Lo story-telling è diventato uno dei termini di moda del marketing giornalistico, ma si tratta di una pratica (antica) che presenta dei forti rischi deontologici – L’ analisi di un giornalista francese su un fenomeno che ci riguarda tutti sempre più da vicino - Un contributo al dibattito sulla deriva del sistema dell' informazione
Lo story-telling è diventato uno dei termini di moda del marketing giornalistico. Ormai, per interessare i lettori-spettatori bisogna raccontar loro una storia che possa emozionarli. Una pratica antica che presenta dei forti rischi deontologici.
Così Owni.fr introduce l’ analisi di Cyrille Frank (''Le story-telling contre l’ information''), che Lsdi pubblica come contributo al dibattito sulla deriva del sistema dell’ informazione italiano di fronte a vicende come l’ uccisione di Sarah Scazzi o la scomparsa della sedicenne di Brembate. Dove, come stiamo vedendo, l’ emozione può anche tranquillamente andare contro l’ informazione.
''I fatti sono tristi, banali, non interessanti? Bene, rivestiamoli con una patina narrativa gradevole, una confezione che farà appello alle emozioni: compassione, rivolta, ammirazione. Tutto piuttosto che l’ apatia e l’ indifferenza dei fatti bruti''.
''L’ inchiesta scientifica avvalora o meno un postulato sulla base degli elementi trovati. I reportage d’ informazione, soprattutto quelli televisivi, invece, sono costruiti a prescindere dalle prove che poi verranno raccolte. Il canovaccio dell’ inchiesta viene decisa in redazione e vengono raccolte solo le immagini e le testimonianze che confortano il postulato, la scelta editoriale di partenza''.
(continua su Lsdi)