Il Consiglio di amministrazione dell'Inpgi ha approvato, con 13 voti favorevoli e 2 contrari, il bilancio 2017 che chiude con un disavanzo di gestione di 100,613 milioni di euro. «Il risultato della gestione previdenziale è pari a -134 milioni ed è determinato dal complessivo perdurare dell’andamento negativo degli indicatori principali dell’attività caratteristica dell’Ente: anche quest’anno, infatti, il numero degli attivi registra una diminuzione di ulteriori 865 unità, che porta il numero totale degli stessi a 15.011 (con una flessione del 5,45% rispetto allo stesso dato del 2016)», si legge in una nota dell'istituto.
«Si evidenzia – prosegue il comunicato – una contribuzione IVS corrente in diminuzione del 2,33% rispetto al 2016, mentre si continua a registrare un aumento della spesa per le pensioni IVS pari nel 2017 a 511 milioni di euro con un incremento, rispetto al 2016, del 5,19%».
La spesa complessiva per gli ammortizzatori sociali nel 2017 – pari a 24,2 milioni di euro – pur risultando in diminuzione rispetto al 2016, continua a rappresentare una voce rilevante del bilancio dell’Istituto. La gestione del patrimonio ha inoltre consentito di realizzare un avanzo di 64,7 milioni di euro.
Per quanto riguarda infine la Gestione separata gli indicatori fondamentali – il cui bilancio consuntivo 2017 è stato approvato all’unanimità dai consiglieri presenti – si presentano positivi anche per il 2017. «L'avanzo economico di Gestione per l’esercizio 2017 – spiegano da via Nizza – è risultato pari a 48,378 milioni di euro in aumento (+1,80%) rispetto all’anno precedente, per effetto della crescita della contribuzione da lavoro libero professionale. L’avanzo della Gestione Patrimoniale è stato invece pari 7,541 milioni, in diminuzione per 2,938 milioni pari al 28,04% rispetto al precedente esercizio, per maggiori oneri rilevati sul portafoglio titoli».
Per la presidente Marina Macelloni, «questa è in estrema sintesi la fotografia del primo bilancio in perdita della storia dell’Istituto. Una perdita tutta imputabile allo sbilancio tra entrate contributive e prestazioni previdenziali. Il dato chiave per analizzare questa dinamica è quello dei rapporti di lavoro: -889 nel 2017. Negli ultimi cinque anni, un tempo tutto sommato limitato, la categoria ha perso quasi 3.000 lavoratori attivi che oggi quindi sono poco più di 15.000. A questo si aggiunga che nel 2017 sono stati erogati ai colleghi circa 7.000 trattamenti a titolo di ammortizzatori sociali; ciò ha comportato una spesa a titolo di indennità di 24,2 milioni che, seppur in calo rispetto al 2016, rappresenta comunque per l’Ente una voce rilevante».
Sono i numeri che per la presidente Macelloni rappresentano «una vera emergenza che non mostra nessuna inversione di tendenza. In questa emergenza l’Inpgi ha continuato a fare la sua parte: abbiamo fatto una riforma durissima consentendo però a molti colleghi di utilizzare clausole di salvaguardia che nessun’altra categoria ha avuto; abbiamo cercato di dare efficienza e migliori prospettive ai lavoratori autonomi della Gestione separata; abbiamo messo in campo un meccanismo di dismissione del patrimonio immobiliare che, sia pure con qualche rallentamento, ci consente di ottenere la liquidità necessaria garantendo il massimo delle tutele possibili agli inquilini; continuiamo a tenere sotto controllo con il massimo rigore tutte le spese. Tutto questo ormai non basta più. La crisi industriale del nostro settore non è solo un problema di sostenibilità dei conti dell’Inpgi, è un problema che riguarda tutti gli attori del sistema e che attiene al tessuto democratico del paese».
«Penso che non sia più rinviabile una legge di sistema per l’editoria – aggiunge la presidente – che riporti al centro dell’interesse pubblico il lavoro giornalistico e la tutela di un bene prezioso garantito dall’articolo 21 della Costituzione. Una legge che non si limiti a finanziare il processo di ristrutturazione delle aziende consentendo l’espulsione di centinaia di giornalisti ma stimoli l’emersione e la rappresentazione di tutte le forme nuove che l’informazione e la comunicazione stanno assumendo grazie all’innovazione tecnologica e all’economia digitale. In tutta Europa i professionisti discutono e cercano soluzioni per riconoscere e tutelare i nuovi modi di lavorare e le nuove professioni. È ora che anche il vecchio mondo dell’editoria italiana si muova in questa direzione».