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Anniversario 19 Lug 2011

Il segretario Fnsi: “Un individualista geniale e libero Amava la notizia senza temere chi stava dall'altra parte”

''Montanelli ci manca. È sempre stato un giornalista fuori schema e non a caso quelli che erano i suoi detrattori di un tempo, oggi ne fanno un'iconà'. Lo dice all'Adnkronos Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa Italiana (Fnsi), ricordando Indro Montanelli a dieci anni dalla scomparsa. ''Vorrei però fosse ricordato per quello che era - spiega Siddi - un giornalista che ha sempre condiderato secondario e irrilevante qualsiasi interesse che fosse estraneo alla sua professione''.

''Montanelli ci manca. È sempre stato un giornalista fuori schema e non a caso quelli che erano i suoi detrattori di un tempo, oggi ne fanno un'iconà'. Lo dice all'Adnkronos Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa Italiana (Fnsi), ricordando Indro Montanelli a dieci anni dalla scomparsa. ''Vorrei però fosse ricordato per quello che era - spiega Siddi - un giornalista che ha sempre condiderato secondario e irrilevante qualsiasi interesse che fosse estraneo alla sua professione''.

''È stato un individualista geniale - rimarca il segretario della Fnsi - eccellente sia nella capacità di fotografare gli avvenimenti sia nella capacità di raccontare i fatti facendo parlare la sua cultura e la visione anche estemporanea. Era la forza della sua libertà e del suo giornalismo, capace di trovarsi per un certo periodo abbastanza vicino a movimenti o personalità con cui condividere tratti di strada e magari subito dopo di collocarsi totalmente dall'altra parte''.
''In realtà -conclude Siddi- la sua coerenza è proprio qui: al centro del suo essere cronista libero c'è l'interesse per la notizia, l'amore per il fatto e l'idea che lui riteneva di dover raccontare come una bandiera. Contro tutti, se necessario. Una fede laica e incurante di chi stava dalla sua parte''. (ADNKRONOS)

MONTANELLI: GIORNALISTA 'CHE TENEVA DISTANTE IL POTERE', 10 ANNI FA LA SCOMPARSA
IL 22 LUGLIO 2001 SI SPENSE A MILANO NELLA CLINICA LA MADONNINA

Viene definito il più grande giornalista italiano ma Indro Montanelli era anche scrittore e storico. La semplicità era la sua regola base e 'il giornalismo indipendente' il suo modello, che lo portò a rifiutare l'incarico di senatore a vita propostogli nel 1991 dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga al quale scrisse una lettera affermando che ''il giornalista deve tenere il potere a una distanza di sicurezza''. Morto dieci anni fa a Milano, era il 22 luglio, esordì nel giornalismo nel 1934 con un articolo su Byron e il cattolicesimo sul 'Frontespizio' di Bargellini.
Ma il "grande Indro" lavorò per 'Paris Soir', 'United Press', 'L'Universalè, il 'Corriere della Sera', 'Il Messaggero', 'La Stampa'. Fondo' 'Il Giornale Nuovo', dal quale andò via in polemica con Silvio Berlusconi per fondare 'La Voce'. Influenzato dal praticantato che fece in America, teneva sempre presente ciò che gli aveva detto il direttore del giornale di allora, cioè che ogni articolo deve poter essere letto e capito da chiunque, anche da un "lattaio dell'Ohio". Sosteneva che se un articolo di giornale contiene due idee, una è di troppo. Forse anche per questo è stato autorevole cronista della storia italiana e ha intervistato personaggi come Winston Churchill, Charles de Gaulle, Luigi Einaudi, Papa Giovanni XXIII.
Fu attento lettore di altre riviste, specie di 'L'Italiano' di Leo Longanesi (destinato, dal 1937, a diventare suo grande amico e, nel secondo dopoguerra, suo editore) e di 'Il Selvaggio' di Mino Maccari: periodici, entrambi, che pur essendo fascisti furono fra i primi a fare "fronda", cioè a rompere con il coro conformista del regime.
Ma fu altresì profondamente influenzato dalla lettura di 'La Voce' (1909-1914) di Giuseppe Prezzolini (destinato, nel secondo dopoguerra, a essere tra i migliori suoi amici) il cui ricordò onorò, negli anni successivi, fondando un quotidiano con lo stesso nome. Esordì come giornalista di cronaca nera nel 1934 a Parigi, al 'Paris-Soir', collaborando contemporaneamente al quotidiano italo-francese diretto da Italo Sulliotti 'L'Italie Nouvelle'. Fu poi mandato come corrispondente in Norvegia, da lì in Canada e poi assunto alla 'United Press' a New York.
Nel 1935 il regime fascista attaccò l'Etiopia e Montanelli si arruolò volontario. Durante la sua permanenza al fronte aveva iniziato a scrivere un libro, che diede alle stampe all'inizio del 1936, il 'XX Battaglione Eritreo', recensito da Ugo Ojetti e Goffredo Bellonci. Il padre di Indro, Sestilio, trovandosi in Africa Orientale per dirigere una commissione di esami per militari e civili dell'esercito residenti nelle colonie intercesse presso il direttore del quotidiano di Asmara 'La Nuova Eritrea', Leonardo Gana, facendolo assumere. Ottenne così la tessera di giornalista.
Qui sposò un'eritrea di 12 anni, versando al padre la cifra convenuta di 500 lire, secondo i costumi locali. Questa prima moglie lo seguì per l'intera permanenza in Africa. Tornato in Italia nell'agosto 1936, Montanelli ripartì per la guerra civile spagnola come corrispondente per il quotidiano romano 'Il Messaggero', scrivendo articoli anche per 'L'Illustrazione Italiana' e il neonato settimanale 'Omnibus' di Longanesi.
In Spagna, le sue posizioni iniziarono ad essere critiche del regime tanto che il Minculpop, con l'intervento diretto di Mussolini, lo cancellò dall'albo dei giornalisti per l'articolo sulla battaglia di Santander, considerato offensivo per l'onore delle forze armate. Gli fu anche tolta la tessera del Partito, che poi nulla egli fece per riavere. Per evitare il peggio, Giuseppe Bottai (ministro dell'Educazione nazionale) prima gli trovò in Estonia un lettorato di italiano nell'Università di Tartu, poi lo fece nominare direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Tallinn, la capitale.
Ritornato in Italia, entrò nel 1938 al Corriere della Sera grazie anche all'interessamento di Ugo Ojetti, che credeva nel suo talento giornalistico. Ojetti, ex direttore del Corriere, fece il suo nome ad Aldo Borelli, il direttore in carica, che gli affidò l'incarico di occuparsi di articoli di viaggi e letteratura, e con la consegna di tenersi lontano dai temi politici. Montanelli fece l'inviato in giro per l'Europa. Nel 1939 fu in Albania, diventata quell'anno colonia italiana. Il 1º settembre 1939, mentre si trovava in Germania, conobbe sul Corridoio di Danzica Adolf Hitler, alla presenza dello scultore Arno Breker e dell'architetto Albert Speer (che confermò poi, nel 1979, la veridicità di quell'incontro).
Montanelli stesso ebbe modo di rievocare l'episodio nel libro-intervista autobiografico 'Il testimone'.
Negli anni cinquanta Montanelli accettò la richiesta di Dino Buzzati di tornare a collaborare con la ''Domenica del Corriere''.
Buzzati gli diede una pagina intera; nacque la rubrica ''Montanelli pensa così'', che divenne poi ''La Stanza di Montanelli'', uno spazio in cui il giornalista rispondeva ai lettori sui temi più caldi dell'attualità. In breve tempo diventò una delle rubriche più lette d'Italia.
Grazie al successo della rubrica, Montanelli accettò di scrivere a puntate la Storia dei romani e poi la Storia dei greci. Cominciò così la carriera di storico, che fece di Montanelli il più venduto scrittore italiano. Dichiaratamente anticomunista, "anarco-conservatore" (come amava definirsi su suggestione del grande amico Prezzolini) e controcorrente, vedeva nelle sinistre un pericolo incombente, in quanto foraggiate dall'allora superpotenza sovietica.
A partire dalla metà degli anni Sessanta, dopo la morte di Mario e Vittorio Crespi e la grave malattia del terzo fratello Aldo, il "Corriere" fu gestita dalla figlia, il quotidiano operò una netta virata a sinistra con il licenziamento in tronco del direttore Giovanni Spadolini e la sua sostituzione con Piero Ottone. Montanelli (era il 1973) cominciò ad esprimere il proprio malumore sulla conduzione del giornale e fu confinato in una rubrica in seconda pagina. Entrò così in rotta di collisione con la proprietà in seguito a due interviste rilasciate nell'ottobre 1973, una pubblicata sul settimanale politico-culturale 'Il Mondo'e l'altro su 'Panorama'.
A quel punto Ottone decise il suo licenziamento. Montanelli, però, se ne andò volontariamente, presentando le dimissioni ed accompagnandole da un polemico articolo di commiato. L'articolo non fu pubblicato. Intanto Montanelli stava lavorando per fondare un nuovo giornale, di cui sarebbe stato il direttore. Nacque 'Il Giornale Nuovo'. il primo numero uscì il martedì 25 giugno 1974. Lo seguirono molti validi colleghi che, come lui, non condivisero il nuovo clima interno al Corriere, tra i quali Enzo Bettiza, Egisto Corradi, Guido Piovene, Cesare Zappulli, ed intellettuali europei come Raymond Aron, Euge'ne Ionesco, Jean-François Revel e François Fejtő. Il Giornale si avvalse della collaborazione di diverse grandi figure del giornalismo italiano, fra cui Enzo Bettiza e, successivamente, di Gianni Brera.
Il 2 giugno del 1977 Montanelli fu vittima di un attentato delle Brigate Rosse. Mentre si stava recando, come ogni mattina, al giornale, venne ferito a Milano con una pistola 7.65 munita di silenziatore che gli sparò tutti i sette colpi di un caricatore e un ottavo già in canna, colpendolo due volte alla gamba destra. Nel 1977 Montanelli accettò il sostegno per il suo giornale da Silvio Berlusconi, all'epoca costruttore edile, che divenne socio di maggioranza nell'ottobre. Secondo Felice Froio, Montanelli, sottoscrivendo il contratto con Berlusconi, gli avrebbe detto: ''Tu sei il proprietario, io sono il padrone almeno fino a che rimango direttore''.
Il loro sodalizio durò fino al 1994. Secondo la versione raccontata da Montanelli, in seguito alla "discesa in campo" di Berlusconi, questi si presentò all'ufficio amministrativo del Giornale chiedendo a Montanelli di supportarne le iniziative politiche. Egli però decise di non seguirlo così Il Giornale passò sotto la guida di Vittorio Feltri. Lui fondò 'La Voce' che nonostante un esordio di 400.000 copie non ebbe molta fortuna.
Forse perché si proponeva un obiettivo troppo ambizioso ricalcare il modello de 'Il Mondo' di Mario Pannunzio. La sezione culturale era curata da Beppe Severgnini, Marco Travaglio e Peter Gomez. Dopo la chiusura de La Voce, tornò così a lavorare per il Corriere della Sera, per curare la pagina di colloquio coi lettori, la "Stanza di Montanelli", posta in chiusura del giornale. Il 22 luglio 2001, si spense a Milano nella clinica 'La Madonnina'. Il Comune di Milano ha intitolato al grande giornalista i Giardini pubblici di Porta Venezia, divenuti 'Giardini Pubblici Indro Montanelli'.
All'interno del parco è stata posta una statua raffigurante Montanelli, intento nella stesura di un articolo con la celebre 'Lettera 22' sulle ginocchia. (ADNKRONOS)

MONTANELLI: IACOPINO (ODG), MANCA IL SUO 'CANTARLE' A TUTTI SENZA CALCOLI
QUELLA VOLTA' CHE RIFIUTO' DI ESSERE NOMINATO SENATORE A VITA...

''Aveva una capacità straordinaria, con poche parole, di regalare immagini chiare a tutti. Manca il suo parlare netto, il suo 'cantarle' a tutti, senza fare mai calcoli''. Lo dice all'Adnkronos Enzo Iacopino, presidente dell'ordine nazionale dei Giornalisti, ricordando Indro Montanelli a dieci anni dalla scomparsa.
''Ricordo quando rifiutò di fare il senatore a vita: andammo con Francesco Cossiga -spiega Iacopino- in un giorno di ferragosto, a Cortina, nella casa di Montanelli. Il Presidente gli offrì di nominarlo senatore a vita. All'uscita, Cossiga mi raccontò che Montanelli lo ascoltò e cambiò discorso, come se nulla fosse. Il Presidente capì che doveva lasciar perdere...''. (ADNKRONOS)

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