Tra i vari contributi che ci giungono sulla questione della libertà d'informazione e della qualità dell'nformazione, ospitiamo il punto di vista di Romano Bartoloni, consigliere nazionale della Fnsi. "Mai come ai nostri giorni la comunicazione è il pane della vita sociale, l’essenza stessa delle relazioni interpersonali. I nonni di oggi, la generazione che ha fatto il ’68, volevano cambiare il mondo, i loro nipoti preferiscono cambiare il telefonino.
Intere generazioni della seconda metà del Novecento hanno vissuto e convissuto di carta stampata, tv generalizie, telefoni fissi, gettoni e cabine telefoniche. Ai nostri giorni, siamo invasi fino alla tossicodipendenza dalla cultura del cellulare, dall’iPod, dalla you tube, dalla blogosfera al facebook, dai dvd, dal linguaggio cifrato dei cmq e ke (ogni giorno circolano 20 milioni di sms solo in Italia, Obama ha ringraziato i suoi elettori inviando un milione di messaggini). E, nella buona sostanza, da internet diventata una fonte attendibile quando l’enorme numero di accessi al web ne determina il valore: di fatto la quantità batte la qualità! Senza le tecnologie elettroniche ci sentiremmo persi, smarriti, disorientati, ciechi e sordi in mezzo a un deserto. Ci guida e ci accompagna nel nostro viaggio come ferri del mestiere e valigie del tempo libero una gamma di apparecchi sofisticati con l’elenco dei telefoni, taccuini e agendine pieni dei nostri dati e dei nostri appunti, la memoria dei prezzi dei negozi e dei mercati, l’orario dei treni, gli indici della borsa, la Gazzetta ufficiale delle leggi ecc. ecc. L’informazione è il companatico, l’anima e lo specchio di una civiltà, il giornale di bordo di un consesso democratico, il regolatore degli equilibri fra i poteri, la cronaca quotidiana dei fatti e degli avvenimenti della porta accanto e del villaggio globale. Nei secoli, specie dall’avvento della stampa tipografica (Gutenberg nel quindicesimo secolo), i gazzettieri prima e i giornalisti poi hanno raccolto, organizzato e promosso il sistema delle notizie, dei commenti e delle opinioni. Oggi la rivoluzione elettronica permette di produrre informazione a getto continuo e in tempi reali e porta in prima fila attori un tempo dietro le quinte: le fonti di informazioni sempre a filo diretto con i giornalisti ma con compiti e responsabilità crescenti. Senza contare il protagonismo dell’uomo della strada che testimonia i fatti dal vivo con il suo video/fototelefonino. Ne deriva un sistema mediatico sempre più gonfio e tronfio. Si sente onnipotente, ma soffre del suo tallone d’Achille: la gente scorda in fretta. Fino a non tanto tempo fa il cronista, il giornalista ogni giorno a tu per tu con i fatti della vita, correva a briglia sciolta ovunque spuntasse il filo d’erba della notizia. La ricerca era fondata sui cinque principi colti dalla tradizione anglosassone delle doppie v, le w delle where (dove), why (perché), del when (quando), who (chi), what (che cosa). Non c’erano ostacoli, tabù, freni, pregiudiziali che intralciassero le sue scorribande nei territori di caccia degli avvenimenti di bianca e di nera. La principale regola che ti insegnavano i capi e gli anziani era perentoria: non esiste regola che possa giustificare il tuo ritorno in redazione a mani vuote, senza notizie e senza la foto del morto. La coscienza professionale, il rispetto dei diritti della persona, i codici e le leggi imponevano, comunque, degli obblighi e il derogarne, magari per inseguire uno scoop, poteva rovinarti la carriera. Quando le sofisticate indagini della polizia scientifica erano di là da venire, sulla scena del delitto chi prima arrivava, investigatore o giornalista, raccoglieva qualsiasi cosa gli sembrasse utile per la ricostruzione dei fatti sia a scopo di ricerca dei responsabili sia a scopo di scrivere un articolo di giornale. I rapporti fra la stampa e le fonti di informazione erano ispirati alla reciproca fiducia. Gli investigatori si fidavano e si confidavano. Ai cronisti si raccontava quasi tutto con l’impegno sottinteso ma sempre mantenuto di aspettare il momento giusto per la pubblicazione delle confidenze. Le conferenze stampa erano una rarità e riservate agli eventi davvero clamorosi. Oggi non è cambiata soltanto la regia dell’inchiesta giudiziaria sulla scena del delitto dove agiscono gli specializzati vestiti come astronauti con il divieto assoluto di ingresso per tutti gli altri. Non soltanto è il magistrato e non più poliziotto a coordinare le indagini e dare il là all’informazione, non è più il confidente ma il pentito vero o presunto che sia ad influenzare l’inchiesta. Proliferano le conferenze stampa orchestrate con sceneggiate ad effetto e con abbondanza di dettagli e di sovraespozione di prove/indizi a rischio di querele per la stampa. Valgono sempre i criteri delle cinque w ma, di fronte alla crescita esponenziale delle notizie potenzialmente pubblicabili (raggiunge l’opinione pubblica solo un decimo delle migliaia di notizie raccolte dall’agenzia di stampa Ansa), la selezione è diventata più serrata e rigorosa ed è sempre alla ricerca di nuove sponde di sensazionalismo e di interessi capillari a seconda dei punti di vista, e ovviamente di mercato, dei diversi mass-media. In un mondo dove contano le apparenze e dove la celebrità si conquista a colpi di passaggi/presenze in televisione, la notizia di medio peso o di scarsa attrazione riesce a farsi largo nell’oceano sterminato dell’informazione soltanto se sostenuta dall’apparizione sulla scena del fatto di un vip di qualche calibro. Esempio banale: ormai e purtroppo, l’incidente stradale senza morti non sfonda la vetrina dei mass-media salvo che non coinvolga oppure che si trovi a passare nei dintorni un personaggio di richiamo come Fiorello, sebbene possa bastare in casi di magra di notizie anche una velina qualsiasi o un politico di ultima fila e persino un indagato con qualche riga alle spalle su un quotidiano di provincia. Se le leggi di un mercato senza confini spingono alla concentrazione delle testate giornalistiche e alla formazione di sistemi multimediali, dalla carta stampata all’elettronica, dall’altra il progresso tecnologico favorisce la diffusione delle voci a costi contenuti, come la free-press e le tv commerciali, e affida alla pubblicità un ruolo fondamentale. Cosicché il moltiplicarsi delle testate della carta stampa, delle radiotv e delle online costringe le fonti di informazione, gli uffici stampa e i loro derivati delle pubbliche relazioni, ad organizzarsi con formule promozionali sempre più all’avanguardia e stabilire con la controparte giornalistica forme di carattere fiduciario a geometria discrezionale e ad identità variabile. Per i giornalisti e i cronisti, le evoluzioni dei tempi e dei costumi hanno portato alla progressiva introduzione di regole ferree di disciplina e di autodisciplina (codici e carte deontologiche su minori, privacy ecc. ecc.) anche per frenare la crescente suggestione del Palazzo dei poteri a stringere un giro di vite censorio e inquisitorio sul diritto-dovere di cronaca, sulla privacy, sul segreto professionale, sulla diffamazione, sulle intercettazioni, sui reati a mezzo stampa ecc. ecc. La voglia di bavagli cresce di pari passo con la velocità delle straordinarie innovazioni tecnologiche ed elettroniche, mai così radicali dall’epoca dell’invenzione della stampa, che favoriscono le voglie dei potenti di raccomandarsi in presa diretta con i cittadini emarginando la funzione giornalistica, nonché le voglie degli editori di mercificare l’informazione a scapito della qualità del prodotto e della professionalità degli addetti ai lavori. In tempi di dilagante fai da te della comunicazione, i potenti sono passati al contrattacco e hanno scatenato la guerra contro la mediazione giornalistica con il chiaro intento di addomesticare il cane che morde. I cronisti vanno zittiti con le buone o con le cattive. Se fanno i cani da riporto delle veline, possono bivaccare tranquillamente davanti alle stanze dei bottoni. Se fanno i cani da salotto di lorsignori e restano buoni buoni a cuccia, possono dormire sonni tranquilli. Se osano ficcanasare e fiutare da segugi le piste sospette, allora sono botte con le leggi e la repressione giudiziaria. Mentre il Palazzo della politica mostra i muscoli, i magistrati, i pubblici ministeri, si adeguano e agiscono in sintonia per scongiurare il rischio che i cittadini sappiano di fatti e misfatti, di scandali e di maneggi alle spalle e a danno dello Stato. Romano Bartoloni Consigliere nazionale della Fnsi