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Internazionale 17 Feb 2016

La repressione della libertà di stampa in Sudan e Darfur, il 25 febbraio la presentazione del rapporto 2016

Giovedì 25 febbraio, alle 11, in Sala Nassiryia al Senato della Repubblica verrà presentato l’annuale rapporto su Sudan e Darfur curato dall’associazione “Italians for Darfur”. Sarà presente anche il presidente Giulietti, che si soffermerà sull'aspetto relativo alla restrizione della libertà dell'informazione nel Paese. La nuova campagna di “Italians for Darfur” sarà rilanciata in contemporanea dalla rete “Illuminare le periferie”.

Giovedì 25 febbraio, alle 11, in Sala Nassiryia al Senato della Repubblica verrà presentato l’annuale rapporto su Sudan e Darfur curato dall’associazione “Italians for Darfur”. Sarà presente anche il presidente Giulietti, che si soffermerà sull'aspetto relativo alla restrizione della libertà dell'informazione nel Paese. La nuova campagna di “Italians for Darfur” sarà rilanciata in contemporanea dalla rete “Illuminare le periferie”.

L'escalation della repressione contro la libertà di stampa in tutto il Sudan, i nuovi bombardamenti che in tre settimane hanno causato 25mila nuovi sfollati e centinaia di vittime e la ripresa degli stupri di massa in Darfur, usati come arma di guerra. Questi i principali punti contenuti nell'annuale rapporto di “Italians for Darfur” che sarà illustrato giovedì 25 febbraio, alle 11, in Sala Nassiryia al Senato della Repubblica in contemporanea con il lancio della nuova campagna di sensibilizzazione sulla crisi umanitaria in Darfur, ormai dimenticata dal mondo intero.
L'introduzione del presidente della commissione Diritti Umani, Luigi Manconi, sarà seguita dalle testimonianze di una sopravvissuta al genocidio iniziato il 26 febbraio 2013, ormai tredici anni fa, Niemat Ahmadi, che negli stati uniti ha fondato un'organizzazione internazionale per i diritti umani, “Darfur women action”, di Leonardo De Chirico, della Chiesa evangelica italiana, che denuncerà i numerosi casi di persecuzione nei confronti dei cristiani attuati dalle forze di polizia e di sicurezza del Sudan, di Beppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, che si soffermerà sull'aspetto relativo alla restrizione della libertà dell'informazione nel Paese, e di Antonella Napoli, presidente di “Italians for Darfur”.
La nuova campagna di “italians for Darfur” sarà lanciata in contemporanea all'evento a Palazzo Madama, dalla rete “Illuminare le periferie”, alla quale l'organizzazione per i diritti umani in Sudan ha aderito sin dalla sua fondazione.

LE RESTRIZIONI DELLE LIBERTA’ E DI STAMPA IN SUDAN
(dal Rapporto sul Sudan 2016)
Il Sudan, negli ultimi quattro anni e mezzo, ha affrontato cambiamenti decisivi, a cominciare dalla separazione il 9 luglio del 2011 dal Sud Sudan, che a seguito di un referendum per l'autodeterminazione è diventato uno stato indipendente. Ad oggi i negoziati relativi agli accordi sulla ripartizione del petrolio, sulla cittadinanza e sulla demarcazione del confine non sono del tutto definiti. Il tavolo delle trattative si è più volte interrotto fino ad arrivare a uno scontro armato nel 2012 che ha fatto temere potesse scatenare un nuovo conflitto su larga scala. Per scongiurare la ripresa delle ostilità tra i due fronti, che si sono combattuti per oltre vent'anni in una guerra civile che ha causato 2 milioni di morti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite ha approvato all'unanimità una risoluzione che ha imposto la cessazione delle ostilità. Contestualmente il conflitto in Darfur si è ulteriormente intensificato, propagandosi nella zona di Abyei, nel Kordofan del Sud e nel Nilo Blu, spingendo centinaia di migliaia di civili a fuggire da queste aree.
La situazione di grande instabilità ha favorito il proliferare della contrapposizione a Khartoum che ha 'costretto' il servizio d’intelligence e sicurezza nazionale (National Intelligence and Security Service – Niss) e la polizia statale a perpetrare violazioni dei diritti umani contro persone ritenute critiche nei confronti del governo, per aver esercitato i loro diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione. Anche la repressione nei confronti dell’informazione si è notevolmente intensificata. Almeno 150 giornalisti sono stati arrestati o sottoposti a interrogatori dai servizi, che in alcuni casi hanno usato metodi coercitivi.
Le forze di sicurezza sudanesi hanno più volte sequestrato le copie dei 13 quotidiani del Paese, sia filo-governativi che indipendenti, senza fornire alcuna motivazione. In un recente rapporto l’organizzazione “Journalists for Human Rights”, ha denunciato l’aumento del numero di testate messe sotto sequestro dalle autorità di Khartoum, un’azione intimidatrice che  “rappresenta un’escalation senza precedenti da parte del Governo contro la libertà di stampa e di espressione”.
Il direttore di Al-Tayar, Osman Mirghani, ha raccontato nei mesi scorsi a “France presse” che gli agenti della sicurezza sono arrivati in redazione poco dopo che era stata ultimata la stampa del giornale e hanno portato via tutte le copie senza dare spiegazioni. Anche i direttori di Al-Tayyar e Al-Youm al-Tali, testate indipendenti, hanno confermato lo stesso modus operandi.
La confisca dei giornali da parte del governo è dunque divenuto prassi, un provvedimento usato di frequente in Sudan per controllare l’informazione, non a caso nel rapporto 2015 sulla libertà di stampa di Reporters sans frontières il Paese occupa il 174° posto su 180 paesi in classifica.
Situazione ancora più drammatica nel Sud Sudan, dove nel solo 2015 sono stati uccisi otto giornalisti. L’ultima vittima era giovanissimo reporter, Peter Julius Moi, ammazzato con due colpi alla schiena. Scriveva per il “New Nation”.
Qualche giorno prima dell’esecuzione, il presidente Salva Kiir aveva ribadito le minacce contro i giornalisti accusati di lavorare contro il governo e la nazione: “Se non sanno cosa vuol dire aver perso la vita durante la guerra di indipendenza – aveva commentato con tono di sfida – è giunto il momento di farglielo vedere”. Un appunto che è stato interpretato come un via libera ad ammazzare i giornalisti tant’è che l’organizzazione “Committee to Protect Journalists” attraverso il portavoce Tom Rhodes, aveva risposto: “Un leader che minaccia i giornalisti è estremamente pericoloso e totalmente inaccettabile”.

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