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Osservatorio sui media 30 Giu 2005

Italiani, media e giornalisti nel IV Rapporto Censis/Ucsi

Esce in questi giorni il IV Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione in Italia.

Esce in questi giorni il IV Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione in Italia.

ROMA - Esce in questi giorni il IV Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione in Italia. Il Rapporto, realizzato con la collaborazione di Mediaset, Mondadori, Ordine di giornalisti, Rai e Telecom Italia, oltre all’approfondimento interpretativo dei dati sull’uso da parte degli italiani di televisione, radio, tv satellitare, quotidiani, libri, settimanali e mensili, internet e cellulari (“I media che vorrei”), si è arricchito di tre capitoli per la comprensione dello stato dell’informazione e della comunicazione nel nostro Paese. Il primo contiene un’analisi dei profili degli utenti e dei non utenti di internet e cellulari, ossia delle tecnologie attualmente più evolute per informarsi e comunicare. Il 20% della popolazione italiana può essere considerata “aliena” rispetto alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, non hanno infatti alcun rapporto né con internet né con i cellulari (sono in maggioranza donne, anziane, con basso titolo di studio). Il 24% si può considerare “attardata” sulla strada dell’uso delle nuove tecnologie, non hanno alcun rapporto con internet (perché non sanno usare il computer), ma usano i cellulari con una qualche frequenza (anche questo gruppo è costituito per lo più da donne, anche se di età meno avanzata e con un titolo di studio elementare o di licenza media). Il 25% è costituito da persone “tiepide” rispetto alle nuove tecnologie, perché nonostante non usino mai internet (perché non sanno usare il computer) fanno un uso del cellulare abbastanza intenso (quasi per metà uomini e metà donne, sono per lo più madri e padri con figli) e probabilmente lo usano proprio per tenere contatti, di controllo, con i figli. Il 17% della popolazione italiana, invece, appartiene al gruppo definibile degli “sperimentatori”, nel senso che fanno un uso molto intenso sia di internet sia dei cellulari e con una spiccata tendenza a personalizzare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie (sono ovviamente soprattutto giovani, e maschi e con un buon titolo di studio). Infine vi è un 14% degli italiani ormai definibili semplicemente “consumatori” di nuove tecnologie, usano, infatti, normalmente e quotidianamente internet e cellulari, per attività di lavoro e professionali, e anche sul piano privato, pur non avendo modo di “sperimentare”, usano le nuove tecnologie come abituali consumatori. Il secondo capitolo contiene un’analisi del rapporto fra gli anziani (sopra i 65 anni) l’informazione e la comunicazione. Una visione omogenea, appiattita e monotona della vecchiaia è uno degli aspetti messi in discussione dalla ricerca: allo stesso modo dei giovani, anche i vecchi, rispetto ai media, non sono tutti uguali. Si capisce dai dati che per ciascun media ci sono percentuali di vecchi in situazioni diverse da quelle prevalenti. Per esempio fra le persone dai 65 anni in su in Italia il 48% ascolta la radio, il 48% legge settimanali, il 45% usa un telefono cellulare, il 44% legge i quotidiani, il 32% legge libri, il 22% ha la televisione satellitare, eccetera. Solo nel caso dell’internet si scende a un desolante due per cento. Il terzo capitolo contiene i risultati di una ricerca svolta per conto del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti sulla delicata questione dell’autonomia/libertà effettivamente goduta dai giornalisti italiani. Sono stati intervistati 300 “redattori”, (quindi giovani giornalisti alla base della piramide gerarchica nelle redazioni) delle testate giornalistiche di agenzie, quotidiani, settimanali, radio e tv di livello nazionale e pluri-regionale. Alla domanda “Le capita di non riuscire a raccontare i fatti osservati/accaduti, perché condizionato da qualcuno?” Il 50% degli intervistati ha risposto “mai”, ovvero per il restante 50% i condizionamenti professionali sono una realtà, che per il 39% accade “di rado”, per l’8% “spesso” e per il 2% “sempre”. Alla domanda “Le è mai capitato di percepire che rispetto a un determinato evento la sua testata avesse un’idea precostituita sulle cose accadute?” Il 19% ha risposto “mai”, ossia per l’81% si tratta di una realtà, che per il 45% accade “di rado”, per il 30% “spesso” e per il 6% “sempre”. E alla domanda “Ritiene che in generale la sua testata sia costretta o indotta a fare scelte determinate da considerazioni e spinte non di tipo professionale?” Il 28% dei redattori intervistati ha risposto “mai”, mentre per il 70% questa è un’evenienza che si verifica: “di rado” nel 46% dei casi, “spesso” nel 20% e “sempre” nel 4%.Come si può capire da queste percentuali di risposta, l’indagine ha messo in evidenza una problematica, quella della libertà e dell’autonomia giornalistica, molto complessa, di difficile trattazione e tuttavia sotterraneamente molto avvertita nella professione, pur con forti pulsioni alla rimozione dei problemi generati da una scarsa attenzione concreta ai limiti imposti dall’esterno al libero esercizio della professione. E’ attualmente in corso anche la realizzazione del V Rapporto sulla comunicazione che, oltre a fare il punto sulla situazione al 2005, traccerà un bilancio del quinquennio 2001/2005 per fornire un quadro chiaro sulle recenti evoluzioni in materia di informazione e comunicazione. Il V Rapporto conterrà inoltre quattro studi di caso internazionali, ovvero le condizioni del sistema mediatico in Francia, Germania, Gran Bretagna, e Spagna, interpretati sulla base dei risultati dei cinque rapporti realizzati in Italia, come necessaria apertura ad una comparazione internazionale. (INFORMAZIONE - 28/06/2005)

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