quartiere al municipio, dalla provincia alla regione, diventa la caratteristica del progetto”. E se c’è chi si indigna per le frequenze negate a Europa 7 - che pur ne aveva diritto – qualcun altro auspica “Tg tematici (attualità, esteri, cronache, sport, musica) dove sia dato molto peso alle immagini”. Con una domanda: “perché devono durare mezz’ora anche quando non ci sono notizie?”. “Un grande scienziato affermava più o meno questo: se non sarai in grado di rendere comprensibili le tue scoperte a tuo nonno, non sarai mai in grado di spiegarle a qualcuno e quindi di farti capire". Ora invece – scrive Gabriella a Prodi – “assistiamo sempre più impotenti all'uso di un linguaggio pubblico in taluni casi a dir poco incomprensibile. Un linguaggio arricchito di termini tecnici, sigle, riferimenti normativi, esterofilismi strani e sconosciuti ai più. Così in tv e spesso sui giornali. Non ci sono mai brevi sunti di fatti o avvenimenti che mettano il cittadino in condizioni di capire l'insieme … Un linguaggio semplice e senza forzature: da qui dovrebbe rinascere l’informazione”. E poi, osserva Claudio, occorre che prima di andare in Tv ci si prepari: “i nostri rappresentanti devono avere ben chiari, oltre che i punti principali del programma, anche i dati puntuali (pochi ma esatti) che permettano di avvallare autorevolmente quanto si afferma ed allo stesso tempo smascherare in diretta le bischerate che sono spesso contrapposte da chi è a corto di argomenti”. Ci sono naturalmente richieste più terra terra. Marco vorrebbe il ritorno in video di Beppe Grillo (“questo "comico" che è stato l’unico a raccontarci in tempo utile la verità su Parmalat e Cirio”), Sergio s’arrabbia perché Radio2 dalle sue parti non si sente più da quando è stata trasferita sulle frequenze MF. Valerio suggerisce una rete di servizio autogestita. Adriano propone un nuovo codice deontologico per l’informazione pubblicitaria. Gabriele ricorda che Zapatero ha deciso di assumere il direttore generale delle reti pubbliche con un regolare concorso per titoli ed esami. Conclude Vincenzo: “ E va bene, facciamola finita, a destra come a sinistra, con questa faccenda del grande fratello, “con questa idea che chi controlla la televisione vince le elezioni" come scrive Francesco Merlo, purché non la si faccia finita con la consapevolezza che il problema di un equilibrato assetto televisivo è ancora lì sul tappeto e aspetta soluzioni adeguate a una moderna democrazia occidentale”.