Giovedì 25 febbraio, alle 11, in Sala Nassiryia al Senato della Repubblica verrà presentato l’annuale rapporto su Sudan e Darfur curato dall’associazione “Italians for Darfur”. Sarà presente anche il presidente Giulietti, che si soffermerà sull'aspetto relativo alla restrizione della libertà dell'informazione nel Paese. La nuova campagna di “Italians for Darfur” sarà rilanciata in contemporanea dalla rete “Illuminare le periferie”.
L'escalation della repressione contro la libertà di stampa
in tutto il Sudan, i nuovi bombardamenti che in tre settimane hanno causato
25mila nuovi sfollati e centinaia di vittime e la ripresa degli stupri di massa
in Darfur, usati come arma di guerra. Questi i principali punti contenuti
nell'annuale rapporto di “Italians for Darfur” che sarà illustrato giovedì 25
febbraio, alle 11, in Sala Nassiryia al Senato della Repubblica in
contemporanea con il lancio della nuova campagna di sensibilizzazione sulla
crisi umanitaria in Darfur, ormai dimenticata dal mondo intero.
L'introduzione del presidente della commissione Diritti Umani, Luigi Manconi,
sarà seguita dalle testimonianze di una sopravvissuta al genocidio iniziato il
26 febbraio 2013, ormai tredici anni fa, Niemat Ahmadi, che negli stati uniti
ha fondato un'organizzazione internazionale per i diritti umani, “Darfur women
action”, di Leonardo De Chirico, della Chiesa evangelica italiana, che
denuncerà i numerosi casi di persecuzione nei confronti dei cristiani attuati
dalle forze di polizia e di sicurezza del Sudan, di Beppe Giulietti, presidente
della Federazione nazionale della stampa italiana, che si soffermerà
sull'aspetto relativo alla restrizione della libertà dell'informazione nel
Paese, e di Antonella Napoli, presidente di “Italians for Darfur”.
La nuova campagna di “italians for Darfur” sarà lanciata in contemporanea
all'evento a Palazzo Madama, dalla rete “Illuminare le periferie”, alla quale
l'organizzazione per i diritti umani in Sudan ha aderito sin dalla sua
fondazione.
LE RESTRIZIONI DELLE
LIBERTA’ E DI STAMPA IN SUDAN
(dal Rapporto sul Sudan 2016)
Il Sudan, negli ultimi quattro anni e mezzo, ha affrontato cambiamenti
decisivi, a cominciare dalla separazione il 9 luglio del 2011 dal Sud Sudan,
che a seguito di un referendum per l'autodeterminazione è diventato uno stato
indipendente. Ad oggi i negoziati relativi agli accordi sulla ripartizione del
petrolio, sulla cittadinanza e sulla demarcazione del confine non sono del
tutto definiti. Il tavolo delle trattative si è più volte interrotto fino ad
arrivare a uno scontro armato nel 2012 che ha fatto temere potesse scatenare un
nuovo conflitto su larga scala. Per scongiurare la ripresa delle ostilità tra i
due fronti, che si sono combattuti per oltre vent'anni in una guerra civile che
ha causato 2 milioni di morti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite ha
approvato all'unanimità una risoluzione che ha imposto la cessazione delle
ostilità. Contestualmente il conflitto in Darfur si è ulteriormente
intensificato, propagandosi nella zona di Abyei, nel Kordofan del Sud e nel
Nilo Blu, spingendo centinaia di migliaia di civili a fuggire da queste aree.
La situazione di grande instabilità ha favorito il proliferare della
contrapposizione a Khartoum che ha 'costretto' il servizio d’intelligence e
sicurezza nazionale (National Intelligence and Security Service – Niss) e la
polizia statale a perpetrare violazioni dei diritti umani contro persone
ritenute critiche nei confronti del governo, per aver esercitato i loro diritti
alla libertà di espressione, associazione e riunione. Anche la repressione nei
confronti dell’informazione si è notevolmente intensificata. Almeno 150 giornalisti sono stati arrestati o
sottoposti a interrogatori dai servizi, che in alcuni casi hanno usato
metodi coercitivi.
Le forze di sicurezza sudanesi hanno più volte sequestrato le copie dei 13
quotidiani del Paese, sia filo-governativi che indipendenti, senza fornire
alcuna motivazione. In un recente rapporto l’organizzazione “Journalists for
Human Rights”, ha denunciato l’aumento del numero di testate messe sotto
sequestro dalle autorità di Khartoum, un’azione intimidatrice che “rappresenta un’escalation senza precedenti
da parte del Governo contro la libertà di stampa e di espressione”.
Il direttore di Al-Tayar, Osman Mirghani, ha raccontato nei mesi scorsi a “France
presse” che gli agenti della sicurezza sono arrivati in redazione poco dopo che
era stata ultimata la stampa del giornale e hanno portato via tutte le copie
senza dare spiegazioni. Anche i direttori di Al-Tayyar e Al-Youm al-Tali,
testate indipendenti, hanno confermato lo stesso modus operandi.
La confisca dei giornali da parte del governo è dunque divenuto prassi, un
provvedimento usato di frequente in Sudan per controllare l’informazione, non a
caso nel rapporto 2015 sulla libertà di stampa di Reporters sans frontières il
Paese occupa il 174° posto su 180 paesi in classifica.
Situazione ancora più drammatica nel Sud Sudan, dove nel solo 2015 sono stati uccisi otto giornalisti. L’ultima
vittima era giovanissimo reporter, Peter Julius Moi, ammazzato con due colpi
alla schiena. Scriveva per il “New Nation”.
Qualche giorno prima dell’esecuzione, il presidente Salva Kiir aveva ribadito
le minacce contro i giornalisti accusati di lavorare contro il governo e la
nazione: “Se non sanno cosa vuol dire aver perso la vita durante la guerra di
indipendenza – aveva commentato con tono di sfida – è giunto il momento di
farglielo vedere”. Un appunto che è stato interpretato come un via libera ad
ammazzare i giornalisti tant’è che l’organizzazione “Committee to Protect
Journalists” attraverso il portavoce Tom Rhodes, aveva risposto: “Un leader che
minaccia i giornalisti è estremamente pericoloso e totalmente inaccettabile”.